Toscana

Terrore a Madrid, quelle vittime ci assomigliano

di Romanello CantiniChi prende un treno alle sette e mezza di mattina è generalmente un operaio, una commessa, uno studente. Se va a lavorare in treno vuol dire che è anche un po’ più povero di chi va a lavorare in auto. Chi ha messo una dozzina di bombe sui treni di Madrid non si è chiesto certo che colpa avessero le vittime messe sul conto. Sono lontani i tempi in cui i terroristi sparavano dentro le carrozze dei re. Ora si mira alle carrozze di un treno raso terra, contro gente qualsiasi senza protezione e senza colpa, senza casi di coscienza e senza auto blindate. «Li hanno ammazzati per essere spagnoli», diceva un cartello di protesta alla manifestazione di venerdì. Si uccide non per un perché, ma per un dove. Per essere nati dentro un paese. Per far parte di un popolo. Un peccato originale che nessuno può strapparsi di dosso. Sinistramente, quando si affaccia l’idea terribile di questo punire la gente a vagoni, Madrid non appare più tanto lontana da Auschwitz.

È impressionante notare che quello che ormai viene definito l’iperterrorismo sembra scegliere ormai come obiettivi scatole di persone dove si sta gomito a gomito: nei treni, negli autobus, nei locali pubblici. Ovunque, insomma, una sola esplosione può fare il massimo di vittime. E seguendo la logica del massimo effetto mediatico si moltiplicano gli attentati in contemporanea con effetto «notte di capodanno» come era già accaduto prima che a Madrid a Casablanca e ad Istanbul per non parlare della doppietta contro le Torri gemelle. La mente di ogni attentato pensa ormai in termini di centinaia se non di migliaia di vittime non solo a New York, ma anche nella capitale spagnola dove i treni dovevano saltare in piena stazione di Atocha.

C’è una logica aberrante, ma freddamente lucida in un fenomeno che cerca il massimo effetto mediatico a livello planetario. Quanto più gli atti di terrorismo si infittiscono tanto più devono essere sanguinosi e spettacolari per vincere il senso di assuefazione di ciò che si ripete troppo spesso. Quanto più la eco deve avere una dimensione mondiale tanto più alto deve essere il numero delle vittime per quella cinica legge giornalistica che dice che i morti in un paese lontano non fanno notizia se non sono almeno decine o centinaia. E mano a mano che la prevenzione mette sotto tutela i luoghi del potere e i simboli di un paese, il terrorismo tende a ripiegare verso obiettivi più facili come i mezzi di trasporto e i locali pubblici dove la protezione è quasi impossibile. Il terrorismo, insomma, non minaccia più alcuni, ma tutti. Quelle vittime colpite all’alba con una borsa in mano ci somigliano. Ci fanno non solo pietà, ma paura. Il terrorismo era un problema. Ora è un rischio personale.

A ciò si aggiunga che è la prima volta che il terrorismo islamico colpisce in maniera così massiccia l’Europa, che pure era già abituata ad altri terrorismi più domestici e più addomesticabili. Ciò che era Medio Oriente, poi Asia, poi Africa, poi Stati Uniti, ora diventa anche Europa, come se la Palestina fosse stata la profezia apocalittica di un mondo intero.

Per quanto barbaro e ossessionato dall’idea di morte questo terrorismo agisce con una grande lucidità politica. La Spagna era probabilmente il luogo dove più mature erano le condizioni per attuare un attentato di questo genere. Ma era anche l’anello più debole della coalizione impegnata in Iraq. Aznar, ancor più di Blair, aveva voluto schierarsi a fianco degli Stati Uniti contro il novanta per cento della sua opinione pubblica contraria all’intervento. Una strage che avesse fatto pagare al popolo spagnolo questa scelta avrebbe automaticamente trasformato il dissenso in rivolta contro il partito popolare. E così infatti è avvenuto con un tempismo perfetto a ridosso delle elezioni quando l’effetto sicuro della strage ha gettato in un panico ancora più disastroso il governo spagnolo, teso disperatamente a negare, almeno finché non si fosse votato, la radice islamica degli attentati.

È evidente che a questo punto, e non solo per la retromarcia di un partito socialista spagnolo che sa di avere inaspettatamente vinto per questa ondata di terrorismo e di pacifismo riflesso, si pone il problema della revisione delle varie presenze militari in Iraq. Anche se perfino chi preme per un ritiro dimostra chiaramente che preferirebbe non arrivare a questo punto per paura del caos e chiede insistentemente un maggiore intervento dell’Onu per potere, in un quadro diverso, mantenere una presenza militare. E tuttavia, anche se questa richiesta è giusta e legittima per cercare di ridurre l’aspetto più evidente di una occupazione, non si può ignorare che anche l’Onu in Iraq è stata fin dall’agosto scorso oggetto di un attentato che è costato la vita insieme a venti funzionari al capo della missione Sergio de Mello. Nemmeno l’Onu può cioè pensare di essere graziata dal terrorismo quando Kofi Annan è definito da Ben Laden «un criminale». Ma è anche vero che la situazione potrebbe essere alleggerita non solo da una presenza maggiore dell’Onu, ma soprattutto da un rimescolamento sotto le insegne dell’Onu delle forze militari presenti in Iraq con un appello alla partecipazione all’opera di pacificazione rivolto a nuovi stati anche islamici, anche se la loro adesione non sarà facile.

