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TERZO SETTORE: 197 REALTÀ NEL «CANTIERE WELFARE» PER UNA NUOVA SOGGETTIVITÀ POLITICA

Una nuova soggettività politica del terzo settore, “senza deleghe in bianco né acquiescenza a logiche di subordinazione”: questa la posizione comune assunta oggi dalle 197 organizzazioni del non profit italiano che si sono riunite a Milano per l’atto costituente del “Cantiere welfare”, in un incontro dal titolo “Senza inclusione non c’è sicurezza”. I promotori dell’incontro, don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della carità di Milano e Lucio Babolin, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), avevano stilato nei giorni scorsi una lettera aperta sottoscritta dalle 197 organizzazioni, nella quale si metteva in evidenza “un modo di pensare e fare politica che non ci appartiene e non corrisponde all’idea di bene comune che guida il nostro operare”: “Noi vogliamo impegnarci – si leggeva nella lettera – affinché i principi della giustizia sociale, della legalità, della lotta alle povertà, della pace, della tutela dei beni ambientali diventino prioritari e promotori di scelte politiche e orientamenti concreti”. Nell’incontro di oggi è stato rivolto “un monito bipartisan al ceto politico nel suo insieme: non ci si aspetti dal terzo settore né deleghe in bianco né acquiescenza a logiche di subordinazione”. In sostanza i promotori del Cantiere Welfare dicono “no” “ad un ruolo subalterno del Terzo settore, spesso escluso dal tavolo delle politiche, salvo essere poi chiamato ad offrire opera di supplenza istituzionale nei casi di emergenza nazionale”. “No” a rivestire solo la funzione di “ammortizzatore sociale” delle suddette emergenze. “No” alla “logica del trasferimento monetario come unica soluzione alla cronica carenza dei servizi di welfare” che rischia di “riversare sulle famiglie il peso di una vera integrazione dei soggetti portatori di disagio” e “lasciare fuori dagli interventi le soggettività più deboli (senza casa, carcerati, extracomunitari, donne maltrattate”. Le organizzazioni chiedono invece “l’avvio di una grande stagione di formazione per chi opera nel sociale”. La formazione, ha detto don Colmegna, “è la vera grande necessità di quest’epoca”: “Occorre avviare un grande processo educativo di una nuova classe dirigente del sociale, che sia giovane, colta, appassionata, in grado di trarre insegnamento dagli errori dei padri”. “Abbiamo bisogno di rilanciare la speranza – ha affermato Babolin -. La speranza che la lotta alla povertà è possibile, che le risorse ci sono, che solo politiche di inclusione, di riconoscimento dei diritti negati, di accettazione incondizionata delle diversità possono produrre benessere sociale, tranquillità, fiducia nelle istituzioni e tra la gente”.

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