Lettere in redazione
Tra i genocidi del Novecento non c’è solo l’Olocausto
Appartengono alla solita guerra anche i Gulag sovietici, la strage di Katin dove 20 mila ufficiali dell’esercito polacco furono sterminati da Stalin, erano tutti intellettuali laureati dirigenti. In parole povere Stalin ha voluto decapitare il cervello della Polonia (per non dire che Stalin e Hitler avevano fatto un patto di non aggressione per spartisi la Polonia). C’è poi il genocidio degli Armeni, dove quasi 2 milioni di cristiani furono trucidati in Turchia (che non lo riconosce e dovrebbe entrare in Europa); il comunismo con quasi 150 milioni di morti (e non è finita); piazza Tienanmen dove tantissimi giovani furono fucilati per la Libertà (anche qui la L è maiuscola); Pol Pot, e poi l’aborto.
Oggi quello che non può farci parlare di tutto questo si chiama «politicamente corretto» ed ha come padre il relativismo (la Verità non esiste, la verita sono io). Ripeto che è giustissimo ricordare l’olocausto per non dimenticare, ma temo che questo «politicamente corretto» ci faccia dimenticare… chi siamo.
Non so se tutto questo si chiami «politicamente corretto» o meno, ma ringrazio Roberto Boni per averci ricordato innanzitutto la Giornata dei martiri delle foibe, che si celebra appunto il 10 febbraio in base a quanto stabilito dal Parlamento italiano, che ha approvato una legge apposita restituendo così dignità alla memoria delle migliaia di italiani trucidati sul confine orientale e dei 350 mila connazionali costretti all’esilio dalle terre di nascita di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani di Tito e alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini italiani.
Mi fa piacere che Boni, oltre al resto, abbia ricordato anche il genocidio degli Armeni. A quel popolo spetta infatti il triste primato del primo genocidio del XX secolo, inteso come volontà di distruggere una parte o tutto un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso attraverso uno o più atti criminali. Una definizione, questa, che mette in risalto non tanto la volontà omicida in sé, quanto quella di eliminare una cultura «diversa».
Così è stato per gli ebrei e ancor prima per gli armeni, appunto, il cui genocidio si compie nel quadro del primo conflitto mondiale. Nella memoria del popolo armeno, ma anche nella stima degli storici, morirono i due terzi degli armeni dell’Impero Ottomano, circa un milione e mezzo di persone, mentre molti bambini furono islamizzati e le donne inviate negli harem nel tentativo di cancellare la comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Ma così non è stato: gli armeni, con la loro grande cultura, sono sopravvissuti. Per quanto mi riguarda non faccio distinzione tra l’Olocausto degli ebrei e quello degli armeni, che non ho difficoltà a definirlo tale.