Cet Notizie

«Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo»

Traccia di riflessione in preparazione al IV Convegno ecclesiale che si terrà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006. Il documento, redatto dal Comitato preparatorio del IV Convegno Ecclesiale Nazionale, con una presentazione del card. Dionigi Tettamanzi, presidente del comitato, ha per titolo: «Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo» ed è stato reso noto il 20 giugno 2005. PRESENTAZIONE Sono lieto di presentare la traccia di riflessione destinata ad accompagnare il cammino delle Chiese in Italia nella preparazione al IV Convegno Ecclesiale nazionale, che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006.

Questo “evento” si colloca a metà del primo decennio del terzo millennio e si propone di dare nuovo impulso allo slancio missionario scaturito dal Grande Giubileo del 2000 e di compiere una prima verifica del cammino pastorale svolto in questo decennio e di essere occasione di ripresa e di rilancio verso gli impegni che ancora ci attendono. Esso dovrà rappresentare – questo è il desiderio di tutti noi – un evento veramente significativo, analogamente a quanto avvenuto per i tre Convegni precedenti: Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995; un evento che si inserisce nel cammino della Chiesa nel nostro Paese, scandito oggi dagli orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.

La scelta del tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” è stata il punto di arrivo di un’intensa e partecipata riflessione di tutto l’Episcopato italiano, giunta a conclusione nella 51a Assemblea Generale (Roma, 19-23 maggio 2003). Questa formulazione del tema dice la volontà di ribadire con forza la scelta già fatta nei precedenti Convegni Ecclesiali: quella di dedicare tali eventi alla considerazione del ruolo dei cristiani nel contesto della realtà storica in cui vivono e operano. Su questa confermata scelta metodologica il titolo del Convegno intende far convergere quattro fondamentali elementi: la persona di Gesù, il Risorto che vive in mezzo a noi; il mondo, nella concretezza della svolta sociale e culturale della quale noi stessi siamo destinatari e protagonisti; le attese di questo mondo, che il Vangelo apre alla vera speranza che viene da Dio; l’impegno dei fedeli cristiani, in particolare dei laici, per essere testimoni credibili del Risorto attraverso una vita rinnovata e capace di cambiare la storia.

In questo contesto, il tema intende rispondere ad alcuni interrogativi di fondo e di grande interesse: che cosa il Vangelo comunica alla vita dei cristiani? come Gesù Cristo può rigenerare questo vissuto, soprattutto nella sua dimensione quotidiana? come può essere plasmata una nuova prospettiva antropologica nell’epoca della complessità? quali forme e modalità possono caratterizzare la presenza dei cristiani in questo momento storico nel nostro Paese?

Lo strumento che qui viene presentato vuole avviare e favorire una prima riflessione su tali interrogativi, per preparare le nostre Chiese a un incontro che sia generatore di un forte messaggio di impegno e di speranza per tutti.

Maria, Madre della Chiesa, che con il suo “sì” detto nel segreto del cuore ha reso possibile l’irrompere della Speranza nella storia, illumini e guidi il nostro cammino perché sappiamo «individuare atteggiamenti e scelte che rendano la Chiesa una comunità a servizio della speranza per ogni uomo» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Appendice).

Roma, 29 aprile 2005 Festa di Santa Caterina da Siena patrona d’Italia e d’Europa Dionigi Card. Tettamanzi Presidente del Comitato preparatorio

VERSO IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA

«Nella sua grande misericordia Dio ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva» (1Pt 1,3) Nel cammino della Chiesa 1. Cristo è Risorto. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la speranza che illumina e sostiene la vita e la testimonianza dei cristiani. In questo inizio di millennio, carico di sfide e di possibilità, il Signore Risorto chiama i cristiani a essere suoi testimoni credibili, mediante una vita rigenerata dallo Spirito e capace di porre i segni di un’umanità e di un mondo rinnovati. La prima lettera di Pietro, un documento di rara bellezza e di grande efficacia comunicativa, orienterà i passi della Chiesa italiana, perché si lasci trasformare dalla misericordia di Dio, «per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1Pt 1,4). Mentre celebra i quarant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, la Chiesa vuole riprenderne gli intenti e lo slancio per annunciare il vangelo della speranza. La «speranza viva» affonda le radici nella fede e rafforza lo slancio della carità. In essa s’incontrano il Risorto e gli uomini, la sua vita e il loro desiderio. In questo orizzonte si colloca il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, che si terrà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006. Inserendosi nel cammino pastorale di questo decennio, dedicato alla comunicazione della fede in un contesto storico segnato da profondi mutamenti, il Convegno vuole porre al centro dell’attenzione delle nostre comunità cristiane la virtù teologale della speranza. Si è, infatti, consapevoli che «non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2). Obiettivo, pertanto, del Convegno Ecclesiale è chiamare i cattolici italiani a testimoniare, con uno stile credibile di vita, Cristo Risorto come la novità capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini d’oggi. Domande acute sorgono dai mutati scenari sociali e culturali in Italia, in Europa e nel mondo, e ancor più dalle profonde trasformazioni riguardanti la condizione e la realtà stessa dell’uomo. Nel tramonto di un’epoca segnata da forti conflittualità ideologiche, emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da un’esperienza frammentata e dispersa. Nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. Privi di radici, rischiamo di smarrire anche il futuro. Il dominante “sentimento di fluidità” è causa di disorientamento, incertezza, stanchezza e talvolta persino di smarrimento e disperazione. In questo contesto i cristiani, «stranieri e pellegrini» nel tempo (1Pt 2,11), sanno di poter essere rigenerati continuamente dalla speranza, perché le tristezze e le angosce del tempo sono «gettate» nelle mani del «Dio di ogni grazia» (1Pt 5,7.10). Essi accolgono pertanto con gioia l’invito evangelico, rinnovato dalla lettera apostolica Novo millennio ineunte, a “prendere il largo” (cfr Lc 5,4). Dobbiamo essere riconoscenti al Santo Padre Giovanni Paolo II che ha ravvivato in molti modi la coscienza cristiana e il suo traguardo di santità, aiutandoci pure a scoprire i santi che sono in mezzo a noi, anche oggi, in ogni condizione e stato di vita: coloro cioè che hanno «mantenuto e perfezionato» la santità ricevuta nel Battesimo (cfr Lumen gentium, 40), vivendo in fedeltà a Dio e all’uomo. Perciò la Chiesa italiana a Verona per prima cosa dirà grazie allo Spirito per i doni che si sono resi visibili nella vicenda di queste sorelle e fratelli. L’orizzonte della santità segna il cammino nella speranza proposto dai Vescovi italiani con gli Orientamenti pastorali per questo decennio Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001) e nelle successive note L’iniziazione cristiana 3. Itinerari per il risveglio della fede cristiana (2003) e Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004). Tale prospettiva ci permette oggi di comprendere meglio come i precedenti Convegni Ecclesiali nazionali di Roma (1976), Loreto (1985) e Palermo (1995) siano stati tre tappe importanti della comune ricezione del messaggio di rinnovamento venuto dal Concilio e abbiano preparato la Chiesa italiana alla testimonianza della vita cristiana nel nuovo secolo. La scelta di meditare i temi della speranza e della testimonianza alla luce sempre viva del Cristo Risorto è la logica conseguenza di tale cammino: nel 2006, a Verona, i lavori del Convegno Ecclesiale saranno ispirati e guidati dal nostro essere testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. È un dono singolare che il tempo che ci conduce al Convegno Ecclesiale sia dedicato all’Eucaristia. Senza l’Eucaristia nel giorno del Signore i cristiani non possono esistere né vivere. Invocando, con Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine («Resta con noi perché si fa sera» – Lc 24,29), i credenti avanzano con gioia e determinazione nel loro cammino di donne e uomini della speranza. Sarà un tempo di contemplazione e di riflessione, per lasciarci generare dalla fede nel corpo e nel sangue del Crocifisso Risorto. Questa traccia di riflessione viene offerta per favorire la comune riflessione. Si sviluppa attorno a quattro domande, che declinano gli elementi indicati nel titolo del