Italia

Terremoti, maremoti, alluvioni: tutti possiamo contribuire a ridurne gli effetti negativi

«Affrontare un rischio naturale non è facile ma tu puoi fare molto per ridurne gli effetti». È il messaggio che apre lo spot della campagna di comunicazione nazionale sulle buone pratiche di protezione civile «Io non rischio», edizione 2017. Nel video i cittadini sono invitati a partecipare, il 14 ottobre, nelle piazze dei 107 capoluoghi di provincia italiani, agli incontri durante i quali i volontari di protezione civile affronteranno i temi del rischio sismico, alluvione e terremoto.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=14&v=p7BNHjiqT48

Giunta al settimo anno, quella del 2017 sarà un’edizione speciale perché rispetto al passato si arricchisce di iniziative ed eventi legati alla conoscenza dei luoghi e dei rischi realmente presenti sul territorio. La campagna «Io non rischio» è promossa dal Dipartimento della Protezione civile con Anpas-Associazione nazionale pubbliche assistenze, Ingv-Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e Reluis-Rete dei laboratori universitari di ingegneria sismica ed è realizzata in accordo con Regioni e Comuni. Ne parliamo con Romano Camassi, ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e coordinatore della campagna.

Qual è l’obiettivo della campagna?

«L’obiettivo è rendere consapevoli i cittadini del fatto che esistono rischi con caratteristiche diverse per ciascun territorio e far capire che sia come singoli sia come comunità si può fare qualcosa fin da subito per ridurre i potenziali effetti negativi dei rischi naturali. L’obiettivo non è semplicemente dare informazioni che servano in situazioni di emergenza, ma per attivare le persone adesso perché si possono fare tutta una serie di azioni da quelle più complesse che riguardano le amministrazioni a quelle più semplici, che riguardano il singolo cittadino per ridurre le conseguenze dei futuri terremoti, maremoti e alluvioni».

Il nostro è un Paese esposto a rischi naturali: gli italiani ne sono consapevoli?

«La consapevolezza varia in base alla frequenza degli eventi. Gli psicologi dicono che la memoria dell’evento traumatico persiste per due o tre generazioni al massimo: questo significa che dove i terremoti possono essere molto forti, ma lontani nel tempo, questa consapevolezza tende drammaticamente a svanire e ciò condiziona le scelte che si fanno dalla ristrutturazione della casa da parte del cittadino ai piani regolatori».

Quanto i comportamenti individuali e collettivi possono ridurre l’impatto dei rischi naturali?

«In maniera fondamentale ed essenziale. Spesso constatiamo che forti terremoti o grandi alluvioni, di dimensioni enormemente superiori ai nostri, in certe realtà, come gli Stati Uniti, il Giappone, la Nuova Zelanda o il Cile, hanno un impatto ridotto, grazie alle scelte di prevenzione attuate. Per terremoti importanti come quelli che interessano il nostro territorio nazionale e per le alluvioni potenzialmente potremmo essere in grado di ridurre moltissimo il loro impatto. È un risultato che non si ottiene in pochi anni, ma grazie a coraggiose scelte di lungo periodo. Finora, però, scelte drastiche, con rare eccezioni, non sono state adottate».

Quali sono le scelte drastiche di cui parla?

«Per quanto riguarda terremoti e maremoti significa una pianificazione urbanistica rigorosa, regole costruttive stringenti e il rispetto delle medesime regole. Per quanto riguarda le alluvioni sarebbe necessario cambiare destinazione alle aree inondabili. In certi luoghi bisognerebbe proprio eliminare la presenza di insediamenti abitati».

Quali sono le conoscenze indispensabili per un cittadino rispetto a terremoti, alluvioni e maremoti?

«La conoscenza del proprio ambiente e delle sue caratteristiche, con la pericolosità naturale da terremoti, maremoti e alluvioni. Ma questo tipo di conoscenza non arriva attualmente né attraverso la scuola né attraverso l’esperienza quotidiana. Su questo bisogna fare un grosso lavoro di recupero di memoria locale e di integrazione di conoscenze nei curricula scolastici. Resta poi la preparazione nella gestione delle emergenze: in alcune parti del Paese si fa regolarmente, per esempio con le prove di evacuazione scolastica che servono sia a imparare a gestire delle abilità per affrontare le emergenze sia a conoscere i pericoli tipici dei nostri territori. È necessario un cambio di mentalità e di approccio culturale ed è proprio l’obiettivo che vuole raggiungere la campagna “Io non rischio”».Che risultati avete avuto finora?

«Pensiamo di aver raggiunto circa un milione di persone nelle piazze negli scorsi anni. Abbiamo realizzato indagini per capire, attraverso questionari e interviste telefoniche, la consapevolezza acquisita dalle persone rispetto ai temi della campagna. Abbiamo la sensazione che la coscienza del livello di pericolosità del luogo dove le persone vivono è decisamente inferiore alla pericolosità naturale che conosciamo attraverso il lavoro di ricerca. In futuro contiamo di trovare degli indicatori che diano un’informazione sugli effettivi cambiamenti di comportamento delle persone, dopo la nostra campagna».

I comportamenti giusti da adottare devono essere insegnati a partire dai più piccoli?

«Al momento la campagna è disegnata principalmente per le famiglie, ma, dopo il 14 ottobre, nell’anno scolastico 2017-18 parte una sperimentazione della campagna “Io non rischio”, per un progetto con caratteristiche simili, in una selezione di scuole primarie italiane. L’idea è puntare l’anno prossimo a fare una campagna massiccia di comunicazione nelle scuole con gli stessi obiettivi della campagna di piazza perché è indispensabile che a partire dalla scuola primaria i nostri figli affrontino il tema».

Come si svolgerà quest’anno la campagna?

«Sarà concentrata in un giorno, sabato 14 ottobre, nei capoluoghi di provincia, dove le associazioni territoriali confluiranno per il dialogo di piazza tra volontari e cittadini. In più saranno organizzati alcuni eventi collaterali: percorsi di scoperta del territorio, trekking urbano, caccia al tesoro, per coinvolgere più direttamente la popolazione. Inoltre, divulgheremo la campagna attraverso i media con uno spot in animazione sulle reti nazionali e utilizzeremo molto i social network».

Qual è il ruolo dei volontari nella campagna?

«In piazza non ci sono i ricercatori degli enti coinvolti, ma volontari di associazioni locali di protezione civile che normalmente svolgono un servizio per le comunità. Il messaggio così è molto più diretto e comprensibile».