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Tra palestinesi ed israeliani questa volta può vincere la pace
Un mese dopo la sua elezione, i segnali positivi stanno piovendo da tutte le parti su Mahmoud Abbas (Abu Mazen): oltre ai 365 milioni di dollari promessi dagli Stati Uniti, il governo israeliano ha approvato il progetto di evacuazione da cinque città palestinesi e la liberazione di 900 detenuti palestinesi. Il vertice con il premier israeliano, l’8 febbraio (nella foto la stretta di mano tra Sharon e Abu Mazen), può essere considerato un successo perché si ammette, finalmente, che un partner palestinese per la pace c’è. Le promesse fatte sono condizionate dal «buon comportamento» dei palestinesi da una parte e dall’ambiente politico interno israeliano dall’altra. Se i gruppi di resistenza palestinesi rompono il cessate-il-fuoco, Israele non rimarrà con le braccia incrociate. Essa potrebbe rimandare i suoi impegni di evacuazione, riprendere l’eliminazione fisica degli «wanted» palestinesi, e rompere il dialogo con l’Autorità Palestinese.
Il rispetto dei palestinesi dei loro doveri imposti dalla «road map», però, non garantirebbero l’applicazione da parte israeliana dei loro impegni; questo non dipende neanche dalla «buona volontà del governo israeliano» oppure dal «pragmatismo del suo primo ministro» ma piuttosto dal rapporto di forza tra i partiti politici israeliani che sono influenzati dall’opinione pubblica e dalla società civile, prigioniera delle sue paure. Questa realtà è il risultato del sistema politico particolare in Israele.
Il rapporto tra diritto interno e diritto internazionale. Israele è un paese dualista; questo significa che il diritto internazionale non è direttamente applicabile in Israele. In altre parole, il diritto interno prevale sul diritto internazionale, anche quello umanitario o convenzionale.
Il sistema elettorale in Israele. Tutto il territorio è considerato come un’unica circoscrizione elettorale dove il partito che ottiene almeno l’1,5% dei voti, secondo il sistema proporzionale, si assicura un posto alla Knesset, il parlamento israeliano. Per garantire la sua sopravvivenza, il partito che ottiene la maggioranza si trova obbligato a coalizzarsi con i piccoli partiti, soprattutto quelli religiosi (24 governi su 29!); l’altra opzione sarebbe un governo di unità nazionale tra i due più grandi partiti, Likud e laburista (Israele ha conosciuto soltanto quattro governi di unità nazionale, di cui l’attuale).
Il sistema di decisione all’interno del governo israeliano. In caso di divergenze all’interno dell’esecutivo, il primo ministro israeliano, eletto à soffraggio universale, sottopone le sue decisioni al voto del governo che potrebbe anche adottare una posizione diversa.
Da parte loro, i gruppi di resistenza palestinese sembrano cominciare a capire che:
Il diritto all’autodeterminazione non basta da solo. Il «diritto» dipende soprattutto dalle relazioni di forza esistenti tra gli stati e/o gli altri soggetti ed attori internazionali in una comunità internazionale priva di un potere esecutivo centrale.
Essere vittima non basta più. In una «società civile», un individuo non può permettersi di farsi giustizia da solo; lo stesso è valido per la comunità degli stati e per i popoli.