Convegno Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo: – Come Gesù Risorto rigenera la vita nella speranza? – Come la fede in Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, ci rende testimoni di speranza? – Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza? – Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioni che maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea? Queste domande articolano il tema del Convegno in quattro momenti: il primo momento porta nel cuore pulsante della testimonianza, alla sorgente viva e inesauribile della speranza, l’incontro con il Risortola radice del testimone cristianola testimonianza del cristiano nella comunità ecclesiale e nel mondo, mostrando come la speranza cristiana si fa vita; il quarto prospetta l’esercizio della testimonianza come discernimento e come ricerca di presenza significativa dei cristiani laici che sanno mettere a fuoco le situazioni oggi più rilevanti per la vita delle persone. I. LA SORGENTE DELLA TESTIMONIANZA «Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18) «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» 2. Come Gesù Risorto rigenera la vita nella speranza? La prima lettera di Pietro ha vivissima coscienza che il centro della testimonianza cristiana è il Crocifisso Risorto. La Pasqua è proposta alla comunità nella sua irripetibile novità: «Cristo è morto una volta per sempre… messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18). La professione della fede pasquale sprona i credenti nella prova, li sostiene nella tribolazione e trasforma la loro vita. La Chiesa italiana si prepara al Convegno Ecclesiale di Verona a partire da questa gioiosa proclamazione: Gesù, il Crocifisso, è Risorto! Questa è la speranza viva che essa intende offrire agli uomini di oggi. La Chiesa e i credenti sanno di annunciare e portare una grazia che non possiedono in proprio, ma di cui sono a loro volta gratificati, «liberati… con il sangue prezioso di Cristo» (1Pt 1,18-19). Non hanno altro dono da proclamare: a partire dalla risurrezione di Gesù, la vita donata con lui e come lui è il fine della persona, il futuro della società e il motore della storia. La proclamazione della speranza della risurrezione riveste oggi particolare significato per dare forza e vigore alla testimonianza. In un tempo dominato dai beni immediati e ripiegato sul frammento, i cristiani non possono lasciarsi omologare alla mentalità corrente, ma devono seriamente interrogarsi sulla forza della loro fede nella risurrezione di Gesù e sulla speranza viva che portano con sé. Credere nel Risorto significa sperare che la vita e la morte, la sofferenza e la tribolazione, la malattia e le catastrofi non sono l’ultima parola della storia, ma che c’è un compimento trascendente per la vita delle persone e il futuro del mondo. La speranza è un bene fragile e raro, e il suo fuoco è sovente tenue anche nel cuore dei credenti. Lo aveva già intuito Charles Peguy: «La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi [la fede e la carità] e non si nota neanche». Quasi invisibile, la «piccola» sorella sembra condotta per mano dalle due più grandi, ma col suo cuore di bimba vede ciò che le altre non vedono. E trascina con la sua gioia fresca e innocente la fede e l’amore nel mattino di Pasqua. «È lei, quella piccina, che trascina tutto» (da Il portico del mistero della seconda virtù). Se la speranza è presente nel cuore di ogni uomo e donna, il Crocifisso Risorto è il nome della speranza cristiana. Vedere, incontrare e comunicare il Risorto è il compito del testimone cristiano. Vedere il Risorto: un’esperienza di conversione 3. La fede pasquale è anzitutto esperienza di conversione. Molti racconti delle apparizioni del Risorto iniziano annotando come i discepoli, le donne, coloro che hanno seguito Gesù lungo il cammino non lo riconoscano. Il dubbio è sconvolgente: perché non vedo il Signore presente? Gesù Risorto non viene subito riconosciuto. I discepoli, dispersi dalla prova della croce, sono invitati a una nuova prova: dalla precedente conoscenza di Gesù come maestro e profeta devono passare all’esperienza della comunione di Gesù con il Padre. Questo passaggio comporta una duplice conversione. La prima conversione riguarda l’identità di Gesù. Gesù di Nazaret non è solo il profeta che ha rivendicato di essere il Figlio di Dio, ma è il Signore che, seduto alla destra del Padre, conserva le piaghe del Crocifisso, «agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 3,19). Non è solo il Signore che si fa servo, prendendo le nostre piaghe e le nostre ferite, le nostre malvagità e il nostro peccato; ma è il servo che diventa e resta Signore per sempre, trasfigurandoci con la sua carità sino alla fine. Le ferite del Crocifisso non sono il segno di un incidente da dimenticare, ma una memoria incrollabile nella testimonianza della Chiesa. L’annuncio pasquale di Pietro a Pentecoste è il documento della conversione pasquale dei discepoli. Ciò che è avvenuto in loro, Pietro lo proclama a tutti: voi avete crocifisso Gesù di Nazaret, ma egli non è più negli “artigli della morte”, perché Dio lo ha reso Signore vivente (cfr At 2,22-24). Questa è la certezza su cui si regge o cade la testimonianza: leggere la croce di Gesù con gli occhi di Dio. La seconda conversione riguarda il volto della Chiesa. Vedere il Risorto significa che la comunità dei discepoli, che ha seguito il maestro per le vie della Palestina, deve diventare la Chiesa-comunione che mette il Risorto al suo centro e lo annuncia ai fratelli. Come la donna che parte dal giardino della risurrezione e va dire ai fratelli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18). Cambia così anche il nostro modo di essere comunità credente e di appartenere alla Chiesa. La Chiesa non è solo il luogo del bisogno di guarigione, di serenità, di pace, di armonia spirituale, di impegno per il povero. La Chiesa del Risorto è la comunità costruita sull’amore, in cui ciascuno può dire all’altro: io ti prometto, io ti dono la mia libertà. La presenza del Risorto nella vita del testimone crea così la comunità della testimonianza. La libertà dell’uomo, che oscilla tra desiderio illimitato e capacità limitate, si trova non solo guarita dal suo delirio di onnipotenza, ma diventa una libertà liberata per la comunione. La dinamica della missione a tutte le genti trova qui la sua sorgente invisibile e inesauribile. Incontrare il Risorto: un’esperienza di missione 4. La fede pasquale è, in secondo luogo, esperienza di missione. È quanto esprime il mandato finale nel Vangelo di Matteo: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). La missione è l’incontro con il Risorto, la cui signoria riconcilia il cielo e la terra. Da qui scaturisce la missione di fare di popoli diversi la Chiesa universale e da qui proviene il mandato di far partecipare tutti alla vita trinitaria mediante il battesimo. Tutto ciò avviene perché il Signore è con noi tutti i giorni. Non c’è prima la fede pasquale e poi il mandato missionario, non c’è prima la comunione e poi la missione: la comunione e la missione della Chiesa sono i due nomi di uno stesso incontro, che custodisce il volto paterno di Dio e la vita fraterna e solidale dell’uomo. Il Nuovo Testamento ci presenta due dimensioni complementari dell’evento della Pasqua: la prima ne sottolinea l’unità, collocando nello stesso giorno risurrezione di Cristo, apparizioni ai discepoli e dono dello Spirito (cfr Lc 24; Gv 20; Fil 2; Eb 8-9); la seconda sviluppa questa sequenza secondo lo schema dei quaranta giorni, nella scansione di un tempo fondatore, che termina con l’Ascensione, e del suo sviluppo nel dono dello Spirito a Pentecoste (cfr At 1; Rm 8; 1Cor 15,1-11). Le due dimensioni dell’evento pasquale esprimono la ricchezza dell’incontro con il Risorto: da un lato, gli uomini possono accostarsi al Signore riconoscendolo come il Vivente e riconoscendosi come nuova creatura in lui, a qualsiasi popolo appartengano e ovunque siano nati; dall’altro, il Risorto irradia la sua singolarità nel tempo e nel mondo, nella successione dei giorni e nell’ampiezza dello spazio, perché mediante il suo Spirito creatore egli raggiunge gli uomini e la creazione tutta. La singolarità e l’universalità sono i due tratti distintivi della Pasqua e illustrano il movimento della testimonianza cristiana. Comunicare il Risorto: un’esperienza di relazione 5. L’incontro con il Risorto, infine, è esperienza di relazione. La missionarietà della Chiesa non ha lo scopo di dire “altro” o di andare “oltre” Gesù Cristo, ma di condurre gli uomini a lui. Il modo è uno solo: una relazione “spirituale”, capace di trasformare la vita personale e sociale. Il mistero della Chiesa, il senso dei suoi gesti e delle sue iniziative, la forza della sua testimonianza hanno il compito di introdurre gli uomini alla relazione viva con il Risorto. La Chiesa è evento dello