Toscana

Toscana, il dossier Caritas sulle povertà

di Sara d’Oriano

«Gli ultimi della fila». Così li definisce don Emanuele Morelli, delegato regionale delle Caritas, parlando dei poveri delle nostre città: «Sono coloro che rimangono sulla soglia dei palazzi istituzionali, ma anche delle nostre chiese e delle nostre comunità. Sono coloro che il nostro dossier vuole far emergere dall’ombra, coloro che ci provocano con le loro “carriere di povertà” e che chiedono un cambiamento delle nostre politiche». È diretto il suo intervento durante la presentazione del nuovo dossier Caritas sulle povertà in Toscana (Dossier Caritas 2007 sulle povertà in Toscana), illustrato lo scorso 13 novembre a Firenze.

«Non pretendiamo di fotografare l’intera situazione della povertà in Toscana – ha continuato don Morelli – ma riteniamo di poter offrire il nostro sguardo, che è anche ciò che noi viviamo quotidianamente, per favorire una visione a 360° sul problema della povertà nella nostra regione; uno sguardo che sia complementare a quello di tanti altri enti, istituzionali o meno, che se ne occupano».

Quarto in ordine di tempo (il primo testo risale al recente 2004), il dossier si avvale dell’esperienza di 60 centri di ascolto che partecipano attivamente alla rete regionale di rilevazione dei dati; 60 centri, distribuiti capillarmente sul territorio e diversi tra di loro per struttura e realtà rappresentata, che giorno dopo giorno, e grazie al lavoro di numerosi operatori e volontari, raccolgono le esperienze e si fanno carico dei problemi di circa 16 mila persone ogni anno (questi dati fanno riferimento al 2006, anno cui si riferisce il dossier), per un totale di circa 40 mila colloqui effettuati.

In lento e costante aumento il numero degli italiani che si rivolgono ai centri d’ascolto, il 22 % del totale (a fronte del precedente 19% riferito allo scorso anno). Si tratta soprattutto di donne (il 55%), cui molto spesso è delegata anche la custodia dei figli a carico (relegando ad esse di fatto una maggiore responsabilità familiare) con un’età media di circa 40 anni ma in tendenziale invecchiamento. Di recente rilevazione la presenza di pensionati, spesso soli e con «la pensione al minimo – si legge nella testimonianza di un’operatrice del centro di ascolto di Prato, riportata nel dossier –: basta una malattia e questi ultimi non ce la fanno più ad andare avanti».

Dai dati raccolti è inoltre emerso che alla base delle problematiche esposte vi sia una grande fragilità nelle relazioni, e che la vulnerabilità nasca in situazioni di solitudine e emarginazione sociale; spesso, infatti, chi si rivolge ai centri di ascolto ha alle spalle un divorzio o una separazione, o semplicemente si ritrova solo per i più svariati motivi e che, cosa nuova, si aspetta di trovare nei centri qualcuno che lo possa anzitutto ascoltare: «Sono famiglie – si legge ancora nel dossier – che spesso non vengono a chiedere nulla di materiale, ma che hanno bisogno di parlare, come la madre che non sa come comportarsi con i figli adolescenti e viene da noi tutti i sabati semplicemente per parlarne con qualcuno».

La solitudine è causa di disagio anche fra gli stranieri, il 78% di coloro che richiedono aiuto ad un centro di ascolto e che sono per lo più romeni (nel 30% dei casi e in aumento a seguito dell’ingresso della Romania nella comunità auropea), marocchini (10%), albanesi (7% in calo) e oggi anche peruviani (la cui immigrazione è significativamente in crescita, sono infatti il 9% del totale, ma poco visibile perchè a macchia di leopardo) la cui età media si abbassa intorno ai 30 anni. Per questi, la soluzione migliore, per abbattere soprattutto gli alti costi degli affitti, sembra essere ancora oggi quella di condividere un appartamento con più persone, spesso sconosciute o talvolta amiche, ma in generale al di fuori di un contesto familiare. Altra realtà è quella delle badanti, che, in assenza di una casa propria, risiedono nell’abitazione del datore di lavoro.

