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Torture in Iraq, le parole non bastano

di Daniele Rocchi La vicenda dei prigionieri iracheni, nel carcere Abu Ghraib di Baghdad, torturati e seviziati, alcuni anche fino alla morte, da militari americani, ha provocato reazioni in tutto il mondo. Il presidente americano Bush, in due interviste ad emittenti in lingua araba, Al Arabiya e Al Hurra, ha condannato come “vergognosi, inaccettabili e ripugnanti” gli abusi commessi. “Quello che è successo in quelle prigioni – ha detto – non rappresenta i valori dell’America che conosco. Gli iracheni devono sapere che in una democrazia si fanno errori, ma che gli errori, se colpevoli, si pagano. All’epoca di Saddam Hussein, invece, nessuno pagava per torture e violenze”. Il carcere Abu Ghraib é noto agli iracheni per essere stato il laboratorio delle torture del regime di Saddam. Per il card. Roberto Tucci, in una dichiarazione a Oneofive Live, il canale in fm della Radio Vaticana, “si tratta di veri crimini, perché anche in guerra ci sono leggi da rispettare”. “Speriamo – ha aggiunto – che tutte queste crisi che interessano l’Iraq siano risolte con un’assunzione di responsabilità internazionale da parte dell’Onu”. Ne abbiamo parlato con mons. Justo Lacunza Balda, direttore del Pontificio istituto studi arabi e di islamistica (Pisai).

Quale impatto hanno avuto sugli iracheni le immagini delle torture di Abu Ghraib?

“Direi sconcertante. Credo che il sentimento che adesso, forse più di prima, anima gli iracheni è quello di dire agli americani: ‘Noi continueremo ad essere poveri, senza scuole, senza medicine, ma non siamo disposti a subire anche nel corpo ferite e torture’. Il popolo iracheno è unito. Di fonte a simili scene non esistono sciiti o sunniti ma solo iracheni e questo è un dato da non sottovalutare”.

Le parole di Bush bastano a recuperare il danno procurato da questi fatti?

“Il presidente americano ha detto che quello che è accaduto in quel carcere è vergognoso. Ma che cosa si sta facendo per ricucire le piaghe e debellare l’odio che tutti questi conflitti stanno creando? L’odio si trasmette di generazione in generazione. Bush deve chiedere perdono, le sue parole non bastano. E’ tempo di riconoscere che la guerra è un fallimento. Agli iracheni è stato detto che era giunto il tempo della democrazia cercando di far capire loro quello che però già sapevano, e cioè di vivere sotto un regime dittatoriale nel quale avevano subito uccisioni, maltrattamenti e torture molte perpetrate nella prigione al centro delle polemiche di questi giorni. Ed oggi si ritrovano a subire lo stesso trattamento nello stesso carcere da parte di coloro che erano venuti a portare la democrazia. Con questa vicenda gli iracheni hanno ricevuto una coltellata alle spalle”.

C’è il rischio che storie come questa possano intaccare l’immagine del cristianesimo?

“Non credo che gli iracheni identifichino gli autori di queste efferatezze con il cristianesimo. Ma non escludo che questo potrebbe accadere negli ambienti estremisti e fondamentalisti che vedono nell’Occidente, ed in particolare negli Usa, il grande Satana. Il cristianesimo insegna altre cose, innanzitutto a rifiutare la guerra. Il Papa lo ha ripetuto più volte: la guerra è un’avventura senza ritorno. E lo stiamo sperimentando”.

Si é detto anche che se la democrazia non può evitare tali vicende almeno le mostra cercando di punire i colpevoli…

“Per le torture, le sevizie, le persecuzioni non c’è giustificazione o alibi di nessun tipo. Anzi questa è l’occasione per dire, una volta per tutte, che ogni guerra è sbagliata. Con l’uso della forza non si va lontano. E’ tempo di fare un ‘mea culpa’. Ci stiamo arrampicando sugli specchi della politica per non riconoscere un errore”.

Come giudica la decisione di Bush di parlare direttamente ai cittadini arabi attraverso due tv molto note in Medio Oriente? L’informazione, forse un po’ sottovalutata dalla coalizione, può servire?

“Positivamente. In questo modo cerca di comunicare tutto il suo sdegno per quanto è accaduto e di ricostruire dei ponti di comunicazione non solo con la popolazione irachena ma di tutta la Regione. Ma alle parole devono seguire fatti concreti di perdono, di pace e di dialogo”.