Vita Chiesa
Tolomei, diventerà santo il fondatore dell’Abbazia di Monte Oliveto
di Stanislao M. Avanzo
Parlare della prossima canonizzazione di un uomo vissuto tra il 1272 e il 1348 potrebbe sembrare anacronistico. Ma, se quest’uomo è Giovanni Bernardo Tolomei (basterebbe il nome!), un senese, fondatore di un istituto monastico presente oggi in Italia, in Europa, nelle Americhe, nell’Africa e nel continente asiatico, di un uomo, di un «Fratello» morto al servizio dei fratelli appestati, allora possiamo, e dobbiamo dire che la canonizzazione del Beato Bernardo Tolomei assume il carattere di un grande evento e di una gioia immensa dagli echi continentali. Che, se poi pensiamo alla moltitudine senza numero di monaci, figli del Beato Bernardo, passati attraverso i secoli sulla nostra terra, non possiamo negare che la gioia di questo evento abbracci dimensioni sconfinate e celestiali.
Questa città – dicevo – tanto cara a lui che l’aveva visto nascere, crescere e operare, e che aveva lasciato ai quarant’anni in preda alle fazioni cittadine più sanguinose, col fermo proposito di indicarle la vera soluzione a tante tragedie e calamità. «Io non posso più resistere senza piangere. Piangiamo tutti insieme, motivi non mancano di piangere per tante miserie umane. E tanto più infelici saremmo se non ci ricordassimo di voltare la mente nostra al Cielo, al Sommo Creatore, unico e solo refrigerio delle nostre miserie Distacchiamoci dunque dai beni passeggeri e accostiamoci alla Santa Povertà» (discorso attribuito al B. Bernardo Tolomei).
Questa città di Siena «simpatica per la sua gente educata, paziente al lavoro, avida di scienza, magnifica nell’ospitalità, rinomata per la vivacità del genio naturale, per la dolcezza della pronunzia e purezza del linguaggio» e – ai nostri giorni – meta irresistibile del turismo internazionale, è cara in modo particolare anche a noi monaci di Monte Oliveto, di tutte le latitudini, figli spirituali ed eredi del beato Bernardo Tolomei che presto chiameremo santo.
Siena non si lascerà certo sfuggire questa occasione per rinverdire la sua fede e la sua fedeltà alla Madre di Dio, rispolverando anche (se fosse necessario) l’antico motto fatto incidere nello stemma cittadino Sena vetus civitas Virginis. Siena ritroverà la sua leggendaria creatività, le sue capacità inventive e la sua proverbiale generosità per celebrare degnamente la santità del nuovo santo, il senese Giovanni Bernardo Tolomei, che viene ad unirsi allo stuolo di tanti beati e santi che formano una splendente costellazione sul cielo di Siena.
Passando davanti al Palazzo Tolomei che si erge elegante e che sembra sorriderti attraverso i suoi finestroni gotici, avendo davanti a sé, quasi a custodia, la vetusta chiesa di S. Cristoforo, ora, i senesi, più che mai, ricorderanno una famiglia che ha onorato la loro città con la probità dei costumi e la religiosità della vita; una famiglia che ha dato tanti uomini illustri alla società, tanti santi alla Chiesa, tra i quali – non meno insigne – il prossimo San Bernardo Tolomei, il cui nome già risuona in tante parti del mondo.
La sua causa, nonostante vari tentativi fatti dalla sua Congregazione monastica, si arenò completamente dopo l’ultimo tentativo giunto alle soglie della canonizzazione. Tanto che alcuni vecchi messali riportano la Festa di San Bernardo Tolomei. Il perché di tanta remora? Gli imperscrutabili disegni di Dio, secondo una nostra interpretazione dei nostri Padri. Anche se, umanamente parlando, non mancarono motivi storici.
Ecco la ragione per cui l’esultanza dei figli di Monte Oliveto – monaci, monache, suore e oblati sparsi nel mondo – per un evento così straordinario e da molti considerato impossibile, almeno per un tempo ravvicinato, tocca veramente le stelle. Ci voleva una persona tenace oltre che preparata spiritualmente e intellettualmente, per risolvere il nodoso impasse. Una persona che conoscesse il verso giusto del processo canonico di canonizzazione, per ritrovare il bandolo della matassa, imbrogliata in maniera irreversibile.
Questa persona l’abbiamo trovata per l’iniziativa dell’attuale abate generale dom Michelangelo M. Tiribilli, nel monaco dom Reginald Gregoire, che non ha risparmiato sacrifici e disagi, ha superato difficoltà che sembravano insormontabili, tra cui la sua stessa salute fisica che cominciò a vacillare per eccesso di lavoro.
A dom Gregoire la Congregazione Olivetana è debitrice di una riconoscenza perenne. La sua impresa (è il caso proprio di parlare di impresa perché la sua realizzazione ne ha tutti i caratteri) non sarà mai dimenticata nella storia della Congregazione, che lo avrà sempre tra i suoi più insigni benefattori.
Dopo molta insistenza da parte dei confratelli, Bernardo accettò la sua elezione ad abate e fu il quarto abate di Monte Oliveto. Il loro modo di vivere la vocazione benedettina piacque molto. In pochi anni divennero una comunità monastica, diffondendosi in tutta la penisola, dal centro al nord e al sud d’Italia. Più tardi, anche oltre le frontiere e oltre-oceano, con monasteri in Francia, Brasile, Inghilterra, Stati Uniti d’America, Isole Hawaii, Corea del Sud, e ultimamente nel Ghana (Africa). La Congregazione fu approvata nel 1344 da Clemente VI, vivente lo stesso Bernardo.
Monte Oliveto Maggiore è la casa-madre dei monaci benedettini olivetani, il centro della Congregazione. Oggi è meta turistica: luogo splendido e isolato dal frastuono delle città. Caratterizzato da una foresta di cipressi il cui verde cupo contrasta con il verde argenteo degli ulivi. Fortunati quelli che possono godersi le sue notti stellate e i suoi pleniluni tra i più belli della terra (penso io, mi si perdoni, che ho vissuto a lungo in altri paesi del mondo).
E più fortunata la città di Siena, che, a due passi, possiede un tesoro d’arte e di spiritualità così ricco e prezioso, a cui attingere per elevarsi, fuori dal trastorno e dal corso frenetico della vita dei nostri giorni.
La notizia è stata accolta con gioia non solo a Monte Oliveto Maggiore, ma in tutta la diocesi senese di cui il Tolomei è figlio. Nato infatti nel 1272 a Siena, nel 1313 con altri tre giovani amici si ritirò a Monte Oliveto per condurvi una vita ascetica e comunitaria. La terribile peste nera del 1348 lo riportò a Siena per assistere i suoi concittadini, in gran parte sterminati dall’epidemia, senza paura per la morte che sopraggiunse anche per lui e per i monaci che lo avevano accompagnato.