Cultura & Società
Tolkien, quando la fantasia non dimentica il Vangelo
Educata in una famiglia di tradizioni protestanti, la madre di Tolkien aderì al cattolicesimo quando il figlio John aveva appena 8 anni, subendo, per questo, anche l’isolamento da parte dei suoi familiari: una ritorsione che, indirettamente, le sarebbe costata la vita dal momento che, rimasta vedova, si sacrificò per allevare ed educare i figli. Alla vigilia della morte, per scongiurare il loro ritorno all’anglicanesimo, scelse come tutore dei figli un padre dell’Oratorio filippino di Birmingham, città dove si era stabilita e che era, in quegli anni, il cuore della rinascita cattolica inglese. Proprio a Birmingham, infatti, alcuni decenni prima, si era stabilito il futuro cardinale J.H. Newman, sacerdote anglicano convertitosi al cattolicesimo intorno al quale si sarebbe sviluppata una singolare esperienza di fede e di conversione che coinvolse figure eminenti del suo tempo, tra le quali il poeta e futuro gesuita G.M. Hopkins: una pagina della storia della Chiesa forse poco nota, senza la quale anche l’esperienza di Tolkien probabilmente non avrebbe potuto maturare così come la conosciamo.
E tocchiamo qui il punto decisivo di questa breve riflessione sulle radici cristiane ma occorrerebbe dire «cattoliche» di Tolkien: ed è quel singolarissimo rapporto tra creatività e Vangelo cui ha fatto riferimento anche il papa nella sua recente Lettera agli Artisti (1999). Il fantasioso mondo della Terra di Mezzo in cui il bene e il male combattono tra loro dentro il cuore degli hobbit, degli uomini, degli elfi e degli altri personaggi che la popolano, in cui è ancora possibile apprendere la bellezza del sacrificio, il valore della fedeltà, dell’amicizia, dell’eroismo non è un luogo in cui evadere dalle sfide della condizione umana: al contrario, esso è un atto di fede come afferma uno dei personaggi del romanzo e del film in quello che di buono esiste nel mondo e ancora merita d’essere difeso e promosso. L’atto più nobile, vorremmo dire, che un’opera letteraria potrebbe mai compiere: insegnare che la vita merita ancora d’essere vissuta, difesa, donata, perché essa è amata e voluta da Dio.
«Il Signore degli Anelli scriveva Tolkien nel 1953 è fondamentalmente un’opera religiosa e cristiana; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione». Crediamo davvero, allora, che, al di là delle strade autonome sulle quali il mondo immaginario di Tolkien è stato spesso condotto e ampliato, i più di 160 milioni di suoi libri venduti nel mondo abbiano contribuito soprattutto a risvegliare in tanti cuori quei valori e quello sfondo simbolico propri del Vangelo, secondo i quali la generosità prevale sulla grettezza, il dono di sé sull’egoismo, la verità sull’errore, la vita sulla morte.
La recensione del film «IL SIGNORE DEGLI ANELLI: LE DUE TORRI»