Spirito, ambiente spirituale dove avviene l’incontro con Gesù Risorto. Lo Spirito della vita è lo Spirito che guida a Gesù, la verità integrale: «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13). Non parla da sé, perché è Spirito della relazione, è il legame tra il Padre e il Figlio, è l’osculum caritatis, il “bacio santo”. Per questo la Chiesa è il segno reale del Vangelo accolto, è la comunità generata dalla Pasqua di Gesù nello Spirito, sorgente di speranza e di creatività per la vita del mondo. Testimone è chi sa sperare. La testimonianza cristiana è contrassegnata dalla speranza di Pasqua, dal giudizio sul peccato del mondo che non ha accolto il Salvatore e dalla riconciliazione con cui il mondo viene redento e trasfigurato. Il luogo di questa riconciliazione è l’uomo nuovo, restituito alla buona relazione con il Signore e reso capace di plasmare la vita, di condurre un’esperienza quotidiana di relazione in famiglia, con gli amici, al lavoro, nella società. In questi scenari si attua l’esercizio del cristianesimo radicato nella speranza della risurrezione. Per la riflessione e il confronto – Il cuore della proclamazione e della testimonianza cristiana è Gesù Cristo Risorto, fonte di speranza per il credente e fondamento del suo impegno per rinnovare la vita e il mondo. In un clima sociale e culturale in cui gli orizzonti sono spesso fissati su piccoli frammenti di vissuto, come può la speranza cristiana mobilitare le energie spirituali, purificare e orientare le speranze fragili, sostenere i momenti di delusione? – La fede e la speranza nella resurrezione non devono far dimenticare lo scandalo della croce: il Risorto è e rimane il Crocifisso, solidale con tutti gli umiliati della terra. In quali forme e verso quali situazioni la testimonianza cristiana è chiamata oggi a rendere presente questa solidarietà? – Il Crocifisso ha vissuto la sua morte ignominiosa in una estrema fiducia in Dio e con una totale disponibilità di amore e verso l’umanità. Per questo Dio lo ha risuscitato e costituito Signore e autore della vita. Come vivere la malattia, il dolore, la sconfitta quali esperienze in cui Dio può far rinascere una vita nuova? Come riproporre le virtù della pazienza e della perseveranza per dare senso anche alle situazioni di apparente fallimento? Che cosa può suggerire alla vita e alla prassi delle comunità cristiane il fatto che Dio scelga le cose deboli per confondere quelle potenti? – Il Risorto è Colui che vive per sempre nella piena disponibilità al dono di sé verso tutti, fissato definitivamente nella sua morte. Egli è la nostra pace: ci riconcilia con il Padre e tra noi e ci fa dono della comunione. Le nostre comunità cristiane sono scuole di formazione a relazioni gratuite e riconcilianti? C’è in esse l’attenzione a una cultura di pace e di pacificazione, di cui avvalersi nei rapporti e nell’impegno sociale? – Incontrare il Signore Risorto è scoprire che egli è il Salvatore di tutti gli uomini e che la sua potenza salvifica si estende nel tempo e nel mondo. È viva nei credenti la coscienza che la fede pasquale è per sua natura missionaria e testimoniale? Come la vita quotidiana può diventare luogo dell’incontro con il Risorto presente e attivo in ogni tempo? Come può l’impegno professionale, culturale, sociale porre i segni di quel mondo nuovo germinato con il Risorto? – La comunità cristiana è lo spazio storico e comunitario dove lo Spirito attua visibilmente nei segni – parola, sacramenti, comunità – la presenza e l’azione salvifica del Risorto. Le nostre comunità cristiane cercano di essere un “ambiente di spiritualità” che apre all’incontro con il Risorto e lo favorisce? Come liberarle dal diffuso ripiegamento su se stesse, dall’appagamento di una convenire consolante, delle preoccupazioni di carattere organizzativo? II. LA RADICE DELLA TESTIMONIANZA «Stringendovi a lui, pietra viva,… anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio» (1Pt 2,4-5) Il cristiano come testimone 6. Come la fede in Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, ci rende testimoni di speranza? La prima lettera di Pietro ci aiuta a rispondere a questa domanda tracciando un’immagine plastica dell’identità del cristiano, membro vivo del popolo di Dio. Rivolgendosi ai credenti dell’Asia minore, l’apostolo li esorta così a riguardo di Gesù Cristo: «Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa» (1Pt 1,8). E se ora siete «afflitti da varie prove», questo è perché risplenda il «valore della vostra fede» (1Pt 1,6.7). La testimonianza da rendere a Cristo Risorto è pure oggi soggetta alla fatica e alla prova. Essa rischia, infatti, di essere percepita come un fatto privato senza rilievo pubblico, limitata ai rapporti corti e gratificanti all’interno di un gruppo; oppure di essere ridotta a una proclamazione di valori senza mostrare come la fede trasformi la vita concreta. Il cristiano diventa testimone del Signore vivendo e comunicando il Vangelo con gioia e con coraggio, sapendo che la verità del Vangelo viene incontro ai desideri più autentici dell’uomo. Egli deve tenere congiunti i due aspetti della testimonianza, quello personale e quello comunitario, quello che si esprime nell’investimento personale e quello che manifesta il rilievo pubblico della fede. La vita culturale e sociale è l’orizzonte in cui il vissuto quotidiano dei credenti deve lasciarsi plasmare dal Risorto. È un’intuizione fondamentale del Concilio Vaticano II: la comunità dei credenti è il soggetto storico della missione della Chiesa nel mondo (cfr Lumen gentium, 10). La testimonianza dei credenti è una singolare partecipazione all’unico mandato del Risorto; nella speranza i credenti trovano la sintesi tra l’annuncio del Vangelo e il desiderio del loro cuore di uomini. È opportuno allora rimettere in luce gli elementi di fondo della testimonianza cristiana: il suo aspetto esistenziale («pietre vive»), il suo carattere ecclesiale («edificio spirituale»), la sua qualità testimoniale («sacerdozio santo»). Essere testimoni: la radice battesimale 7. Il credente cristiano riceve la chiamata a essere testimone come un dono e una promessa. All’origine del dono c’è il battesimo accolto nella fede, radicato nel mistero pasquale. Afferma san Paolo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4). L’apostolo rimanda alla vicenda di Gesù, iniziata ricevendo il battesimo nello Spirito e portata a compimento nella sua morte di croce. Messo alla prova nelle tentazioni, Gesù sceglie uno stile umile, sofferente, speso per la vita degli altri, secondo la figura del buon samaritano, che si fa carico dell’uomo così com’è, senza condizioni, fino alla completa consegna di sé per gli altri sulla croce. La radice battesimale consente di conformarsi alla storia di Gesù, diventandone testimoni. Rende capaci di essere, sentire e fare come lui, nella Chiesa e nel mondo. Il testimone è così memoria di Gesù nello Spirito: nessuno può dire che «Gesù è Signore» se non «nello Spirito» (1Cor 12,3). Il discepolo di Gesù, attraverso lo Spirito, dà alla propria vita la forma “filiale” di Gesù e assume i lineamenti stessi del Figlio. È lo Spirito che ci rende liberi: liberi e capaci di discernere e trasformare la nostra esistenza, aprendola alla fraternità. Occorre rendere vitale la coscienza battesimale del cristiano, a partire da un’attenzione speciale ai cammini di iniziazione di adulti, ragazzi e giovani, come i Vescovi hanno sovente richiamato in questi ultimi anni. Il Battesimo è già presente in modo reale come dono nel cuore e nella vita del credente e attende che la promessa che porta con sé giunga a compimento nella trama della storia. Diventare testimoni: la fede adulta 8. Di fronte al credente testimone sta un cammino di crescita e di responsabilità: «Anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). La metafora del cammino introduce l’idea del tempo, della fedeltà e della libertà, e dà alla vita cristiana un carattere “drammatico”in forma “agonistica” si cammina nella vita nuova, si vive cioè quel difficile e “agonico” dono di sé che non teme neppure la morte, perché è abitato dalla speranza del Risorto. La testimonianza del credente è così collegata con il martirio, non solo perché può arrivare sino all’effusione del sangue, ma anche perché il testimone sa che deve scomparire affinché si riveli il dono del Risorto, la sua presenza che guarisce e consola, la sua vita spesa per noi. La vita nuova ricevuta nel Battesimo deve riconoscere, perciò, che nel dono è contenuta una promessa, da accogliere e sviluppare. L’esperienza della generazione e della famiglia è il primo luogo dove ciascuno può accogliere e far crescere il dono della vita, dell’altro, del mondo. Oggi però è divenuto estremamente difficile vivere questa esperienza come scoperta dell’amore, della fiducia e della condivisione. Sono infatti messe alla prova le esperienze umane fondamentali: il rapporto