Toscana

Toscana alla ricerca di un nuovo sviluppo

Dal n. 12 del 25 marzo 2007

di Ennio CicaliFine dei miti: delle «salamandre» toscane che hanno superato indenni il fuoco delle crisi degli anni ’80 e ’90, del «piccolo è bello». Il quadro dell’economia toscana non è esaltante, secondo il rapporto dell’Irpet (l’istituto regionale per la programmazione), redatto in occasione del primo forum sull’economia toscana, organizzato insieme alla Cassa di Risparmio di Firenze, con il patrocinio della Regione e moderato dal direttore del Sole 24 Ore Ferruccio De Bortoli. Presenti tutte le categorie economiche e sociali: assenti Confesercenti e Confcommercio, non convinti dalla diagnosi dell’Irpet sui mali dell’economia regionale.

Il rapporto dell’Irpet, redatto da Stefano Casini Benvenuti, che segue di poco quelli già noti su artigianato e industria manifatturiera, accenna a una ripresa avviata nel 2006, che potrebbe proseguire anche nel biennio successivo. Tutto bene, dunque? Nemmeno per sogno: i mali che l’economia toscana si porta dietro da tempo non sono scomparsi, le difficoltà che si pensavano superate, fanno parte di una crisi strutturale tutt’altro che risolta.

Non ci dobbiamo cullare troppo sugli allori di una crescita interessante, nota l’Irpet, dal processo di ristrutturazione dell’economia toscana potrebbero essere rimasti fuori alcune componenti importanti – in particolare il terziario pubblico e privato. In questo caso la nuova crescita potrebbe essere una sorta di gigante dai piedi di argilla, neanche tanto grande, viste le dimensioni della ripresa.

«Le imprese hanno fatto la loro parte, ristrutturandosi, investendo e innovando: adesso occorre che il sistema dei servizi faccia la stessa cosa», precisa il presidente di Confindustria Toscana, Sergio Ceccuzzi. La mancanza di infrastrutture è infatti uno dei rilievi ricorrenti. Per Jacopo Mazzei, amministratore delegato del gruppo Fingen, la Toscana non è competitiva per la «mancanza di collegamenti stradali, ferroviari e aeroportuali adeguati».

Per questo ha osservato Sergio Giunti, presidente del gruppo editoriale, «c’è il rischio di rimanere isolati». Non si tratta solo di infrastrutture, spiega Francesco Gulli, amministratore della Novartis di Siena, un grande gruppo con oltre diecimila collaboratori: «Quello che non accettiamo è di non poter assumere a tempo indeterminato talenti dell’India o del Pakistan, costretti a passare le giornate in coda davanti alle questure a rinnovare il permesso di soggiorno». Il marchio Toscana, funziona ancora benissimo, ricorda Raffaello Napoleone di Pitti immagine, per questo «è importante difenderne l’identità». Un’altra anomalia della Toscana, ricorda Andrea Sbandati direttore del Cispel, è rappresentata dalla mancanza di una grande impresa che riorganizzi le tante aziende che erogano servizi.

Le difficoltà dell’economia si riversano anche sull’occupazione, precisa Luciano Silvestri, segretario generale della Cgil Toscana: ci sono 21 mila lavoratori in mobilità per le crisi aziendali. Ci sono anche imprese che vanno, sottolinea Silvestri, investono, innovano e assumono a tempo indeterminato. La competitività è una somma di parametri, sembra fare eco Marco Baldi della Cna Toscana: occorre fiducia nel futuro per progredire, anche nei confronti di chi ci governa.

Il sistema bancario ha fatto la sua parte, spiega Aureliano Benedetti, presidente di CrF Banca: «in questi anni ha continuato a sostenere l’economia erogando, anno dopo anno, sempre un pò di più e al tempo stesso comportandosi con efficienza, tanto che negli ultimi anni le sofferenze sono sensibilmente diminuite».

