Italia

Teologi toscani alla scoperta della religiosità del Sol Levante

Otto giorni alla scoperta della tradizione e della cultura religiosa giapponese. Questo il programma che ha visto coinvolti gli otto docenti della Facoltà teologica dell’Italia centrale, senza dimenticare le comunità missionarie che da tempo svolgono un’opera importante nel Paese, come i saveriani che li hanno accolti nei primi giorni. Un viaggio che è passato dalla visita di Osaka, con il Castello di Toyotomi Hideoshi, e la cattedrale cattolica Tamazukuri a Nara l’antica capitale giapponese con il tempio Todai-ji sede della Grande Budda Vairocana. Proseguito con la permanenza al Monte Koya per il convegno e la visita dei templi il viaggio è finito nella splendida Kyoto, con la visita alla comunità claustrale delle carmelitane scalze e al vescovo locale Paulo Otsuka responsabile per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale giapponese. Monsignor Otsuka durante l’udienza ha sollecitato la facoltà fiorentina a continuare nel cammino di scambio culturale intrapreso con la Koyasan University e i monaci del Monte Koya.

di Enrico Viviano

Il Veni creator spiritus riecheggia nella modernità di un salone di conferenze, il pubblico è attento, i canti gregoriani si susseguono fino al Salve Regina ed ecco che arriva l’applauso sincero e scrosciante. È accaduto anche questo nel viaggio in Giappone che ha visto protagonisti alcuni docenti della Facoltà teologica dell’Italia centrale.Giunti in otto nella terra dove sorge il sole, su invito della Koyasan University, per contraccambiare la visita a Firenze dello scorso anno, questa compagnia di uomini dediti alla cultura e allo studio si sono trovati a fare i conti con una realtà completamente diversa da quella che avevano sempre conosciuto. E lo hanno fatto a tal punto da «buttarsi» in una dimostrazione di canto con tanto di presenza sul programma ufficiale della «Conferenza internazionale di studi sul buddismo esoterico». Tre giorni di lavoro e confronto organizzati in occasione del 120° anniversario dell’ateneo religioso con l’intento di approfondire una delle realtà buddiste giapponesi, quella Shingon che più ha plasmato la mentalità di questo Paese. Un viaggio all’insegna dello scambio culturale tra due realtà così diverse da avere innanzitutto la difficoltà della lingua da superare, ma anche le possibili incomprensioni sul significato delle parole. Per non sottolineare quella che spesso è la prima barriera: il comportamento, da come porgersi nel salutare, al dormire sul tatami. Anche la stessa parola esoterico, che da noi evoca strani pruriti, significa una tradizione millenaria di studi. Non c’è la magia taroccata dei nostri giorni ma solo il richiamo alla definizione aristotelica di iniziazione accanto alla ricerca di un misticismo che si raggiunge con la pratica dei sutra e la recita dei mantra. La ricerca dell’unità dalla diversità, ed il tutto attraverso un’umiltà sconosciuta in Occidente. C’è un detto in Giappone: «Per essere un buon monaco servono tre cose: accogliere gli ospiti, pulire bene il tempio, fare pratica cioè partecipare agli eventi religiosi».Al tempio Muryôkôin che ha accolto per cinque giorni la compagnia toscana, questi tre aspetti non sono stati disattesi: un’ accoglienza quasi imbarazzante per precisione e costanza, una pulizia estrema per la struttura in legno non certo moderna del tempio ed una pratica costante a partire dalle sei del mattino con il Goma, l’antichissima cerimonia del fuoco. Giovani bonzi pronti a scattare e a spiegare le basi del buddismo e le derivazioni dal cinese o dal sanscrito, per soddisfare un ospite a volte sorpreso da questa solerzia tanto da lasciarsi sfuggire scherzando, «dovrei mandare qui i miei studenti».«Ci ha colpito la capacità di non perdere tempo dei giovani monaci – hanno notato padre Valerio Mauro, cappuccino, professore di dogmatica sacramentale, e padre Saverio Cannistrà, carmelitano scalzo, professore di Cristologia – così come la cura per le piccole cose e la loro delicatezza in tutto. Una formazione di primo livello».Un atteggiamento anche in linea con la cultura giapponese, dove la forma spesso supera la sostanza, per cui non è stato difficile mettersi in ascolto per scoprire un mondo che si svela piano piano, oltre le nostre aspettative. «Altro che buddismo di moda – ha dichiarato il vice preside e docente di Sacra scrittura alla Facoltà don Stefano Tarocchi – in Italia si ha spesso la sensazione di incontrare persone che si proclamano tali senza sapere nulla, solo per un certo sentimento. Qui abbiamo percepito la profondità e l’accuratezza della ricerca religiosa». Una sorpresa positiva anche per chi da anni è impegnato nel dialogo con l’Oriente. «Ho scoperto tante cose nuove sul buddismo