uomo-donna, la sessualità e la generazione, l’amicizia e la solidarietà, la vocazione personale, la partecipazione alle vicende della società. Sottoposti alla tentazione radicale di pensare la vita come una ricerca di possesso di beni, si rischia di dimenticare che i beni sono solo strumenti per far crescere relazioni buone, con il Signore che ce li dona e con gli altri con cui condividerli. Ne va della possibilità stessa di un progetto di vita personale responsabile, vissuta come risposta a una chiamata. Non a caso ogni forma di vocazione appare in crisi: quella al matrimonio e quelle di speciale consacrazione, come pure il rapporto con il lavoro e la professione. Le comunità cristiane dovranno essere attente a coltivare cristiani adulti, consapevoli e responsabili, capaci di dedizione e di fedeltà. Ce n’è urgente bisogno. La figura adulta della testimonianza è la «fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6). Paolo ricorre a un’immagine forte ed efficace: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). La testimonianza è la fede che diventa “corpo” e si fa storia nella condivisione e nell’amore. Vivere responsabilmente in questo mondo, fiduciosi nel Dio vivente, carichi di speranza nella novità che si è manifestata nel Risorto, disponibili all’azione creatrice dello Spirito, comporta una coscienza battesimale viva, non data una volta per tutte, capace di costruire cammini e progetti di vita cristiana nuovi, affascinanti e coinvolgenti. Riconoscersi testimoni: la qualità della testimonianza 9. La vita cristiana come testimonianza ha bisogno di essere riconosciuta e promossa dalla cura ecclesiale. La Chiesa lo fa se si prende a cuore la qualità della fede dei credenti, prima che il loro impegno. Gli obblighi morali e i comportamenti con essi coerenti sono importanti, certo; ma prima di tutto va curata con estrema attenzione la qualità del rapporto con il Signore Risorto. Ci dice san Paolo: «Cristo in voi» è la «speranza della gloria» (Col 1,27). Solo il radicamento dei credenti in Cristo provoca una continua conversione alla speranza. La cura della coscienza cristiana non comporta anzitutto la proposta di un qualche specifico impegno ecclesiale o di una tecnica di spiritualità, ma la formazione e l’aiuto a vivere la famiglia, la professione, il servizio, le relazioni sociali, il tempo libero, la crescita culturale, l’attenzione al disagio come luoghi in cui è possibile fare esperienza dell’incontro con il Risorto e della sua presenza trasformante in mezzo a noi. La parola di Dio e il sacramento, la vita di comunità e il servizio al povero sono i segni privilegiati che aprono alla presenza e alla grazia del Risorto e donano senso e forza alla vita nuova soprattutto nelle esperienze fondamentali: la nascita, la crescita, l’alleanza uomo-donna, l’amicizia, il lavoro, la società, la politica, la sofferenza e la morte. Formare testimoni significa anzitutto avere cura della qualità alta della coscienza cristiana. Lo ha richiamato Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte: «È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria», la via della santità (n. 31). Il testimone si fa da parte perché appaia il volto di Cristo in lui. Questa trasparenza lo rende capace di dedizione e gratuità, di libertà interiore e disponibilità ecclesiale, di creatività umana e intelligenza sociale. Per la riflessione e il confronto – Gran parte degli uomini e delle donne nel nostro Paese hanno radici cristiane: sono stati battezzati. Molti mantengono ancora legami occasionali o riferimenti parziali alla comunità cristiana. Come valorizzare questa situazione, senza elitarismi, ma anche aiutare tutti a maturare la responsabilità di una fede adulta? – Non è facile vivere e testimoniare da credenti adulti nella nostra società complessa, dove i valori cristiani non sono più socialmente condivisi e convivono invece pluralità di orientamenti di vita e di esperienze religiose. Quali sono le fatiche e i rischi a cui oggi nel nostro Paese è esposta la vita di fede e la testimonianza dei cristiani, cui è chiesto di unire identità consapevole e capacità di incontro? – La prova non è per scoraggiare, ma per far venire alla luce ciò che realmente c’è nel cuore del credente, per creare risposta all’azione dello Spirito che sospinge verso nuove figure di santità. Come è vissuta dai credenti la sfida di questo tempo: è occasione di chiusura, di difesa e di rifugio o apre alla ricerca di nuovi stili di vita cristiana per una testimonianza gioiosa e credibile? – Nel Battesimo il Padre ci ha svelato di accoglierci e amarci in modo singolare, come figli nel Figlio Gesù, e lo Spirito donatoci attesta ogni giorno nei nostri cuori questo amore fedele. La preghiera e la celebrazione liturgica coltivano questa certezza della fede? Come la coscienza di una vita amata da Dio può diventare investimento di gratuità negli affetti, nelle relazioni e nell’impegno sociale; sentimento di radicale fiducia nella vita per l’esperienza di paternità e maternità; fondamento per la difesa e la cura della vita in ogni suo momento? Come questa coscienza può mantenere aperti alla conversione nell’esperienza della colpa? – Lo Spirito di Gesù plasma la nostra umanità a immagine di Cristo, a pensare, valutare, amare come lui. Gli incontri e le relazioni sono avvertiti come appelli dello Spirito all’accoglienza, alla misericordia, alla condivisione, alla riconciliazione? Le difficoltà, le esperienze del limite e del dolore sono vissute come i momenti in cui lo Spirito ci rigenera alla fedeltà, alla creatività dell’amore, alla disponibilità serena anche se sofferente? Nel confrontarci con altre esperienze umane e religiose, avvertiamo l’azione dello Spirito di comunione che ci aiuta a discernere e a ritenere ciò che di buono e di valido c’è nell’altro? L’impegno per la solidarietà, per la pace, per il consolidamento di valori comuni nel vivere sociale è avvertito come frutto dello Spirito di pace? – Il grembo della vita cristiana è la comunità ecclesiale. Le nostre comunità sono attente a offrire cammini di iniziazione alla vita cristiana in tutte le stagioni della vita? Si pone attenzione alla qualità delle relazioni, modellate sull’amore di Cristo? C’è sostegno verso le situazioni dove si profilano fatiche o rotture nelle relazioni familiari, emarginazioni o solitudini? Viene curato l’ascolto della parola di Dio e il confronto tra esperienze credenti perché si delineino nuovi stili di vita per una testimonianza credibile ed efficace? Si ha cura che la fede si esprima nella carità, nella ministerialità, nell’impegno professionale, culturale e sociale? III. IL RACCONTO DELLA TESTIMONIANZA «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9) Stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo redento 10. Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza? L’interrogativo concerne il rapporto tra testimone e destinatario della testimonianza. Il testimone è una sorta di “narratore della speranza”. La prima lettera di Pietro delinea i tratti della vocazione cristiana ed ecclesiale, passando dalla metafora delle pietre vive e dell’edificio spirituale a quella del popolo di Dio: stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo redento. Le quattro dimensioni del popolo cristiano non sono realtà statiche, ma dinamiche, donate per uno scopo missionario: «Perché proclami le opere meravigliose di lui [Dio] che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9). Questo è il “racconto della speranza”: proclamare i mirabilia Dei, le “opere eccellenti di Dio”. La narrazione delle opere di Dio spiega che cosa sia la Chiesa: «non-popolo» diventato «popolo di Dio», oggetto di «misericordia» (1Pt 2,10). Il racconto della speranza ha un duplice scopo: narrare l’incontro del testimone con il Risorto e far sorgere il desiderio di Gesù in chi vede e ascolta e a sua volta decide di farsi discepolo. È questa la forma dell’annuncio cristiano: «Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio… per servire al Dio vivo e vero» (1Ts 1,9-10). Ma ciò, ancor prima, definisce l’essere della Chiesa, che attesta di essere continuamente creata dal Signore mediante la parola e il sacramento e le forme della comunione fraterna che nascono dall’incontro con lui. La testimonianza non narra solo il contenuto della speranza cristiana, ma indica anche il cammino che porta a riconquistarla. La speranza, oggi come ieri, si comunica attraverso un “racconto”, nel quale il testimone dice come si è lasciato plasmare dall’incontro con il Risorto, come questo incontro riempie la sua vita e come, giorno dopo giorno, si diventa credente cristiano (christifidelis). I primi destinatari della testimonianza sono i fratelli nella fede. Nella comunità cristiana, infatti, la testimonianza si fa racconto della speranza vissuta, dei segni di risurrezione che essa ha prodotto nell’esistenza, degli