Toscana

Toscana in passerella con i grandi della moda

di Ennio CicaliModa e Toscana, un binomio ormai inscindibile nel panorama internazionale. È in Toscana che si è consolidato un vero e proprio polo mondiale del lusso. Sono decine, qui, le imprese leader del settore, da Gucci a Ferragamo, da Tod’s Dolce & Gabbana, da Fendi e Prada, da Céline a Dior, tanto per citare le più note. Il sistema moda toscano, uno degli assi portanti dell’economia regionale, è organizzato in sistemi di piccole e medie imprese che spesso presentano caratteristiche distrettuali. All’interno di questo mondo produttivo si sono sviluppate o si sono localizzate a partire dagli anni ’80 numerose grandi firme della moda internazionale.

Per lungo tempo si è pensato che distretti industriali e grandi imprese fossero due archetipi contrapposti per lo sviluppo locale. Un approfondito studio dell’Irpet (l’istituto regionale per la programmazione), curato da Lorenzo Bianchi, dimostra invece che le due formule non sono incompatibili o incomunicabili; al contrario, le relazioni fra le imprese dei due modelli sono abbastanza diffuse. La ricerca (Distretti e imprese leader nel sistema della moda in Toscana, Franco Angeli editore, pag. 375, euro 25,50) analizza alcuni casi aziendali di imprese leader. Il primo caso è relativo a una grande impresa di livello mondiale, la Gucci, che ha finora dimostrato di saper perseguire una strategia di crescita su scala internazionale, mantenendo un forte radicamento con il tessuto artigiano locale.

Il secondo e terzo caso sono relativi a due imprese locali che, pur perseguendo strategie diverse, hanno entrambe puntato sul rafforzamento delle risorse e competenze interne per fronteggiare il mutato quadro competitivo. Mentre la prima, The Bridge, ha perseguito la propria crescita valorizzando i rapporti con la rete di fornitura locale; la seconda, Nannini, ha fatto una scelta diversa mantenendo le fasi premanifatturiere in ambito locale e allargando la propria rete di fornitura su scala più ampia.

La principale novità che emerge dalla ricerca è che i due sistemi di produzione molto diversi – aziende leader multinazionali e sistemi produttivi locali – sono riusciti a sposarsi con reciproco apporto di doti. I prodotti di alta gamma, infatti, richiedono il lavoro di ottimi artigiani e possono, entro certi limiti, trascurare il problema del costo di una mano d’opera di qualità. D’altra parte, la necessità delle grandi firme di rinnovare assai frequentemente linee di prodotti, contribuisce al trasferimento alle Pmi di un sempre aggiornato know–how. Il controllo costante sulla qualità del prodotto rende quanto mai difficoltosa e costosa una dislocazione lontana dalla sede di produzione. Di conseguenza, la presenza di aziende leader nella regione è un grosso freno al decentramento produttivo all’estero. Conseguenza che ha ripercussioni in molti settori economici e sociali, se si considera che il polo del lusso toscano coinvolge oltre 41 mila addetti.

Quanto potrà durare questa situazione? È uno degli interrogativi posti dalla ricerca dell’Irpet. Infatti, alcuni sistemi industriali emergenti si stanno avvicinando ai parametri degli artigiani toscani che, a loro volta, sembrano talvolta scontrarsi con problemi di successione generazionale. In conclusione, se le Pmi riusciranno a tenere il passo delle grandi griffes, potranno tenere lontana la concorrenza che viene da Oriente, altrimenti ne saranno sovrastate. Dallo studio emerge indirettamente anche un’indicazione più generale, che va di là dal settore della moda, per salvaguardare le produzioni locali: non solo puntare sulla qualità e l’aggiornamento, ma anche accettare un ruolo di coordinamento da parte di quei soggetti, non necessariamente locali, che hanno gli strumenti per giocare sul tavolo della competizione globale. Una seconda indicazione di carattere generale è quella che, se si vuole trattenere in Toscana le imprese leader, è interesse generale coinvolgerle il più possibile nelle scelte «politiche» che riguardano il territorio.

Leggero miglioramento per l’industria toscanaSegnali di ripresa per l’economia toscana. L’industria sembra uscire dalla fase recessiva che l’ha caratterizzata dalla seconda metà del 2001. Nel secondo trimestre del 2004 la produzione industriale è discesa, ma lo 0,3 per cento registrato è il dato migliore da quando è cominciata il periodo negativo.

Lo dice il rapporto sulla congiuntura manifatturiera elaborato da Confindustria e Unioncamere della Toscana. Segnali positivi per elettronica e mezzi di trasporto (+3,3%), produzioni in metallo (+2%), legno e mobilio (+1,9%), chimica e farmaceutica (+0,8%), alimentare (+0,3%). Dopo due anni di continuo arretramento in ripresa tessile e abbigliamento. Produzione in calo per la meccanica, mentre continua la crisi della pelle e calzature (–4,5%).

Cresce la domanda estera (+2,1%) che mette a segno il terzo incremento trimestrale consecutivo. Più debole, invece, la domanda interna assestata su un –0,5 per cento, dopo il leggero incremento del primo trimestre di quest’anno. Buoni segnali arrivano dalle esportazioni cresciute del 6,1%.Gli Stati Uniti, nonostante l’euro super, restano il primo mercato per i prodotti toscani. L’Europa rimane in ogni caso il principale acquirente, mentre cresce il mercato asiatico con la Cina che registra un più 47 per cento.

In difficoltà soprattutto le piccole imprese (10–49 addetti) che hanno perso il 2% della produzione rispetto al secondo trimestre 2003; hanno guadagnato lo 0,2 le grandi aziende (oltre 250 addetti) mentre sono cresciute del 3,7% le medie imprese. Pressoché costante il livello dell’occupazione cresciuto dello 0,2 per cento.