Ma al di là di un aspro dibattito che si concentra su una guerra iniziata male e finita peggio, la minaccia terroristica impone ben altre emergenze generali, dalla ricompattazione dell’Europa alla ricostruzione di un alleanza antiterroristica che comprenda la maggior parte possibile del mondo islamico moderato.

Quel che infatti più colpisce nell’ultima escalation terroristica è il fatto che Al Qaeda non è più né un luogo, né un’organizzazione, né una rete. Ora è soprattutto un modello. I terroristi non vengono da Al Qaeda, ma vanno ad Al Qaeda un po’ da ogni parte del mondo con cellule locali che si autorganizzano e si inseriscono nella guerra proclamata a livello mondiale contro l’Occidente. Prosciugare questo serbatoio fuori, ma ormai anche dentro i nostri paesi, è compito più urgente di qualsiasi azione militare.

La schedaLA DINAMICAI terroristi hanno nascosto l’esplosivo in quattordici zaini. Ciascuno aveva una decina di kg di esplosivo «Goma 2» rinforzato con chiodi e bulloni di ferro e innescato con un telefonino cellulare collegato alla carica tramite l’auricolare. Dieci ordigni sono esplosi quasi contemporaneamente su quattro treni (tre partiti da Alcalà tra le 7,05 e le 7,15 e uno transitatovi dopo essere partito da Guadalajara alle 6,50) affollati di pendolari mentre erano in tre stazioni ferroviarie di Madrid: Atocha (due treni, uno all’esterno e uno all’interno della stazione), El Pozo del Tio Raimundo e Santa Eugenia. LO ZAINETTO INESPLOSOUno zainetto inesploso è stato ritrovato tra i bagagli di uno dei treni colpiti dalle esplosione nella stazione di El Pozo: il convoglio era partito alle 7.05 dalla stazione di Alcalà de Henares. La sveglia del telefonino Motorola era stata impostata come per gli altri alle 7,40 ma l’artificiere non si era accorto che il sistema di data era quello americano (avrebbe dovuto selezionare 7,40 am). Alle 19,40 (7,40 pm) il cellulare è squillato, ma la bomba non è esplosa. LE VITTIMEIl bilancio, ancora provvisorio, parla di 201 morti e circa 1400 feriti (19 in condizioni critiche). Tra le vittime anche 22 stranieri di 12 nazionalità: 7 europei, 13 latinoamericani e 2 africani. LA RIVENDICAZIONEUna prima rivendicazione di Al Qaeda si era avuta il 12 marzo con una lettera inviata al quotidiano londinese in lingua araba Al-Quds Al-Arabi, firmato dalle «Brigate Abu Hafs al-Masri» e nella quale si faceva riferimento anche all’attacco contro i nostri militari a Nassiriya.Il 14 marzo il ministro degli interni spagnolo annuncia che è stata trovata una videocassetta nei pressi di una moschea di Madrid nella quale si rivendicano in lingua araba gli attentati di Madrid a nome di Al Qaeda e se ne annunciano di nuovi. Nel video, definito «autentico» dalla polizia, un uomo che si identifica come Abu Dujam Al Afgani, afferma che le bombe ai treni sono la risposta alla collaborazione della Spagna con gli Stati Uniti. LE INDAGININonostante il ritrovamento ad Alcalà de Henares, a 35 chilometri da Madrid, di un furgone contenente sette detonatori ed alcune audiocassette con versetti del corano, e nonostante le immediate smentite dell’Eta e di esponenti politici del partito Batasuna, il ministro degli interni Angel Aceba ha subito dichiarato di non avere «alcun dubbio» sulla responsabilità dell’Eta. Precise disposizioni perché si indicasse unicamente la pista basca erano state date alle ambasciate spagnole. Sabato la svolta, con l’arresto di tre marocchini e due spagnoli di origine indiana. Gli esecutori materiali sarebbero sei marocchini, cinque ancora latitanti e uno, Jamal Zougam, arrestato sabato. LE MANIFESTAZIONIVenerdì 12 marzo 11 milioni di spagnoli sono scesi in piazza per manifestare «Con le vittime, con la Costituzione, per la sconfitta del terrorismo». A Madrid sono due milioni e mezzo: in testa al corteo il principe ereditario Felipe, con le sorelle Elena e Cristina, il primo ministro Josè Maria Aznar, i due candidati alle elezioni politiche Mariano Rajoy e Jose Luis Rodriguez Zapatero, i leader europei Silvio Berlusconi, il francese Raffarin, il portoghese Barroso e il presidente della Commissione Ue, Romano Prodi. I PRECEDENTIQuello dell’11 marzo a Madrid è uno dei più gravi atti terroristici compiuti negli ultimi venti anni in tutto il mondo. Ecco i precedenti.