avvenimenti di vita rinnovata che ha generato. In tal modo, insieme con la predicazione e i sacramenti, la speranza viene accesa e accresciuta nei fedeli. La testimonianza cristiana, soprattutto dei genitori e degli adulti, propone il dinamismo di memoria, presenza e profezia, che attinge ogni giorno la speranza alla sorgente zampillante del Risorto. La testimonianza autentica, infatti, appartiene alla tradizione entro cui ha preso corpo e che essa trasmette a sua volta, creando il nesso tra le generazioni dei fedeli. Mentre la parola di Dio e il sacramento, soprattutto nella loro sintesi liturgica, fondano la fede pasquale, il racconto dei testimoni attesta la speranza e la diffonde nei cuori. La speranza genera la testimonianza e questa, a sua volta, trasmette la speranza, in una connessione vitale e inscindibile, di cui si sostanziano la tradizione e l’educazione della fede della comunità cristiana. Per questo la testimonianza è anche espressione della paternità/maternità nella fede: i testimoni generano e rigenerano la speranza e quindi cooperano all’opera dello Spirito che dà la vita e partecipano della maternità della Chiesa. La testimonianza della speranza ha così l’insostituibile funzione di dare consistenza e stabilità all’identità consapevole dei fedeli, rendendoli capaci di essere protagonisti maturi della fede, cioè, a loro volta, testimoni per i fratelli e nel mondo. Nei decenni scorsi la Chiesa italiana ha posto l’accento sulla fede e la carità. Oggi vuole sottolineare la forza insospettata della speranza. Per questo metterà sul candelabro le esperienze che sono profezia di futuro: la vita consacrata, in particolare monastica; la vocazione missionaria, in specie ad gentesLe ragioni della speranza: la sua coscienza e azione 11. Il primo aspetto su cui occorre sostare è quello delle ragioni della speranza. Ci esorta la prima lettera di Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Nel tempo della ragione debole e del disincanto, occorre riuscire a dire che Cristo è la ragione della speranza che è in noi. Se tutto appare fluido e flessibile, Cristo è saldo e stabile. Se tutto appare passeggero, Cristo è per sempre e promette l’eternità. La testimonianza della risurrezione qualifica il modo con cui il credente vive il proprio tempo. La dimensione escatologica del cristianesimo non è alienante, ma è il “non ancora” che dà senso e direzione al tempo e all’opera “già presente”: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. […] Abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come stranieri; ogni nazione è la loro patria, e ogni patria è una nazione straniera. Si sposano come tutti e generano figlioli, ma non espongono i loro nati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi». La Lettera a Diogneto (n. 5) ci ricorda che i cristiani sono uomini e donne nel mondo, ed è lo Spirito a dotarli del pensiero critico che li rende capaci di giudicare quali aspetti della vita del mondo sono incompatibili con la coscienza cristiana. Sensibilità, passione, intelligenza: tutto questo è necessario per comprendere le ragioni della speranza cristiana. La missionarietà deve essere culturalmente attrezzata, se vuole incidere nelle mentalità e negli atteggiamenti. La società in cui viviamo va compresa nei suoi dinamismi e nei suoi meccanismi, così come la cultura va compresa nei suoi modelli di pensiero e di comportamento, prestando anche attenzione al modo in cui vengono prodotti e modificati. Se ciò venisse sottovalutato o perfino ignorato, la testimonianza cristiana correrebbe il rischio di condannarsi a un’inefficacia pratica. La testimonianza cristiana richiede di essere preparata e sostenuta attraverso incontri capillari, soprattutto a livello locale, per far cogliere alla coscienza cristiana le opportunità culturali e umane per l’annuncio del Vangelo oggi. I cristiani devono sentirsi inoltre responsabili di fronte ai mondi della comunicazione, dell’educazione e delle scienze, per far sentire la presenza della Chiesa nella società e animare con intelligenza, nel rispetto della loro legittima autonomia, i diversi linguaggi dell’arena pubblica: quello espressivo e quello scientifico, quello comunicativo e quello dell’argomentazione. Le figure della speranza: contemplazione e impegno 12. La speranza cristiana indica ai credenti anche le caratteristiche della presenza nel mondo. Il linguaggio tradizionale suggerisce una coppia di termini che ha sovente designato lo stile proprio del testimone: contemplazione e impegno. Nella stessa esperienza credente deve essere custodita sia la parola viva di Dio e i gesti sacramentali della fede, sia l’impegno costante per trasformare il mondo attuale, come anticipazione della speranza futura. Il servizio della carità ha reso la Chiesa in Italia vicina ai cittadini e al loro sentire più profondo. La carità non può ridursi però a pura e semplice azione solidale. Per questo motivo lo scorso decennio ci si è impegnati in un’importante azione di formazione alla carità propriamente cristiana che mentre pone il Vangelo alla radice della sua stessa motivazione, nel contempo lo offre come la perla preziosa di cui ogni uomo deve invaghirsi. È una carità che, proiettando ogni situazione umana nell’orizzonte dell’eternità, ne svela il senso profondo e la rende pienamente umana perché condivisa nell’amore del Padre. Tutte le forme di servizio alla persona e alla cultura devono perciò introdurre – per usare un’espressione ricorrente nella letteratura teologica del Novecento – sulle vie della mistica. In altri termini, devono essere vie che conducono a una rinnovata scoperta della Parola, dello splendore della liturgia cristiana, della ricchezza della tradizione spirituale, delle multiformi espressioni di quel genio italiano che ha saputo permeare il pensiero e le arti. Tra i percorsi della preghiera e della contemplazione e quelli della bellezza, dell’arte, della musica e delle diverse forme della comunicazione la relazione è stretta e positiva. Numerosi sono i testimoni che nel corso dei secoli hanno saputo vivere in modo esemplare questa sintesi tra contemplazione e impegno, rendendo possibile una trasmissione della fede incarnata nella vita del popolo. In preparazione al Convegno e poi nella sua celebrazione vogliamo conoscerli e riproporli; in particolare è bene fare emergere le figure di quei fedeli laici che nel corso del Novecento hanno comunicato con parole e opere il Vangelo del Risorto, offrendo a tutti ragioni forti di speranza. Modello per tutte le generazioni della fecondità di tale sintesi tra contemplazione e impegno è Maria, la giovane donna che, dicendo sì nel segreto del cuore, rende possibile l’irrompere della Speranza nella storia; la madre che segue il figlio da Cana in Galilea fino a Gerusalemme, anche lei alla scuola del Maestro; la testimone che nel Cenacolo riceve il sigillo dello Spirito, insieme ai Dodici. Per la riflessione e il confronto – L’incontro con il Risorto trasforma la mentalità e la vita dei credenti, fonda la loro azione missionaria e testimoniale, sostiene il loro impegno per un mondo rinnovato. Nelle nostre comunità cristiane viene alimentata la speranza di un rinnovamento? Come vengono valorizzate le figure vocazionali e le forme profetiche di impegno che meglio manifestano la speranza cristiana? In che modo genitori ed educatori cristiani comunicano con il loro stile di vita la speranza della novità cristiana alle giovani generazioni? Ci sono adulti nella fede, impegnati nella professione, nel mondo culturale e nella vita sociale, in cui i giovani possano trovare modelli per i loro progetti di vita e di impegno? – Il cristiano è chiamato a rendere ragione della propria speranza attraverso una permanente azione di discernimento sulla realtà. Ci sono nelle comunità cristiane esperienze che aiutano i credenti all’esercizio del discernimento spirituale? I cristiani sono aiutati a valutare criticamente i comportamenti e la mentalità correnti? Vengono offerte occasioni di riflessione sui meccanismi sociali ed economici, sui modelli culturali, sul funzionamento delle comunicazioni di massa, per aiutare a valutare possibilità e rischi in rapporto all’annuncio e alla testimonianza cristiana? – Contemplazione e impegno sono le due modalità complementari con cui i credenti debbono testimoniare la loro speranza nel mondo d’oggi. La fuga spiritualista e l’attivismo efficientista ne costituiscono le degenerazioni. Come aiutare i cristiani più impegnati a mantenere un atteggiamento contemplativo dentro la realtà? Come fare in modo che la contemplazione (nell’accostamento alla Bibbia, illuminata dai testi della tradizione della Chiesa, alla preghiera e alla liturgia), non sia solo ritualità, consolazione emotiva o intellettuale, ma susciti concreti desideri e progetti di trasformazione della vita e della realtà? È valorizzata l’esperienza estetica (artistica, musicale, ecc.) come possibile via verso la contemplazione? Come aiutare la conoscenza della tradizione orientale, più incline alla contemplazione? IV. L’ESERCIZIO DELLA TESTIMONIANZA «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15) Un cammino di assimilazione e di santità 13. Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioni che maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea? L’interrogativo punta al cuore del cristianesimo incarnato. Cristo, il Risorto, sta al centro e alimenta in noi una luce per il mondo. Lo ribadisce la prima lettera di Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori», e siate «pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). La vita rinnovata del credente, come esplicito annuncio del Vangelo e come gesto nascosto e silenzioso, è sempre testimonianza di Gesù Crocifisso e Risorto. Al credente è proposto un cammino di assimilazione all’amore del Crocifisso e alla vita nuova del Risorto. È un cammino segnato dal limite e dal peccato, ma ancor più fortemente dal dono e dal perdono di Dio in Cristo. È apertura progressiva alla vita vera e buona, bella e felice: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22). Il protagonista dell’assimilazione a Cristo è lo Spirito Santo, che abita nel cuore dei credenti e li guida sul cammino di una vita nuova. L’esistenza cristiana diventa così vita secondo lo Spirito, se accoglie la sua presenza, si apre alla sua azione silenziosa e permanente, produce i suoi frutti di comunione, matura i suoi carismi di servizio alla Chiesa e al mondo. Questo è il cammino di santità a cui ogni credente è chiamato. Questa è l’autentica vita spirituale capace di rispondere alla domanda di interiorità che, seppure talora formulata in modo confuso, emerge nel nostro tempo. Resi uomini nuovi dallo Spirito, caparra del mondo futuro, i cristiani si sentono però realmente e intimamente solidali con il genere umano e la sua storia (cfr Gaudium et spes, 1). Proprio attraverso la lettura dei segni dei tempi, che nei quarant’anni del dopo Concilio è stata un’attenzione viva della nostra Chiesa, si è cercato di superare la separazione tra coscienza cristiana e cultura moderna, favorendo un più stretto rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, praticando il discernimento comunitario e accogliendo le istanze del Progetto culturale orientato in senso cristiano in connessione con l’urgenza della nuova evangelizzazione. Oggi siamo invitati a riconoscere che questo nostro tempo ha una grande nostalgia di speranza, anche per i rischi insiti nelle rapide trasformazioni culturali, in particolare per la deriva individualistica, per la negazione della capacità di verità da parte della ragione, per l’offuscamento del senso morale. Ogni cristiano è chiamato a collaborare con gli uomini e le donne di oggi nella ricerca e nella costruzione di una civiltà più umana e di un futuro buono. Questo comporta il dedicarsi ai frammenti positivi di vita, custodendo però la tensione verso la speranza escatologica che non può mai essere del tutto esaudita. Per il cristiano testimone gli interlocutori non sono mai semplici spettatori né il contesto è realtà indifferente. Allo stesso tempo, egli non si adatta a ogni costo al contesto o ai gusti degli interlocutori. La vita cristiana non può restare rinchiusa nell’orizzonte di una cultura e di istituzioni definite, ma ha le risorse per discernere i valori dalle negatività e per valutare ciò che concorre all’affermazione della dignità della persona e ciò che la minaccia. Appaiono in proposito particolarmente illuminanti le parole di Paolo VI: «Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma sono capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna» (Evangelii nuntiandi, 20). La testimonianza cristiana è sollecitata a tener conto della maggior autonomia che l’epoca attuale attribuisce a ogni individuo, facendosi però carico dello spaesamento di molti che sperimentano la sensazione di non sapere dove si vuole andare e di non disporre di sicuri criteri di orientamento e di scelta. I discepoli sono chiamati a continuare il racconto della speranza, a scrivere una per una le opere della fede che formano una sorta di cristologia vivente. Le situazioni nelle quali si esprime la testimonianza possono così diventare una “storia del Vivente” e un invito a svolgere oggi quella “cristologia dinamica” formata dall’esperienza dello Spirito, attraversata dalla promessa del Risorto: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Per la riflessione e il confronto – Chiamati alla santità, in una vita secondo lo Spirito, i credenti devono inscrivere il loro impegno di rinnovamento dentro la cultura del proprio tempo impregnandola evangelicamente. Quali sono le possibilità e i rischi che il clima culturale presenta oggi per l’annuncio e la testimonianza cristiana? Un cammino di discernimento 14. Oggi, in una società e in una cultura fortemente pluralistiche e insieme individualizzate – per i processi di differenziazione sociale, di specializzazione delle istituzioni, di soggettivizzazione – vengono richieste ai singoli competenze e prestazioni a volte contraddittorie, in un clima di aspra competizione e di grande incertezza. Dopo il crollo delle ideologie “forti” e dopo la fine del conflitto bipolare, l’asse si è velocemente spostato verso un confronto con i fedeli di altre religioni che dal bacino del Mediterraneo sono giunti nel nostro Paese, facendo dell’Italia un ponte gettato tra Nord e Sud-Est. Ciò comporta un nuovo esercizio della speranza e una rinnovata vigilanza del nostro modo di essere cristiani in Italia e in Occidente. La cultura dell’accoglienza, del rispetto reciproco e del dialogo tra le civiltà e le religioni va sviluppata senza cedere all’indifferentismo circa i valori e senza trascurare la fisionomia culturale del nostro Paese e dell’Europa tutta. Rispetto ai processi di unificazione europea, il cammino di riconciliazione tra le varie famiglie cristiane costituisce una svolta decisiva nell’orizzonte della piena comunione nell’unica Chiesa. Senza un convinto ecumenismo, che spinga all’incontro non solo le teologie ma anche le tradizioni spirituali, non è possibile una nuova evangelizzazione nei paesi europei di antica tradizione cristiana. Le comuni radici cristiane dell’Europa potranno rinverdire la loro linfa vitale se l’ecumenismo pervaderà la preghiera e lo studio, lo scambio e il confronto tra i cristiani. Una più condivisa identità cristiana è la base anche per il dialogo con i credenti di altre religioni e con gli uomini di buona volontà. La bellezza e la forza della tradizione del cristianesimo occidentale potranno, inoltre, essere valorizzate a pieno se messe in comunicazione con la tradizione del cristianesimo orientale, in quella intima connessione che ha arricchito entrambe al tempo della Chiesa indivisa. L’Europa respirerà così a due polmoni, secondo la felice immagine proposta da Giovanni Paolo II. In questo contesto una particolare attenzione va rivolta alle trasformazioni culturali, soprattutto per il loro evidente risvolto antropologico. La testimonianza cristiana si fa carico dell’indispensabile mediazione storica della coscienza credente, che si articola e si precisa nelle concrete espressioni culturali, come evidenziato in diverse circostanze dal nostro Progetto culturale. L’attenzione dialogica e critica ai mutamenti culturali e antropologici appare oggi un’esigenza irrinunciabile della fede cristiana, della vitalità delle comunità ecclesiali, dello stesso amore cristiano. Si tratta, più precisamente, di sviluppare una continua interconnessione tra la formazione cristiana e la vita quotidiana, tra i principi dell’antropologia cristiana e le decisioni etiche, tra la dottrina sociale cristiana e le scelte e i comportamenti, per cercare con libertà, con creatività e nel dialogo con le diverse espressioni culturali le iniziative più efficaci e le soluzioni appropriate. In particolare occorre tenere presenti alcuni nodi problematici, tipici del nostro tempo, come la scissione tra razionalità strumentale (tecnologico-scientifica, giuridico-amministrativa, economico-finanziaria…) e vissuto affettivo ed emotivo; la giustapposizione di fiducia quasi illimitata nella conoscenza scientifica e tecnologica e lo scetticismo diffuso quanto alla capacità dell’uomo di conoscere la verità e il senso dell’esistenza; la rivendicazione della libertà individuale insindacabile accompagnata a una credenza largamente condivisa nel determinismo (biologico, psichico, sociale); la giustapposizione di individualismo e di apprezzamento per i valori dell’etica pubblica e del bene comune; la tensione tra nuove condizioni del lavoro, benessere sociale e giustizia internazionale. Per la riflessione e il confronto – Il credente deve essere in grado di percepire e valutare le sfide che le attuali