Toscana

TERREMOTO HAITI, MONS. AUZA (NUNZIO): AIUTATECI A RICOSTRUIRE CHIESE, SEMINARI E SCUOLE

“Aiutateci a ricostruire la cattedrale di Port-au-Prince, le nostre chiese e case parrocchiali, i nostri due seminari maggiori, le nostre numerose scuole e case di formazione che il terremoto ha completamente raso al suolo o messo fuori uso”. E’ questo l’appello di mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico ad Haiti, in una lunga intervista rilasciata al SIR. “Per fortuna, man mano che abbiamo informazioni più precise, il numero dei morti tra sacerdoti, religiosi/se e seminaristi si rivede al ribasso – dice mons. Auza -. Proprio oggi mi hanno detto che alcuni dei seminaristi che pensavamo fossero sotto le macerie si sono fatti vivi in questi ultimi giorni! Erano talmente scossi che se ne erano andati senza informare nessuno. Ma il numero dei seminaristi maggiori diocesani resta alto: 16 morti fino adesso e alcuni feriti”. A livello materiale la Chiesa cattolica ha perso “i suoi gioielli architettonici, parte rilevante del patrimonio culturale nazionale: la cattedrale, la chiesa del Sacro Cuore, il santuario della Madonna del Perpetuo Soccorso, la chiesa dell’Assunta, la chiesa di Santa Rosa di Lima… L’ospedale San Francesco di Sales che appartiene all’arcidiocesi è stato distrutto al 90%, con un centinaio di persone ancora sotto le macerie” ma “continua a funzionare, con sale operatorie improvvisate” e medici arrivati dagli Usa. “Spero che questa volta l’assistenza internazionale sarà davvero a lungo termine” e si adotti davvero “una strategia di ricostruzione simile al Piano Marshall”: “Sarebbe l’unico modo per far uscire Haiti dal suo sottosviluppo, soprattutto per evitare che il Paese diventi ancora più povero di prima”, dice ancora mons. Bernardito Auza. I soccorsi cattolici della rete Caritas hanno già definito i principi e le strategie a medio e lungo termine, che prevedono “4/6 settimane di aiuto materiale massiccio”, quindi il classico “food for work”, ossia “far lavorare le persone affinché possano provvedere con dignità alle loro necessità”, e la distribuzione “di piccole somme a chi non può lavorare”. “Vorremmo però evitare la distribuzione massiccia e protratta di aiuti materiali – sottolinea mons. Auza -, perché non promuove la dignità delle persone che possono comunque lavorare e non favorisce l’economia e la produzione locale”. Come strategia a lungo termine, “occorre promuovere progetti che possano contribuire allo sviluppo, all’espansione dell’economia. Ad esempio aiutare gli agricoltori ad aumentare la loro produzione. Già prima del terremoto Haiti importava circa l’80% dei suoi fabbisogni alimentari. Credo che le strategie che la comunità internazionale adotterà non saranno molto differenti dalle nostre”.“Nonostante tutte le critiche – alcune fondate, altre rivelatrici di un’ignoranza sulla realtà haitiana e sulle sfide che incontra la distribuzione su larghissima scala di aiuti umanitari – occorre riconoscere l’immenso lavoro che la comunità internazionale ha fatto e tuttora fa”. Così mons. Bernardito Auza, commenta le critiche fatte nei giorni scorsi all’organizzazione e al coordinamento generale degli aiuti alle persone terremotate. “La mia risposta dovrebbe essere tanto complessa quanto la problematica – afferma -. Penso che le ‘debolezze’ siano da entrambe le parti. Da parte haitiana, occorre ricordare che Haiti è un Paese molto povero e già prima del terremoto le infrastrutture erano molto scarse e deboli. Quelle che esistevano sono state poi distrutte dal terremoto. In uno stato tale, la distribuzione degli aiuti da parte della comunità internazionale ha incontrato e tuttora incontra tante sfide”. Da parte di soccorritori e volontari, prosegue mons. Auza, “vi sono quelli che vengono ad aiutare solo per alcuni giorni, per cui, invece di essere di grande aiuto, contribuiscono ad un incubo logistico. Una parte rilevante viene senza un appoggio locale e senza un partner sul terreno. Vengono con aiuti ma non sanno come distribuirli”.“Vi sono anche organizzazioni – prosegue il nunzio ad Haiti – che portano aiuti di cui le vittime non hanno bisogno in questa fase dell’emergenza, come vestiti usati. Alcuni, sì, vogliono essere protagonisti e amano prendere il comando in questo o quel settore, ma credo che siano una piccolissima minoranza”. Portando l’esempio di un volo charter arrivato pieno solamente d’acqua, mons. Auza consiglia “innanzitutto di inviare soldi anziché aiuti materiali, perché è la forma d’aiuto più flessibile e facile ad inviare. Possiamo impiegarli a secondo delle necessità della gente”: “L’acqua, evidentemente, è un componente fondamentale dei primi aiuti a fornire. Ma è il modo migliore per aiutare, nel momento in cui i costi del trasporto diventano molto più elevati del valore dell’aiuto stesso?” si chiede. Da parte cattolica i soccorsi organizzati dalla rete Caritas (insieme alla Chiesa locale e alla nunziatura che coordina e ospita gli incontri) “rimangono un punto di riferimento forte ed innegabile”. “Il ruolo della nostra vasta ed articolata infrastruttura ecclesiale, in primo luogo le parrocchie, è molto importante – riconosce -. Dobbiamo utilizzare la nostra autorità morale per calmare le folle durante le distribuzioni, perché non abbiamo sempre a disposizione le scorte militari”.Sir