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Terra Santa, la Chiesa investe sui sogni dei giovani
La delegazione della Federazione italiana dei settimanali cattolici in questi giorni in Terra Santa, ha fatto visita questa sera a Betlemme e alla Casa d'accoglienza per bambini disabili abbandonati «Hogar Nino Dios», da tutti conosciuta come la «Casa dei Gesù bambini». Ecco il servizio. Riproponiamo al proposito anche uno dei servizi di Daniele Rocchi, inviato del Sir anche in questa circostanza.
Per un cristiano tornare in Terra Santa é sempre una grande emozione. È un ritorno alle proprie origini: là dove tutti siamo nati. L’emozione però si trasforma spesso in sofferenza nel vedere i contrasti che ancora esistono e che ampliano nei sentimenti i muri materiali che ormai circondano tutti i Territori palestinesi.
L’abitudine al conflitto latente l’hanno sperimentata direttamente i dieci componenti del gruppo dei settimanali cattolici, guidato dal presidente della Federazione, Francesco Zanotti, quando oggi a Betlemme si sono trovati a pochi passi dagli scontri nei pressi della Tomba di Rachele tra giovanissimi palestinesi e militari israeliani. Da una parte lancio di sassi e incendio di bidoni, dall’altra cariche con lacrimogeni e spari, in una giornata che ha registrato due diversi attentati con morti, a Tel Aviv e in Cisgiordania, per la cosiddetta «Intifada dei coltelli».
Ma mentre il manipolo di giovani di Betlemme si scontrava con i soldati della Stella di David, poco metri più in là, a parte il traffico impazzito, la vita si svolgeva regolarmente e il suk era affollato come ogni pomeriggio. «Fa parte del nostro quotidiano», ammette con naturalezza chi in questa Terra ci vive anche se non ci è nato come Vincenzo, laico fidei donum di Mazzara Del Vallo che qui ha pure trovato moglie e ora ha due gemelli. O come «abuna Mario», ovvero don Mario Cornioli, sacerdote della diocesi di Fiesole, ma originario di Sansepolcro, che ha accompagnato il gruppo anche nella visita a Gaza del giorno precedente.
A preoccupare le famiglie musulmane sono in questo momento proprio i figli adolescenti, quelli che danno vita agli scontri e che potrebbero anche trasformarsi in terroristi. «Ma noi non lo siamo, non lo vogliamo essere e vogliamo che il mondo lo sappia», dice Yasmeen, quindicenne della Holy Family School, a Gaza, gestita dal Patriarcato latino di Gerusalemme, aiutata anche dalla Cei, attraverso la Fondazione Giovanni Paolo II, grazie ai contributi dell’otto per mille. La Holy Family è una delle tre scuole cattoliche attive nella Striscia, rinomata per l’istruzione che fornisce ai suoi allievi, 647 di cui solo 72 di fede cristiana, al punto che anche i membri di Hamas, l’organizzazione politica che governa la Striscia ambiscono a iscrivervi i loro figli. «La nostra resistenza la facciamo studiando», conclude la ragazza di Gaza.
Come Yasmeen sognano un futuro diverso anche i giovani che ogni giorno studiano e lavorano nei laboratori della Scuola dei Salesiani a Betlemme, anche questa in parte sostenuta con progetti finanziati dalla Chiesa italiana con fondi dell’otto per mille. Qui i più richiesti sono gli elettricisti. Tanti altri lavori non si trovano più. Si avvertono ancora gli strascichi negativi della seconda Intifada, quella dell’inizio del Duemila, che ha avuto conseguenza devastanti sull’economia di Betlemme. Per non parlare di Gaza, dove la disoccupazione si avvia verso il cinquanta per cento di una popolazione di quasi due milioni di persone di cui più della metà giovani. È impressionante il momento dell’entrata a scuola, la mattina molto presto rispetto a noi, ma soprattutto all’uscita in tarda mattinata quando i ragazzi, ma soprattutto le ragazze, tutte con il velo bianco, sciamano come formiche per le sconnesse strade di Gaza in mezzo a un traffico senza regole dove tutti corrono a clacson spiegati.
Molti giovani vorrebbero andarsene, ma uscire dalla Striscia è praticamente impossibile. La piccola parrocchia locale, guidata dal brasiliano padre Mario da Silva cerca di promuovere dei progetti per dare loro lavoro ma senza riuscire a soddisfare tutte le richieste. In questo senso, la visita a Gaza ha fatto condividere alla delegazione Fisc il dramma di tanta parte della gente del posto, in modo particolare dei pochi cristiani rimasti «a cui dobbiamo – è stato detto – non solo un pensiero costante, ma anche un impegno concreto a loro favore una volta rientrati in Italia».
Un impegno concreto, intanto, è quello delle suore, che in Terra Santa sono attive dappertutto con particolare attenzione a chi è in maggiore difficoltà, come i bambini dell’orfanotrofio di Gaza, gestito dalle Sorelle della carità di Madre Teresa, o l’Istituto «Effeta Paolo VI» di Betlemme, per bambini e ragazzi sordomuti o autistici, dove operano le Dorotee di Vicenza con in testa la dinamica suor Piera. C’è poi la scuola cattolica maschile, quella femminile, che cerca di impegnare anche le mamme attraverso varie attività in un ambiente, quello musulmano, che rimane maschilista. Con l’otto per mille la Cei, rappresentata in questo viaggio da don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo, cerca di dare un aiuto in quasi tutti i casi. Perlomeno a Betlemme, mentre a Gaza si prepara a costruire un asilo accanto a un centro per donne in un piccolo villaggio beduino alle porte della città.