trasformazioni sociali e culturali pongono al suo impegno di testimone che intende contribuire al rinnovamento della società e della cultura. Con quale consapevolezza e con quali atteggiamenti è vissuto il confronto culturale e religioso? Il dialogo ecumenico è percepito come opportunità significativa anche per la formazione di una comune coscienza europea? Quale apporto può dare il credente per una visione dell’uomo e per valori etici condivisi? Ambiti della testimonianza 15. È opportuno che l’esercizio della testimonianza, con i cammini e i criteri indicati, presti attenzione ad alcune grandi aree dell’esperienza personale e sociale. In tal modo si potrà dare forma storica alla testimonianza cristiana in luoghi di vita particolarmente sensibili o rilevanti per definire un’identità umana aperta alla speranza cristiana. Questi ambiti hanno una valenza antropologica che interpella ogni cristiano e ogni comunità ecclesiale. Sono da affrontare per fare emergere un sentire e un pensare illuminato dalla luce che il Vangelo proietta su ciascun campo dell’umano. E sono da vivere con la coscienza avvertita di quanto incidono sul senso globale dell’esistenza. a) Un primo ambito è quello della vita affettiva. Ciascuno trova qui la dimensione più elementare e permanente della sua personalità e la sua dimora interiore. A livello affettivo, infatti, l’uomo fa l’esperienza primaria della relazione buona (o cattiva), vive l’aspettativa di un mondo accogliente ed esprime con la maggiore spontaneità il suo desidero di felicità. Ma proprio il mondo degli affetti subisce oggi un potente condizionamento in direzione di un superficiale emozionalismo, che ha spesso effetti disastrosi sulla verità delle relazioni. L’identità e la complementarietà sessuale, l’educazione dei sentimenti, la maternità/paternità, la famiglia e, più in generale, la dimensione affettiva delle relazioni sociali, come pure le varie forme di rappresentazione pubblica degli affetti hanno un grande bisogno di aprirsi alla speranza e quindi alla ricchezza della relazione, alla costruttività della generazione e del legame tra generazioni. Per la riflessione e il confronto – Come integrare in modo autentico gli affetti nell’unità dell’esperienza razionale e morale? Quale considerazione ha nella comunità cristiana l’educazione a una vita affettiva secondo lo Spirito? Come aiutare a formulare un giudizio culturale e morale sulla mentalità corrente a riguardo della vita sessuale e sentimentale? Di quali aiuti ha bisogno la famiglia per tenere desta la fedeltà alla sua vocazione? b) Un secondo ambito è quello del lavoro e della festa, del loro senso e delle loro condizioni nell’orizzonte della trasformazione materiale del mondo e della relazione sociale. Se nel lavoro l’uomo esprime la sua capacità di produzione e di organizzazione sociale, nella festa egli afferma che la prassi lavorativa non ha solo a che fare con il bisogno ma anche con il senso del mondo e della storia. Nella società postindustriale e globalizzata il lavoro sta mutando radicalmente fisionomia e pone nuovi problemi di impiego, di inserimento delle nuove generazioni, di competenza, di concorrenza e distribuzione mondiale, ecc. Il superamento di una organizzazione della produzione che imponeva alla maggior parte dei lavoratori un’attività ripetitiva, rende oggi possibile favorire forme di lavoro più rispettose delle persone, che ne sviluppano creatività e coinvolgimento. Oggi è possibile e auspicabile la promozione della piena e buona occupazione, che non umilia cioè la persona, ma le consente di partecipare attivamente alla produzione del bene comune. Una condizione per raggiungere questi obiettivi è un’adeguata preparazione delle persone all’apprendimento continuo, che consente flessibilità di adattamento all’incessante cambiamento tecnologico. Flessibilità, tuttavia, non deve significare precarietà e nemmeno cancellazione della festa. Questa poi non va confusa con il riposo settimanale. La festa deve ritornare ai suoi aspetti di tempo dedicato al rapporto con Dio, con la famiglia e con la comunità circostante, non tempo “vuoto”, riempito con l’evasione, il disimpegno e lo stordimento. Per la riflessione e il confronto – Come aiutare a formulare un giudizio aggiornato sulle questioni del lavoro e dell’economia alla luce della Dottrina sociale della Chiesa? Come diffondere la consapevolezza che il lavoro non è solo erogabile in imprese capitalistiche, ma anche in imprese sociali (cooperative) e in imprese civili (non a fini di lucro)? Quali politiche pubbliche richiedere a favore della creazione di capitale umano e a favore del potenziamento di imprese private non a fini di lucro? Come vivere la festa cristiana non passivamente, ma come un mezzo per approfondire la dimensione relazionale, con Dio e con i fratelli? c) Un terzo ambito è costituito dalle forme e dalle condizioni di esistenza in cui emerge la fragilità umana. La società tecnologica non la elimina; talvolta la mette ancor più alla prova, soprattutto tende a emarginarla o al più a risolverla come un problema cui applicare una tecnica appropriata. In tal modo viene nascosta la profondità di significato della debolezza e della vulnerabilità umane e se ne ignora sia il peso di sofferenza sia il valore e la dignità. La speranza cristiana mostra in modo particolare la sua verità proprio nei casi della fragilità: non ha bisogno di nasconderla, ma la sa accogliere con discrezione e tenerezza, restituendola, arricchita di senso, al cammino della vita. Solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti dell’esistenza è una cultura davvero a misura d’uomo. Insegnando e praticando l’accoglienza del nascituro e del bambino, la cura del malato, il soccorso al povero, l’ospitalità dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, la visita al carcerato, l’assistenza all’incurabile, la protezione dell’anziano, la Chiesa è davvero “maestra d’umanità”. Ma l’accoglienza della fragilità non riguarda solo le situazioni estreme. Occorre far crescere uno stile di vita verso il proprio essere creatura e nei rapporti con ogni creatura: la propria esistenza è fragile e in ogni relazione umana si viene in contatto con altra fragilità, così come ogni ambiente umano o naturale è frutto di un fragile equilibrio. Per la riflessione e il confronto – Come l’incontro con le diverse forme della fragilità costituisce luogo di speranza e di testimonianza cristiane? Quale occasione di condivisione, di dialogo e di confronto con il non credente costituiscono le opere di carità e le iniziative di volontariato? Come collegare identità di ispirazione e servizio pubblico? In che senso la coscienza cristiana della fragilità umana diventa dimensione permanente dei rapporti, modo d’essere significativo per ogni ambiente? d) Un quarto ambito potrebbe essere indicato con il termine tradizione, inteso come esercizio del trasmettere ciò che costituisce il patrimonio vitale e culturale della società. Anche la cultura odierna, pur sensibile alla novità e all’innovazione, continuamente compie i suoi atti di trasmissione culturale e di formazione del costume. I mezzi della comunicazione sociale – con il loro non secondario carico pubblicitario – sono strumenti potenti e pervasivi della trasmissione di idee vere/false e di valori/disvalori, di formazione di opinione e di comportamenti, di modelli culturali. La scuola e l’università, a loro volta, sono istituzioni preposte alla trasmissione del sapere e alla formazione della tradizione culturale del Paese, attraverso modalità che spesso confliggono con l’invadenza e la sbrigatività dei mezzi della comunicazione di massa. Sono in gioco la formazione intellettuale e morale e l’educazione delle giovani generazioni e dei cittadini tutti, che hanno comunque nella famiglia il loro luogo originario e insostituibile di apprendimento. In tutti questi ambiti il credente riceve una sfida particolarmente forte sia come possibilità di contribuire al costituirsi di una tradizione di verità, sia come possibilità di far presente in essa la propria tradizione religiosa. Per la riflessione e il confronto – Che cosa significa per la speranza-testimonianza cristiana condividere il compito educativo nelle sue varie forme e livelli? Con quali atteggiamenti e con quali criteri utilizzare i mass-media, pur nella difficoltà rappresentata dalla frequente irrisione di valori umani e religiosi? Quale identità devono assumere le istituzioni culturali e di istruzione che si qualificano come cattoliche? e) Un ultimo ambito di riferimento è quella della cittadinanza, in cui si esprime la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini. Tipica della cittadinanza è l’idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi, e insieme il suo significato universale di civiltà politica. Questa duplice dimensione è oggi interpellata dall’avvento dei processi di globalizzazione