Lucca

Torna in Italia ma poi riparte, Stefano Lombardi fa l’architetto in Olanda, «lavoro più stimolante»

«Nell’ufficio di architettura in cui lavoravo mi trovavo molto bene» spiega «ma poi decisi di tornare in Italia a lavorare. Dopo due anni, ad ottobre 2020, ho deciso di ripartire per l’Olanda». 

Cosa ti ha riportato ad Amsterdam? «Il lavoro non mi faceva impazzire. L’Italia ha tutti i requisiti per essere un paese in cui si vive molto bene, quando qui ho parlato di Lucca mi aspettavo che non la conoscesse nessuno, invece tantissimi colleghi ci sono stati più volte. È l’aspetto lavorativo un po’ il problema, se avessi trovato il mio lavoro tranquillo e pagato il giusto sarei rimasto in Italia, magari sarei stato all’estero solo un periodo. Ma il lavoro dell’architetto qui è diverso».  Qual è la differenza fra essere un architetto in Olanda e in Italia? «L’aspetto principale è quello economico. In Italia, nella maggior parte dei casi, fare l’architetto vuol dire lavorare come libero professionista, i ritmi sono molto alti e non si è mai pagati abbastanza. Per il tipo di lavoro dipende da dove lavori: se sei in realtà piccole come Lucca tratti ristrutturazioni, piccoli interventi mentre ad Amsterdam la cosa più piccola su cui lavoro è un blocco di 150 abitazioni. In generale è una realtà diversa, ti stimola di più, ti dà la possibilità di esplorare cose che in altre realtà più piccole non esploreresti».  Nel campo dell’architettura in generale che differenze hai notato? «Il modo di ragionare e di approcciarsi alle cose è parecchio diverso. Qui è tutto più serializzato, si parte da basi già predefinite su qualsiasi progetto. Il tipo di architettura in generale è molto più standardizzato, parti con la mentalità di una cosa già testata, funzionante e sai che puoi applicarla. In Italia magari si lascia più spazio alla creatività, sei più libero, quando lavoro su certi progetti ne sento un po’ la mancanza. In Italia siamo più attenti al contesto perché siamo abituati a lavorare con un contesto storico, è difficile trovare città come quelle italiane».  C’è qualcosa che Olanda e Italia potrebbero imparare l’una dall’altra? «Gli olandesi potrebbero imparare ad essere più aperti come gli italiani, anche se è un contesto internazionale e non hai a che fare solo con olandesi. Potrebbero imparare anche dalla nostra cucina. L’Italia invece dovrebbe imparare dall’Olanda ad essere più semplificata dal punto di vista burocratico. Qui c’è una buona organizzazione, dai mezzi di trasporti alle modalità di pagamento, tutto con carta ed è comodo, se ci fosse anche in Italia questa mentalità sarebbe molto più semplice».  Quali piani hai per il futuro? «L’idea di tornare in Italia c’è sempre, mi mancano gli affetti e il clima, nonostante sia esaltante vivere in una città in cui c’è sempre qualcosa da esplorare. Al momento so che devo costruire la mia carriera, quando arriverò al punto tale da poter tornare a lavorare in proprio ci sta che torni».