Firenze
Terza lettera pastorale del cardinale Betori: annunciare la parola di Dio per cambiare il mondo
È questo il senso della nuova Lettera pastorale che il cardinale Giuseppe Betori rivolge alla diocesi di Firenze. Si intitola «La parola di Dio cresceva»: una pericope tratta dagli Atti degli Apostoli, dove più volte ricorre questa immagine: «E la parola di Dio cresceva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente», si legge ad esempio al capitolo 6, versetto 7.
È la terza Lettera, dopo «Nel silenzio la Parola» del 2011 e «Incontrare Gesù» del 2016. «Anche questa, come le due precedenti – scrive l’arcivescovo in apertura – si presenta come un invito ad approfondire alcuni aspetti della fede e a offrire orientamenti per la vita cristiana». L’obiettivo, in particolare, è quello di «gettare luce sul mistero della Chiesa, cammino della parola di Dio nella storia».
Il testo stampato in due edizioni, una di formato più grande, pubblicata da Mandragora, una tascabile, a cura delle Edizioni Toscana Oggi, che questa settimana viene distribuita a lettori e abbonati allegata al settimanale. L’edizione di Mandragora sarà disponibile in libreria.
Il testo degli Atti degli Apostoli è il riferimento dell’intera Lettera, con episodi che vanno dalla Pentecoste, ai prodigi e segni compiuti dagli Apostoli, alla vita delle prime comunità cristiane, alle persecuzioni, alla predicazione di Paolo ad Atene, alla missione a Roma. Non si tratta però solo di un testo di esegesi biblica: perché la sfida, spiega il cardinale, è quella di «pensare l’annuncio della parola come una forza capace di plasmare il volto dell’esistenza personale e sociale».
Gli Atti degli Apostoli dunque sono «la testimonianza di come la parola di Gesù cammini nel tempo e nel mondo, nonostante avversità e pericoli».
L’annuncio della parola dunque si traduce in segni concreti: «La connessione tra parola proclamata e gesti che la traducono nella vita e all’origine di quella ricchezza di dedizione al servizio dei fratelli che segna la nostra storia fiorentina dall’epoca medievale a oggi. Sono sempre più convinto che l’identità di Firenze e della sua Chiesa nasce dall’incrocio tra la cura della bellezza in quanto espressione della verità, di Dio e dell’uomo, e la cura dei fratelli, con speciale attenzione ai più deboli».
Tra i temi affrontati, anche la pandemia che ha imposto norme e limitazioni, ponendo anche la comunità ecclesiale di fronte a scelte laceranti: in questo contesto «è emerso quanto sia decisiva una corretta fede per illuminare le scelte e mantenere l’unita della Chiesa, una unità che ha poi bisogno della mediazione storica del servizio del pastore per indicare a tutti strade di comunione». La pandemia, scrive Betori, ci ha spinto a rivedere le nostre convinzioni: «Occorre ripudiare un progetto di umanità e di società che ci stava conducendo alla negazione dell’umano e alla frantumazione dei legami sociali, ubriacati dall’orgoglio che l’uomo possa bastare a se stesso, illusi che la prevaricazione sia lo strumento più efficace per giungere all’affermazione di se. Tutto questo fino a quando una pandemia ci ha costretto a tornare a parlare della morte, l’innominata degli ultimi decenni, e abbiamo dovuto capire che c’è un limite per l’uomo che pensava di poter tutto, e che se tutti possiamo essere colpiti solo insieme possiamo scampare». i credenti il compito di «dare testimonianza di come solo la fraternità salva» e «solo il farmi carico dell’altro, nell’amore, salva anche me e veramente libera».
Accanto a queste parole, aggiunge Betori, ne va posta un’altra: «la verità. C’è un profondo bisogno di verità per questi nostri giorni, a riguardo della consistenza della persona, delle sue relazioni, di un progetto sociale. Solo la verità sull’uomo e sul mondo potrà dare fondamenta solide a un futuro sociale. Per riconoscerla abbiamo bisogno di meraviglia, timore di fronte ai segni di Dio, dialogo per un discernimento comunitario, valorizzazione di ogni seme di bene ovunque esso appaia, custodia nel cuore della bellezza contemplata. Solo una comunità di uomini e donne spiritualmente più maturi, potrà generare una convivenza umana capace di frutti di verità, di bontà e di bellezza».
Una riflessione particolare è dedicata alla parresia che non è da intendersi, spiega Betori, come la rivendicazione di libertà di giudizio all’interno della Chiesa, ma come la libertà e la franchezza con cui i cristiani annunciano la parola di Dio al mondo
Dal punto di vista ecclesiale, l’arcivescovo ricorda che «il cammino della parola ha bisogno di uomini e donne che si assumano il compito di custodirla e trasmetterla. Tutti siamo chiamati a questo compito, a intercettare questa vocazione». E se è vero che «La parola cresce ogni giorno grazie all’opera di quanti sono stati condotti al Signore e quindi se ne fanno in vario modo annunciatori», oggi «la missione evangelizzatrice della Chiesa deve poter contare sulla dedizione dei fedeli laici al Vangelo. Non c’è bisogno di aver ricevuto un incarico per essere annunciatori del Vangelo».
Quanto ai destinatari, l’annuncio della parola si rivolge a tutti: oggi però c’è bisogno di «smuovere gli uomini dall’indifferenza». «Ritengo – scrive Betori – che il risveglio della domanda religiosa, o la sua esplicitazione rispetto a una ricerca di significato, incerta seppure molte volte sincera, sia oggi ciò di cui più abbiamo bisogno». Sapendo, comunque, che «L’annuncio cristiano non passa senza lasciar traccia nella storia umana».
Prima di tutto è necessario ricordare, afferma ancora l’arcivescovo, che «non è possibile comunicare il Vangelo se prima noi non abbiamo imparato a comunicare con Cristo, cioè se non abbiamo tenuto «fisso lo sguardo su Gesù», riconoscendo in lui la luce e il cuore della nostra esistenza. Non ci può essere annuncio se non a partire dalla contemplazione di Gesù, morto e risorto». «Alla luce di Cristo risorto la storia assume il volto dell’amore di Dio e noi troviamo le strade per una piena umanità, quella che rinasce come Regno di Dio».
Le ultime parole della Lettera pastorale sono quelle di Giorgio La Pira sulla missione di Firenze, portare nel mondo «un elemento equilibratore di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace», e sull’identità di ogni città dove «un posto ci deve essere per tutti».
Ecco quindi l’invito conclusivo: «pensare l’annuncio della parola come una forza capace di plasmare il volto dell’esistenza personale e sociale, è la sfida a cui rispondere nel nostro tempo. Mantenendo sempre ferma la convinzione che tale volto è il riflesso di quello di Gesù, il crocifisso risorto in cui si rivela la pienezza dell’essere, cioè l’amore».