in cui la cittadinanza si trova a essere insieme locale e mondiale. La novità della situazione crea inedite tensioni e induce trasformazioni economiche, sociali e politiche a livello planetario. I problemi contemporanei della cittadinanza chiedono così un’attenzione nuova sia al ruolo della società civile, pensata diversamente in rapporto allo Stato e ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, sia ai grandi problemi della cittadinanza mondiale, tra cui emergono i problemi della fame e delle povertà, della giustizia economica internazionale, dell’emigrazione, della pace, dell’ambiente. Per la riflessione e il confronto – Che cosa apporta la speranza cristiana all’impegno di cittadinanza? Come l’impegno civile, nel rispetto della sua specificità sociale e politica, può essere un modo della testimonianza cristiana? Come evitare che l’interesse per le grandi questioni della cittadinanza del nostro tempo si riduca a una questione di schieramento ideologico, stimolando invece forme di impegno significativo? Come la Dottrina sociale della Chiesa può diventare un riferimento fecondo? CONCLUSIONE “Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16) 16. Concludiamo questa traccia di riflessione, che accompagnerà la preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona, richiamando ancora la prima lettera di Pietro, che ci esorta alla «dolcezza», al «rispetto» e alla «retta coscienza» (1Pt 3,15-16). La riflessione sulla forza della testimonianza e sul dinamismo della speranza trova il suo principio fondamentale nel rinnovamento della nostra vita in Gesù Crocifisso e Risorto. Questo riferimento ci ha sospinti verso un atteggiamento di discernimento personale ed ecclesiale, per il quale queste pagine hanno solo offerto qualche spunto. L’esercizio del discernimento è del resto già una componente della testimonianza: esso non solo prepara alla testimonianza, ma già la fa vivere. Il discernimento è anche ascesi e purificazione: purifica la nostra conoscenza, e la conoscenza della realtà arricchisce la carità rendendola viva e operante nella storia quotidiana. Il discernimento è vigilanza paziente: vigilanza sempre richiesta dalla vita cristiana e pazienza oggi particolarmente necessaria rispetto alle ambivalenze dischiuse dalle trasformazioni sociali e culturali. Il discernimento, infine, va accompagnato con un atteggiamento umile nei confronti della verità, da cui nasce anche attenzione verso gli altri e verso le condizioni della loro esistenza, così che la testimonianza non sia mai fonte di divisione o di contrasto, ma sempre di edificazione. Siamo invitati a essere testimoni di Gesù Cristo, speranza del mondo in «questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena» (Paolo VI, Testamento), «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2) e «gettando in lui ogni nostra preoccupazione, perché egli ha cura di noi» (cfr 1Pt 5,7-8). Allegato IL CAMMINO DI PREPARAZIONE a) La fase di preparazione al Convegno Ecclesiale dovrà essere vissuta come un’occasione per aiutare le comunità cristiane e i credenti a riacquistare la capacità di riflettere sulle tematiche del vissuto umano e delle istituzioni in modo costruttivo, così da superare gli atteggiamenti di rimozione dei problemi o di contrapposizione. Spesso riconosciamo che i luoghi della vita quotidiana sembrano usciti dall’agenda pastorale e che pertanto i cristiani trovano difficoltà a collegare fede e vita, non soltanto sul piano della coerenza personale ma soprattutto sul piano della correlazione sostanziale. Diventa perciò importante affrontare le questioni del vissuto, non con una semplice esortazione a fare di più o meglio, ma con atteggiamenti di condivisione e di amore, che sono costitutivi della vita di Chiesa. Il Convegno viene in tal modo a proporsi come un momento di sintesi, si spera non solo estrinseca, tra due linee, l’una più pastorale, e più attenta alle prospettive della missionarietà, e l’altra più culturale, che si interroga sull’edificazione di una coscienza personale e storica dei fedeli cristiani a confronto con i diversi fenomeni che danno forma al vissuto. Sono tre le prospettive che fanno da sfondo al Convegno: la prima è quella della missionarietà, del bisogno cioè di risvegliare una coscienza missionaria, della necessità di ritrovare, non da parte di singoli ambienti ma da parte dell’intera comunità ecclesiale, un anelito nuovo all’annuncio del Vangelo. La seconda è quella della cultura, intesa come capacità della Chiesa di offrire agli uomini e alle donne di oggi un orizzonte di senso, di essere con la sua stessa esistenza un punto di riferimento credibile per chi cerca una risposta alle esigenze complesse e multiformi che segnano la vita. La terza è quella della spiritualità, quella spiritualità moderna e pasquale, una spiritualità anche e specialmente laicale, caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla simpatia per il mondo, come via di santificazione, prospettata già a conclusione del Convegno Ecclesiale di Palermo. Queste tre prospettive interagiscono con il tema del nuovo Convegno Ecclesiale, che comporta un reciproco ascolto delle molte esperienze e riflessioni che sono già in campo e che, se sapranno incontrarsi dando forma a un cammino organico, potranno aiutare nell’opera di discernimento a cui la Chiesa italiana è chiamata a Verona. b) La traccia di riflessione costituisce il punto di riferimento per l’anno di preparazione al Convegno Ecclesiale, che coincide con l’anno pastorale 2005/2006, e viene affidato alle Chiese particolari, nelle quali i Vescovi, con i consigli presbiterali e i consigli pastorali, individueranno le forme più opportune perché la riflessione coinvolga tutti e in modo particolare i fedeli laici. Le associazioni, i movimenti laicali e le aggregazioni ecclesiali tutte contribuiranno ad arricchire tale cammino preparatorio, inserendosi nel percorso che i Vescovi proporranno. La stessa scelta dei delegati diocesani che parteciperanno al Convegno dovrà essere espressione di un cammino di Chiesa, che sappia anche valorizzare le tipicità di ciascuna comunità diocesana. Le relazioni che raccoglieranno i frutti della riflessione attuata nelle diocesi, saranno trasmesse al Gruppo regionale di coordinamento, costituito dai rappresentanti di ciascuna regione nel Comitato Preparatorio, entro il 4 giugno 2006. Entro la fine di luglio 2006 i Gruppi regionali di coordinamento trasmetteranno alla Giunta del Comitato Preparatorio una sintesi regionale dei diversi contributi pervenuti, che verranno allegati alla stessa sintesi. Entro la stessa data gli organismi ecclesiali e le aggregazioni laicali a livello nazionale, come pure tutti coloro che si sentono interpellati da questa comune riflessione, potranno ugualmente far giungere i loro contributi. I Gruppi regionali di coordinamento programmeranno nel mese di settembre 2006 almeno un incontro dei delegati diocesani, per la presentazione di quanto emerso dal lavoro preparatorio in regione e per una riflessione di approfondimento che favorirà l’ulteriore preparazione degli stessi delegati. Accanto al percorso diocesano, attraverso il Servizio Nazionale per il Progetto culturale, verranno programmate iniziative articolate sul territorio nazionale, diversificate per tematiche e per forme organizzative, come tappe di avvicinamento al Convegno nelle quali saranno proposti alcuni contenuti riconducibili agli “ambiti della testimonianza”, indicati nella quarta parte della traccia di riflessione. Tale percorso nazionale itinerante, contestualizzato nel territorio, sarà realizzato con l’apporto di persone e realtà locali, in particolar modo del laicato cattolico, che esprimono la ricchezza della Chiesa che è in Italia, in una dinamica di confronto con tutti coloro che hanno a cuore il bene delle persone e della società. La stessa dinamica del Convegno e il tema posto al centro della convocazione spingono peraltro ad avviare un grande laboratorio ecclesiale, e perciò popolare, per fare emergere l’immagine del fedele cristiano quale testimone del Risorto nel mondo. c) Calendario maggio 2005: Pubblicazione della traccia di riflessione estate 2005: Pubblicazione del calendario degli incontri che daranno forma al “percorso nazionale itinerante” di preparazione al Convegno settembre 2005 – maggio 2006: Approfondimento della traccia di riflessione nelle Chiese particolari attraverso i consigli presbiterale e pastorale e nelle forme che verranno stabilite a livello diocesano 4 giugno 2006: Termine ultimo per la consegna al Gruppo regionale di coordinamento dei contributi diocesani di preparazione al Convegno 31 luglio 2006: Termine ultimo per la consegna alla Giunta del Comitato Preparatorio delle sintesi regionali e dei contributi degli organismi e aggregazioni ecclesiali a livello nazionale settembre 2006: Incontri regionali dei delegati diocesani al Convegno