Riguardo la disponibilità abitativa è da sottolineare come purtroppo sia ancora molto alta la percentuale di coloro che non hanno alloggio (l’8%) o con alloggio di fortuna (il 12%), dati questi che però si riferiscono maggiormente alla popolazione italiana.

Ma quali sono i motivi che spingono queste persone a rivolgersi ad un centro d’ascolto?

Per lo più la necessità di ottenere dei beni materiali, dovuta soprattutto all’assenza di reddito, o al reddito precario o insufficiente, richiesta, questa, che riguarda il 36% dei casi. La disoccupazione, in inesorabile crescita, nel 2006 è stata causa di povertà nel 62% dei casi per gli italiani e del 7% per gli stranieri.

A questo si aggiungono problemi d’immigrazione (il 13% dei casi) che riguardano sia gli stranieri (il 55% di coloro che si rivolgono ad un centro d’ascolto non è in possesso di regolare permesso di soggiorno) sia gli italiani, per cui è ancora forte l’immigrazione proveniente dal sud Italia. Seguono il problema della casa (nell’11% dei casi), assente o non adeguata e problematiche relative alla salute e a handicap fisici o mentali (6%).

In quesi ultimi tempi si è manifestato anche il bisogno di informazione sui servizi offerti dalla società, in grado di rispondere concretamente ai bisogni espressi: «La maggior parte dei problemi rilevati – si legge nel testo – è risultata relativa al lavoro e a questioni economiche: richieste di aiuti per bollette, affitti, anticipi per spese e utenze. Ma i problemi sono relativi anche alla gestione domestica. Specialmente gli stranieri, ma anche gli italiani, non sanno leggere le bollette, i contatori, e allora devi spiegare un po’ di tutto».

Il rischio generale dei centri di ascolto è quello di cadere nell’assistenzialismo, soprattutto nei casi cosidetti «storici», ovvero assistenze che si prolungano nel tempo (e il dato è abbastanza rilevante). A questo proposito si parla spesso di rete, ovvero di legami che i singoli centri di ascolto intessono fra di loro, con le parrocchie e con enti istituzionali o meno, per fornire di volta in volta risposte a tutto tondo: « Accade che ci siano persone che fanno periodicamente il giro delle parrocchie, ottenendo beni materiali da tutte quante, ma senza dare a noi la possibilità di aiutarli ad uscire da una situazione di assistenzialismo senza prospettive», scrive Francesca, del centro di ascolto di Agliana (Pistoia).

E di rete ha parlato anche l’assessore regionale alle politiche sociali, Gianni Salvadori, che ha sottolineato: «La povertà è un prisma dalle mille sfaccettature e il fatto che la Toscana sia comunque sotto la media della povertà nazionale, non significa che non possa farsi promotrice di nuove soluzioni contro le povertà. La Caritas, a questo proposito, non deve essere lo “scarica-barile” degli assessori, ma con essa si deve collaborare per studiare soluzioni più appropriate. Il nuovo Piano Integrato Sociale, approvato la scorsa settimana, va proprio in questa direzione; al suo interno viene, infatti, stabilito che le scelte non vadano fatte solo a livello istituzionale, ma in collaborazione con le realtà presenti sul territorio, per valorizzare gli operatori e i volontari che sono i veri protagonisti della lotta alla povertà».

Ascolto, discernimento e accompagnamento: questo il percorso auspicato anche da Elena Innocenti, della Fondazione Zancan, che, oltre ad auspicare maggiore chiarezza da parte delle istituzioni sul fenomeno povertà, ritiene indispensabile: « risolvere innanzitutto la disuguaglianza nei confronti dell’accesso all’informazione» che troppo spesso impedisce agli ultimi della fila di sentirsi comunque parte di essa.

Dossier Caritas 2007 sulle povertà in Toscana (formato pdf. 1,2 Mb)