• 23 ottobre 1983 – LIBANO: Due camion imbottiti di esplosivo e guidati da kamikaze vanno a schiantarsi contro il quartier generale dei Marines americani e del contingente francese a Beirut con un bilancio, rispettivamente, di 241 e 58 morti.

• 23 giugno 1985 – IRLANDA: A largo delle coste irlandesi un attentato compiuto da militanti radicali sikh provoca lo schianto in mare di un Boeing 747 dell’Air India con a bordo 329 persone in volo da Montreal a Bombay. Nessun superstite.

• 21 dicembre 1988 – SCOZIA: Un Boeing 747 della Pan Am esplode in volo sui cieli di Lockerbie, in Scozia, provocando la morte delle 250 persone a bordo e di 11 a terra. I libici si assumono la responsabilità dell’attentato.

• 12 marzo 1993 – INDIA: tredici bombe esplodono nel centro di Bombay e in particolare nella sede della Borsa valori. I morti sono 246.

• 30 dicembre 1996 – INDIA: Una bomba devasta un treno nello Stato indiano dell’Assam, uccidendo 300 persone. L’attentato è attribuito ai separatisti Bodo.

• 7 agosto 1998 – KENYA E TANZANIA: Due attentati simultanei prendono di mira le ambasciate americane in Kenya e Tanzania con un totale di 224 morti (213 a Nairobi e 11 a Dar es-Salam).

• 10 agosto 2001 – ANGOLA: In Angola un attentato dei ribelli Unita contro un treno provoca 260 morti.

• 11 settembre 2001 – USA: l’attentato più sanguinoso della storia con un bilancio di 3.021 morti. Diciannove pirati dell’aria dirottano quattro aerei: due vengono fatti schiantare sulle torri gemelle del World Trade Center di New York, uno sul Pentagono a Washington. Il quarto aereo precipita in Pennsylvania.

• 12 ottobre 2002 – INDONESIA: tre esplosioni a Kuta Beach, nell’isola di Bali. Muoiono 202 persone, tra cui numerosi turisti occidentali. Tra i principali sospettati, la rete islamica Jemaah Islamiah, ritenuta legata ad al Qaida.

• 26 ottobre 2002 – RUSSIA: 41 guerriglieri ceceni assaltano il teatro Dubrovka di Mosca, prendendo in ostaggio circa 800 persone. I guerriglieri minacciano di far saltare il teatro, ma due giorni dopo un blitz delle forze speciali russe uccide tutti i guerriglieri. Muoiono anche 129 ostaggi, la quasi totalità avvelenati dai gas usati dalle forze speciali.

• 2 marzo 2004 – IRAQ: almeno sei esplosioni a Kerbala, dove i fedeli sciiti commemorano l’Ashura: muoiono 106 persone. Pochi minuti dopo a Baghdad, tre kamikaze si fanno esplodere nella moschea di Khadimija: 65 morti.

In Regione bandiere a lutto e tre minuti di silenzioTre minuti di silenzio per testimoniare la commossa solidarietà con le vittime di Madrid e con tutto il popolo spagnolo e per dire no al terrore e alla violenza. Lunedì scorso, alle 12 in punto, personale e amministratori regionali si sono raccolti nel cortile di Palazzo Bastogi, sede della presidenza, e nel piazzale del Centro direzionale di Novoli per partecipare alla cerimonia di commemorazione che ha unito oggi tutti i popoli dell’Unione europea.

«Siamo qui – ha detto brevemente il vicepresidente della Regione, Angelo Passaleva – per manifestare la nostra solidarietà alle famiglie dei lavoratori e degli studenti barbaramente assassinati a Madrid e per ribadire la nostra assoluta opposizione al terrorismo e all’uso della violenza. Ma anche per chiedere che governi e organizzazioni internazionali affrontino con la saggezza della politica le cause che alimentano il fenomeno del terrorismo internazionale».

E anche in Consiglio regionale è stato osservato un minuto di silenzio in apertura della seduta di martedì. Bandiere a mezz’asta in segno di lutto erano state esposte sul balcone di Palazzo Panciatichi sede del Parlamento toscano, per decisione del suo presidente Riccardo Nencini, e immediata solidarietà al popolo spagnolo era stata espressa fin da giovedì scorso da Angelo Passaleva: «Non riesco ad immaginarmi niente di più brutale e vigliacco di bombe fatte esplodere su treni di pendolari – aveva scritto il vice-presidente della giunta regionale–. Questa strage, nella sua gravità senza precedenti, rimarrà nella storia come un 11 settembre europeo e come tale esige la condanna più netta e la solidarietà di tutti i popoli. Le istituzioni e i cittadini toscani sono vicini alla Spagna in questo momento così grave e doloroso».

Condanna e verità. Documento della Conferenza episcopale toscana