Toscana

TERRA SANTA, SULLA NATIVITA’ DI BETLEMME LA BANDIERA DI FIESOLE

I suoi capelli sono neri come la pece, la sua pelle mulatta come la maggior parte delle donne del Medio Oriente. Dalle sue mani di funzionaria del governo di Abu Mazen passa l’ipotesi di ripresa di un segmento dell’economia palestinese che, come le auto con la targa araba, si è fermata ai check-point controllati dai ragazzi-soldato dell’esercito israeliano. Su un aereo di linea, lei, musulmana a stretto contatto con l’Occidente, confessa le sue speranze: quelle che ha riposto nel nuovo primo ministro e soprattutto nella Road Map. È il primo venerdì di giugno. Una settimana dopo, il fragile processo di pace in Terra Santa cade ancora una volta sotto le bombe dei kamikaze e i colpi dei missili con la stella di David. Lei lo temeva: «Non sarà facile riuscire a controllare le frange più estreme». E con due cifre sintetizza gli ostacoli di un cammino che non ha ancora imboccato il viale del cessate il fuoco. «Dall’inizio della seconda Intifada – afferma – il consenso dei gruppi terroristici è passato dal 15 al 40%». Come a dire che un palestinese su due appoggia gli attacchi suicidi contro uno Stato – Israele – che stringe d’assedio i territorio dell’Autorità palestinese, accerchia le città musulmane con insediamenti dei coloni che nascono come funghi in poche settimane, attacca con tank e missili le «zone calde», risponde con le armi alle sassaiole dei ragazzi di Betlemme che vengono respinti dai carri armati nelle vie del centro per concedere ad un generale di visitare la Basilica della Natività.

Chi passa nelle città che faranno parte del futuro Stato palestinese tocca con mano le ragioni per cui l’integralismo religioso ha fatto breccia fra gli arabi. Anche se le raffiche di mitra o il boato di un’esplosione non sono parte del sottofondo quotidiano, il clima è quello di una guerra latente che si fa sentire soprattutto alla voce «economia». A Betlemme, da due anni, le botteghe sono sbarrate. E decine di famiglie finite sul lastrico. Nazaret, città a maggioranza araba anche se a pieno titolo nello Stato d’Israele, viveva di turismo: oggi non più. Gerico, la futura capitale dello Stato palestinese, è una città isolata dal resto del mondo. I suoi trentamila abitanti non possono né entrare né uscire. Ogni mezzo arabo si ferma alla frontiera che divide due nazioni. E Samar, che ha 22 anni e studia informatica, ha già il destino segnato: sarà un disoccupato che affiderà il suo avvenire al processo di pace. E quando anche la ben che minima tregua si allontana, come in questi giorni, il suo obiettivo diventa la fuga all’estero o un passaporto giordano che cancelli ogni traccia della sua appartenenza alla Palestina.

La bandiera della pace che dalla diocesi di Fiesole è stata consegnata al custode della Basilica della Natività, padre Ibrahim Faltas, sventola sul tetto della scuola dei francescani. E con i colori dell’arcobaleno sintetizza il desiderio di due popoli che può essere toccato con mano percorrendo la Terra Santa. Anche se, sia i palestinesi che gli israeliani devono fare i conti con le fazioni radicali. E a Gerusalemme la destra ortodossa è scesa in piazza a un tiro di schioppo dalle mura dell’antica città per contestare Sharon e la sua politica di apertura alla Road Map. Sembrava un concerto patriottico agli occhi dello straniero che si era imbattuto nella lunga processione dei manifestati: in realtà era l’ennesimo scoglio che si frapponeva fra la guerra e una parvenza di armistizio.Giacomo Gambassi