Dossier
The Passion, un atto di intensa devozione
Uno studioso di Sacre Scritture e un esperto di cinema hanno visto in anteprima per i lettori di Toscanaoggi la discussa pellicola di Mel Gibson che uscirà nelle sale il 7 aprile. Proponiamo qui il giudizio del biblista assieme ad alcune curiosità sul film.
L’opera demolisce il grande sforzo di interpretazione e sublimazione che i primi cristiani in genere e i quattro Vangeli in particolare hanno fatto dell’evento tragico che ha posto fine alla vita di Gesù. Sullo sfondo del Primo Testamento (dei testi profetici e dei salmi del giusto sofferente, soprattutto) e in forza della previsione creativa che Gesù stesso aveva dato della sua morte, il cristianesimo primitivo ne ha fatto il culmine del Piano di Dio e il suo kerygma da annunciare a tutto il mondo.
Il Vangelo di Giovanni presenta la Passione come una manifestazione regale dell’«Io sono» di Gesù; Matteo e Luca la raccontano come guidata dalla previsione lucida e dall’autodonazione esemplare di Gesù stesso. Teologicamente l’opera di Gibson parrebbe somigliare solo a quella di Marco. Ambedue vogliono riportare dal ritualismo della memoria alla cruda umiliazione della Croce subita da Gesù, ambedue vogliono risvegliare nell’interlocutore il primato della realtà su qualsiasi elucubrazione posteriore. Marco però fa questo tenendo stretto il collegamento fra la fine e il resto del Vangelo, per cui la Passione è lo sbocco necessario e risolutore di tutta la missione di Gesù, che è presentata quale opera di Dio e compimento del suo Piano di salvezza.
Nel film ci sono flash back alla vita di Gesù ma pochi e frammentari, non si manifesta chiaramente la guida di un disegno di salvezza, è fuori campo la coerenza degli obiettivi e il valore salvifico delle crudeltà subite. Esse sono spesso fine a se stesse per cui alla fine «la carne è forte ma lo Spirito è debole», rovesciando l’espressione strategica di Gesù. Nel suo complesso il film si ispira alla tradizione più che ai Vangeli, è un atto della devozione alle sante piaghe più che un approfondimento del messaggio del cristianesimo primitivo.
1. la presenza inquietante della violenza nella storia. La camera mostra ripetutamente l’assenza di ogni pietà, il gusto dell’inferire sulla vittima, la sete del sangue. I soldati romano incarnano bene lo stile efferato di ogni imperialismo disumano. Come guarire dalla violenza? Poiché essa ama camuffarsi come difesa dell’ordine costituito e diritto del più forte, mostrarla è il primo passo utile a combatterla. Essa viene sopraffatta veramente solo dal senso di comune identità fra carnefice e vittima e dal rispetto di ogni persona come immagine di Dio. Non sta al film insegnarci queste cose. Sta a noi andare molto al di là del film se si vuole raggiungere questo traguardo di grande civiltà. Se si rimane alle sole immagini del film si può rischiare di rafforzare il gusto sadico di essa.
2. per comprendere la Passione di Gesù è assolutamente urgente ricollegarla con il resto della vita di Gesù e la globalità del Vangelo. La Liturgia e tutta la tradizione l’ha venerata come un assoluto in sé. In termini esegetici, è il problema di collegare kerygma e Vangelo. Senza la progressione della vita pubblica e il riferimento alle scelte strategiche di Gesù, si rischia veramente di espropriargli la sua passione e di porlo fra i condannati come estrema e ineluttabile consacrazione della necessità della vittima. La passione è nei Vangeli il compimento di una missione, il passaggio necessario alla vita piena, la sintesi e la ratifica eterna dell’azione di Gesù.
3. una questione finale, in apparenza raffinata ma in effetti al cuore della congerie mediatica di oggi, è il rapporto fra parola e immagine. Si può riassumere in questi termini: l’immagine ha una capacità suggestiva assai più grande, la parola ha una qualità persuasiva migliore. La passione narrata nei Vangeli è allora adatta a penetrare il mistero del Vangelo assai più di ogni sua resa visiva. Nell’ascolto e meditazione si svelano più completamente i sensi, si raccordano meglio le varie fasi, si attualizza in modo più efficace la portata salvifica. L’immagine può avere valore catartico (purificarci da cliché troppo consueti) e propedeutico (spingerci alla riflessione e all’ascolto più profondo) ma non può sostituire la comunicazione della parola.
In conclusione, il film è da vedere e da discutere, da farne stimolo di riflessione e dibattito. Un’occasione da non perdere. Per chi ha fede, il sofferente e la vittima che ha visto, è ora risorto e più che raccontargli ancora la sua passione, gli parla di come evitare ogni violenza e come aiutarlo a salvare ogni persona e ogni situazione umana, anche estrema.
La recensione di Francesco Mininni