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Tra Russia e Ucraina c’è un aggressore e c’è un aggredito. Non si può negare l’evidenza
E’ orribile dirlo quanto è illogico pensarlo. Come si può affermare di non essere né con i russi né con gli ucraini? Né con Putin né con Zelensky? E’ questo il peggiore dei sotterfugi, al limite della deresponsabilizzazione morale, per giustificare la negazione del principio di realtà di fronte alla più grave crisi portata nel cuore dell’Europa e dell’Occidente cristiano: un’aggressione in armi ordinata dal governo di Mosca nei confronti di uno stato sovrano come l’Ucraina.
Chiunque abbia davvero a cuore il destino di pace del Continente ha il dovere di guardare la nuda realtà così come essa ci appare, al netto della propaganda politica e di guerra, delle fake news che provano ad offuscare e orientare il nostro giudizio, delle remote o attuali appartenenze politiche: dal 24 febbraio un popolo libero, quello ucraino, è sotto il martello delle bombe di uno stato aggressore. Dunque, non vi può essere alcun dubbio: c’è un aggressore e c’è un aggredito. E chiunque in questa fase voglia negare l’evidenza, rischia di giustificare le ragioni dell’aggressore e di negare i diritti calpestati dell’aggredito.
A maggior ragione dopo tre settimane di una guerra vera nel territorio dell’Europa, spazzando via, con il primo colpo di cannone, il sogno di un continente di pace che ha accompagnato intere generazioni che hanno goduto, da Est ad Ovest, di ottanta anni di assenza di conflitti e perciò della possibilità di prosperare. E di concentrare i propri pensieri e i propri sforzi verso il futuro, coltivando relazioni e rapporti fra individui, popoli e nazioni, che si erano ferocemente battuti nei due conflitti sanguinosi del secolo scorso. Ecco perché tutto il bene che è stato costruito va preservato. Anche nelle relazioni con Mosca, comprese quelle economiche che ci hanno portato a quella dipendenza energetica che oggi viene messa in discussione e che sino a ieri era esattamente il prodotto più evidente della pace. Tutto il bene costruito con la fatica del dialogo e della cooperazione noi vogliamo e dobbiamo preservarlo. Con la nitida coscienza che anche il meccanismo delle sanzioni, nella sua insita valenza politica, non può e non deve portare ad affamare un altro popolo. In questo caso, quello russo. Con il rischio di alimentare un rancore profondo e alla lunga pericolosissimo. Dunque, anche le sanzioni devono contenere un vincolo umanitario. Se non vogliamo porci sullo stesso piano degli aggressori.
Ecco perché ancora oggi nessuno in Europa, tanto meno in Italia, considera la Russia un nemico. Ma non può in alcun modo giustificare la scelta di scatenare un’invasione e una guerra. Così come non può abbandonare un popolo aggredito o addirittura pretendere che si consegni inerme all’aggressore. La resa incondizionata che chiede Putin è contraddetta dalla resistenza ucraina. E il principio di realtà deve spingerci verso l’accettazione della scelta fatta dagli ucraini di resistere e di difendere, anche a prezzo della vita, il diritto alla propria libertà e alla democrazia. Per non parlare del diritto all’autodeterminazione dei popoli e all’integrità territoriale che proprio l’aggressione russa mette in discussione.
Si dirà, giustamente, che tutto questo vale anche per le popolazioni russofone del Donbass e per le repubbliche separatiste di Donetsk e di Luhansk. E nessuno lo mette in dubbio. Ma tutto questo, come l’ipotesi di un destino neutrale dell’Ucraina, il suo eventuale ingresso nell’Unione Europea, la sua possibile scelta di non aderire alla Nato, sono tutti temi di quella conferenza di pace che vorremmo convocata già oggi. Ma devono tacere subito le armi.
Nel frattempo, proprio perché noi tutti rigettiamo la guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali, poiché amiamo la pace sopra ogni cosa e non vogliamo alimentare l’odio contro nessuno… ebbene proprio per questo, noi cattolici non possiamo scavare un fossato nei confronti di un popolo aggredito al punto da indicare la resa come scelta etica. Che ne sarebbe della nostra coscienza di credenti?