C’è un ancora grosso gap tra in ricerca e tecnologia, ma l’università non collabora con le imprese, è deciso Paolo Targetti, presidente del gruppo leader nei sistemi di illuminazione. Un problema, tra i tanti, che interessa i 50 mila piccoli e medi imprenditori che formano il tessuto economico regionale.

Il «rischio declino» è da tempo evocato dal presidente della giunta regionale Claudio Martini che individua nel Piano regionale di sviluppo lo strumento per modernizzare il sistema Toscana a tutti i livelli: dalle infrastrutture all’efficienza della pubblica amministrazione allo snellimento della burocrazia. Perché, spiega Martini, nessuno deve tirarsi indietro. Tanti rilievi che si possono riassumere nell’intervento di Aureliano Benedetti: «Chiediamoci davvero cosa fare per correggere degli errori, prendiamo in mano il problema della cultura e e dell’istruzione, partendo dalle scuole medie, da questi ragazzi che vedo così in crisi di valori. Se non ci sbrighiamo a invertire la rotta le generazioni future ci malediranno».

Riparte l’industria, ma perde i pezzi…

Fine del tunnel per l’industria manifatturiera toscana che ha chiuso il 2006 con un bilancio confortante che fa dimenticare i cinque anni bui, dal 2001 al 2005. Tutti gli indici sono in crescita, eccetto l’occupazione. Crescono tutti i settori produttivi, pur con qualche differenza che privilegia le imprese di maggiore dimensione e i settori a media ed elevata tecnologia come meccanica, elettronica, mezzi di trasporto, chimica, farmaceutica, gomma e plastica.

Il quadro emerge dall’ultima indagine congiunturale di Unioncamere Toscane e Confindustria Toscana, su di un campione di 1600 imprese della regione con almeno 10 addetti.

È aumentata la produzione industriale (+2,7%, il dato nazionale è 1,9), cresce il fatturato (+3,3%), l’utilizzo degli impianti (+75,9%). L’unico dato negativo riguarda l’occupazione (-0,4%). I numeri non dicono tutto: la lunga recessione e i grandi cambiamenti dei mercati hanno messo in difficoltà grandi imprese, marchi storici una volta leader sui mercati. Una crisi che colpisce quasi tutta la regione. A cadere non sono solo le tante piccole o piccolissime imprese, spesso a conduzione famigliare, ma anche aziende strutturate, marchi famosi, pezzi importanti dell’apparato produttivo toscano. E con esse sono a rischio centinaia di posti di lavoro. In poco più di 15 anni i rapporti di forza tra manifatturiero e servizi si sono ribaltati, secondo la Cisl Toscana, e il settore che un tempo rappresentava il 70 per cento del Pil regionale oggi non arriva al 30% della ricchezza prodotta.

Le possibili politiche da mettere in campo per contrastare il forte arretramento della presenza industriale e manifatturiera in Toscana sono al centro dell’attenzione delle parti sociali. «Serve una politica che intervenga sui fattori dello sviluppo – dice Maurizio Petriccioli, segretario generale della Cisl Toscana – aiutando la creazione di aree-sistema, dove infrastrutture, credito, servizi, pubblica amministrazione, tendono a migliorare l’appetibilità per gli investimenti e la produttività dell’area. In secondo luogo servono investimenti e idee, per favorire la nascita di nuove attività imprenditoriali, improntate al raggiungimento della fascia alta dello sviluppo, puntando su tre parole d’ordine: qualità, ricerca e innovazione». Secondo Pierfrancesco Pacini, presidente di Unioncamere Toscana, «la principale preoccupazione riguarda soprattutto la velocità con cui le imprese toscane sapranno muoversi per recuperare quei ritardi che ci separano dalle regioni europee maggiormente dinamiche e competitive sullo scenario internazionale». Occorrono anche infrastrutture più adeguate e meno burocrazia se, a quanto risulta, il 32% delle imprese ha dichiarato di «perdere» due giorni la settimana per adempimenti burocratici.