Opinioni & Commenti

Terra Santa, facciamoci carico di una speranza

di Alberto MigoneIl pellegrinaggio in Terra Santa ha uno spessore che lo distingue da ogni altro convergere verso luoghi anche molto cari alla spiritualità cristiana.

Qui infatti si è realizzato l’Evento su cui si fonda la nostra fede: nascita, vita, morte, resurrezione di Gesù, il figlio di Dio fatto uomo, il Salvatore. È la storia della nostra salvezza che in Palestina diventa anche una geografia della salvezza che le scoperte archeologiche autenticano con precisi riferimenti per cui – in alcune località – possiamo dire con certezza storica: qui Maria ha pronunciato il suo sì, qui Gesù ha parlato, curato i malati, scelto i discepoli, qui è morto ed è resuscitato. Certo poi queste certezze storiche per diventare verità credute e vissute chiedono l’adesione della fede e l’impegno feriale, ma visitando questi luoghi il cuore arde, come ai discepoli di Emmaus e riprendiamo fiduciosi il cammino. Veramente come cristiani qui siamo nati, anche se gli interrogativi posti interpellano da allora ogni uomo.

Ma questa terra, dove zone fertilissime cedono rapidamente al deserto, diventa anche parabola delle contraddizioni che ora la segnano, soprattutto alla luce del messaggio evangelico. Gesù ha pregato ardentemente per l’unità e ha invitato i suoi a spendersi per realizzarla, ma qui la divisione tra cristiani emerge in una durezza che spesso diventa contrapposizione. Il luogo dove Gesù, facendosi ponte, ha realizzato la pace tra cielo e terra sperimenta ormai da troppo tempo guerra e terrorismo e il muro che la segna, separando e di fatto opprimendo i più deboli, alimenta ulteriormente odio tra due popoli che in ugual misura hanno diritto a dire: «Questa è la nostra patria».

Un episodio per tutti. Alle porte di Gerico, «città dimenticata», con i suoi 30 mila abitanti letteralmente rinchiusi, può succedere che al posto di blocco israeliano ai soldati non risulti il nostro permesso per entrare assieme a una delegazione di San Giovanni Valdarno, gemellata con la locale comunità cattolica composta da circa 110 famiglie. Soprattutto sembra non possa passare l’autista, un palestinese ma con regolare passaporto. I soldati, giovanissimi, sono cortesi ma c’è già tensione.

Anche noi ci attiviamo: c’è una serie di telefonate a Gerusalemme a padre Faltas per tentare di sbloccare la situazione. Solo quando il vescovo Giovannetti telefona all’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede la situazione si sblocca definitivamente. Un particolare colpisce. Un camioncino destinato a rimanere in fila è carica di ortaggi e di frutta di Gerico. Come arriverà questa frutta a Gerusalemme? Riuscirà quest’uomo a venderla? In quell’uomo si coglie l’umiliazione che porta all’avversione e fra l’avversione e l’odio il passo è breve.In questa situazione i cristiani, già esigua minoranza, rischiano di scomparire del tutto. La terra di Gesù potrebbe così non avere più una presenza cristiana.

Cogliere questi paradossi addolora e spinge a farsi carico di questa terra, con la preghiera e un amore che sappia però tradursi in presenza e gesti, come quello che ha caratterizzato il pellegrinaggio delle diocesi di Fiesole e di Montepulciano-Chiusi-Pienza: l’inaugurazione a Betlemme di una scuola materna per trecento bambini, significativa in sé, ma soprattutto perché tanti e insieme hanno «progettato, osato e lavorato con fraternità aprendo così una finestra sul futuro dei più piccoli di questa Terra Santa».

350 toscani in Terra Santa. Cronaca del pellegrinaggio