anzi potremo dire sui buddismi – ha dichiarato mons. Basilio Petrà, pratese, docente di morale alla fine del viaggio –, ho appreso che c’erano nomi e personaggi famosi per gli altri studiosi ma per me sconosciuti. Mi ha colpito soprattutto la figura del fondatore di quello Shingon e dello stesso monte Koya, Kobo Daishi». Le occasioni per approfondire non mancheranno, lo scambio culturale tra le due facoltà andrà avanti, «secondo modalità – ha affermato il preside don Andrea Bellandi – semplici e destrutturate ma sempre all’insegna dell’amicizia nella consapevolezza che per entrambi l’essenza del cuore dell’uomo è il desiderio di una felicità attesa, di un compimento a cui noi cristiani diamo un nome: Dio fatto uomo. Un’attesa che si svilupperà in un dialogo ben lontano da qualsiasi tentativo di omologazione». Niente di meno sincretista. «Perché, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II – ha sottolineato don Diego Pancaldo, pistoiese e docente di Teologia spirituale – “ogni autentica preghiera è mossa dallo spirito”. Mi è venuto in mente Giorgio La Pira e la sua idea di gettare ponti. Questo è il nostro compito che insegniamo in una facoltà fiorentina. Sotto la protezione del patrono San Giovanni Battista che aprì la strada a Cristo, dobbiamo preparare, attraverso anche la contemplazione, un nuova civiltà». «Ma anche attraverso lo studio – gli ha fatto eco don Alfredo Jacopozzi, fiorentino e direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose Ippolito Galantini – ed il fatto che il convegno internazionale fosse di alto livello con docenti provenienti da tutto il mondo ci fa ben sperare nella possibilità di un scambio culturale serio e duraturo».Studio, ammirazione, voglia di continuare e di rincontrasi, questi i sentimenti dei docenti fiorentini al termine di questo viaggio, perfettamente sintetizzati da un giovane monaco buddista Kawasaki: «Come è bella la fede e come è stato bello ascoltare le cose che ci siamo detti in amicizia». La presenza secolaredei padri saverianiin una terra bella e difficile«Le persone giapponesi che si convertono alle nostra fede lo fanno essenzialmente perché comprendono che finalmente c’è un Dio fatto carne che gli vuole bene come sono». Padre Tiziano Tosolin va subito al sodo, dopo sette anni in questa «terra complessa ma sempre stupefacente», non usa giri di parole. Il Giappone è un paese non solo fisicamente ma anche culturalmente molto distante dall’Italia, la complessità delle tradizioni e del cerimoniale impongono un lungo periodo di allenamento prima di entrare «almeno parzialmente nel loro cuore». «C’è un antico detto – racconta il religioso saveriano – molto esplicito sulla loro mentalità». Parlando dei giapponesi sostiene che abbiano «tre modi di porsi: il primo è quello iniziale del rispetto e della gentilezza che non concede però nulla di personale. Passata la prima diffidenza si arriva al secondo dove alcune cose vengono messe in comune, poi c’è quello nascosto il più profondo, il più vero, per il quale i sentimenti non vengono mai messo in comune. Se non si ha rispetto per questa loro mentalità un rapporto duro e costruttivo non è possibile. Il tempo è una variabile che dettano loro e noi dobbiamo rispettarla».In questa terrà dove si alternano boschi con una vegetazione fittissima a città dall’altissima densità abitativa, è necessario inforcare gli occhiali e cercare una nuova messa a fuoco.Era il 1549 quando Francesco Saverio approdò sulle coste del Sol Levante, ma il mondo e la mentalità che trovò non era poi molto dissimile a quella attuale, «anche se le prime crepe e i primi rifiuti nei giovani di una vita tutta regolamentata si cominciano a vedere – commenta padre Tiziano –: conoscono, girano il mondo si rendono conto a volte di essere un po’ soli e molto inquadrati rispetto ai concittadini occidentali. E il loro desiderio di affetto aumenta».La presenza in Giappone dei Saveriani, una congregazione fondata nel 1985 da Monsignor Guido Maria Conforti vescovo di Parma, risale al 1949 quando tre missionari furono espulsi dalla Cina. Da allora l’impegno si è moltiplicato come quello degli altri 1700 missionari presenti in Giappone in molte direzioni.«Attualmente siamo una trentina – spiega il provinciale Piergiorgio Manni – c’è chi si occupa della parrocchia, chi dell’insegnamento universitario o delle scuole primarie e chi assiste i malati, alcuni sono occupati principalmente nel dialogo interreligioso con i buddisti altri si coordinano con le altre congregazioni non solo per l’attività pastorale ma anche per capire, studiare dove va il Giappone e tutta l’Asia in questo momento di grande trasformazione».«Anche se – conclude Padre Tiziano – il nostro scopo rimane annunziare la Buona novella a chi non l’ha conosciuta».