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Testamento biologico, una materia delicata

div class=firma>di Marco Doldi Da tempo la Commissione Sanità del Senato sta studiando l’argomento del testamento biologico. Il progetto è quello di preparare un testo da sottoporre all’esame dell’aula nella prossima primavera, testo che potrebbe diventare legge. Ora, il lavoro del legislatore in materia così delicata deve essere supportato da un’adeguata riflessione popolare, affinché nulla sia imposto per arbitrio e quanto è deciso esprima acquisizioni condivise da tutti. Ovviamente, la legge non deve essere espressione del sentire «a pelle» al momento, in un processo di continuo superamento, cosicché domani si debba cambiare. Piuttosto ci si deve preoccupare che la gente comune non sia ingannata da chi, martellando sui mass media, propaganda l’eutanasia come scelta inevitabile e, allo stesso tempo, i genuini sentimenti di amore e rispetto della vita, largamente condivisi, non siano umiliati da una legge.

Il testamento biologico è un’indicazione sottoscritta dal paziente con la quale egli dà alcune semplici indicazioni sulle forme di assistenza che desidera ricevere o non ricevere in condizioni di incapacità di intendere e di volere. È anche possibile che nel testamento biologico si indichi la nomina di un legittimo rappresentante del paziente, che possa garantirne l’osservanza delle sue volontà. Sicuramente l’elaborazione di un tale strumento di comunicazione nel contesto dell’odierna prassi medica, presenta aspetti positivi, insieme, però, a rischi.

Un primo aspetto positivo consiste nel prolungare la relazione medico-paziente, mantenendo entrambi responsabili del prendersi cura della vita. E la responsabilità non può mai divenire dominio, chiedendo l’eutanasia. Ancora, è positivo il fatto che il paziente possa manifestare la propria opinione di sottrarsi decisamente a possibili interventi medici, che si configurino come «accanimenti terapeutici», perché non hanno efficacia clinica e sono gravemente sproporzionati rispetto al risultato. O, anche, di sottrarsi ad interventi ancora sperimentali. Positivo, infine, è il fatto che il paziente si confronti seriamente con la propria morte, accettandola come un evento che appartiene alla propria storia, ma non la conclude. Così il testamento biologico può contenere disposizioni circa l’assistenza religiosa e, dopo morte, la donazione degli organi.

Nello stesso tempo, occorre essere realisti: il testamento biologico non potrà mai prevedere esattamente tutte le decisioni da prendere nel momento finale della malattia, perché diversa è la vicenda di ognuno. Per questo motivo, è possibile indicare la nomina di un legittimo rappresentante del paziente che, d’accordo con i medici, applichi le indicazioni caso per caso. In questo senso si capisce che il paziente non è un mero ordinante né il medico un semplice esecutore. Sopra ciascuno c’è la coscienza morale, che indica quali sono i valori da applicare nei singoli momenti, così che sia possibile vivere con dignità la malattia e morire da uomini. E non da animali abbattuti, perché incurabili. Nel caso non ci fosse questo comune guardare verso il bene, verrebbe meno la stessa alleanza terapeutica.

Vivere con dignità la malattia significa avere diritto alle cure normali, che non sono da intendere come terapia e consistono nell’alimentazione, nell’idratazione, nell’aiuto alla respirazione, nell’igiene del corpo. Morire da uomini significa che la morte non è provocata né da un atto – iniezione letale – né da un’omissione di quanto dovuto. La riflessione sul testamento biologico è oggi un’urgenza e, probabilmente, diviene anche necessaria una legge che eviti taluni abusi. Nell’ascolto e nel confronto si capisce come alla medicina e ai medici non si debba chiedere di guarire, ma di prendersi cura di chi è nella malattia, affinché nessuno sia lasciato solo. Doverosamente lenite le sofferenze, la persona malata ha ancora molto da dire e dare.

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