Lettere in redazione
Terrorismo islamico e simboli cristiani
Dalla registrazione della conversazione tra due terroristi dormienti fermati di recente a Milano pare sia emersa l’intenzione di attentare a caserme, supermercati e al Duomo, simboli dei poteri forti occidentali. Ciò induce a riflettere su quanto inquieta le coscienze di chi viene da noi con visione diversa della vita. Chi è disposto a morire per qualcosa ha una mistica, ossia vive in quella dimensione di coscienza dove le cose del mondo quotidiano non sono quel tutto motivante, per il quale spesso ci alziamo al mattino, ma scenario di lotta, occasione per testimoniare la presenza della definitiva realtà alla quale si è destinati e dunque della collisione tra di essi quando il contrasto si fa stridente. Agli occhi del musulmano quali sono i luoghi nei quali la rivelazione evangelica si fa manifesta in questo periodo natalizio? Il culto, la diplomazia, la dottrina incarnano il jihad cristico della conversione entrando nel Regno «per la porta stretta»?
Certo in seno alla rivelazione coranica emergono ambiguità circa la nozione di «sforzo» (radice araba «jhd») talvolta piegata ad indicare il conflitto violento a scapito del senso prevalente di impegno a realizzare il messaggio divino sulla terra, come è altrettanto vero che nei Vangeli ricorrono espressioni «belliche» (spada, fuoco, il regno è dei violenti) spesso lette con intenzioni tendenziose. Ma il problema sta qui: come mai le moschee sono piene di giovani e le chiese di teste canute? Dov’è l’attrattiva cristiana, ciò per cui dei giovani se ne affascinano? A mio modesto parere la cattolicità occidentale ha smarrito la via per la mistica: nel Vangelo giovanneo si legge che «v’è qualcosa più importante del tempio» e di cui il tempio dev’essere testimone.
Nella «Spe salvi» si lamenta che l’Occidente ha smarrito la speranza di dare consistenza reale alla promessa mediante lo sforzo della volontà che è inghiottito dalla velocità di quei tempi elettronici che impongono il più rapido deterioramento di cose e menti. Per questo nella cattolicità è vitale quel «jihad cristiano» che superi i nazionalismi delle fedi con il loro secolare peso storico. A mio parere il richiamo del vescovo di Milano ha avuto questo intendimento. Pacifico che ciò abbia sollevato aspre critiche.
Non credo sia giusto dire generalizzando che chiese, supermercati e caserme simbolizzano l’incarnazione del cristianesimo e quindi dei possibili obiettivi terroristici «agli occhi del musulmano». Quei presunti terroristi perché solo un regolare processo potrà accertare se lo sono veramente non rappresentano gli «islamici», pur provenendo certamente da quell’area culturale, così come gli skinhead, con le loro croci celtiche, non rappresentano noi cristiani. Inoltre non mi risulta che le moschee siano piene di giovani, almeno se si riferisce all’Italia. La percentuale degli immigrati di origine islamica che frequentano luoghi di culto è piuttosto bassa, certamente non superiore a quella degli italiani battezzati che vanno in chiesa. E l’impatto con la nostra società è duro anche per loro. Il che non toglie che l’Occidente abbia davvero da riflettere sulla capacità di annunciare e testimoniare il Vangelo. E che non si debba vigilare su cellule terroristiche che si possono stabilire anche nel nostro paese, sotto la copertura di centri islamici.