Opinioni & Commenti

Tempo di canone: compriamoci un po’ di Rai e non solo…

di Mauro BanchiniC’è un passaggio, nel documento preparatorio della Settimana sociale 2004, di cui sarà interessante verificare i possibili sviluppi pratici. È la fine del punto (il 27) dedicato alla centralità dei sistemi di informazione: sistemi che possiedono un enorme potere manipolatorio, che possono offrire un servizio prezioso alla società ma che possono indurre condizionamenti pesanti fino a diventare (nel silenzio di una politica sempre più sciocca, autoreferenziale e – in definitiva – sempre meno potente) il vero potere. Non è un mistero che i media abbiano una loro funzionalità nel diffondere l’unica ideologia oggi rimasta: quel pensiero unico «che indica la tendenza a utilizzare come criterio valutativo di ogni scelta soprattutto l’efficienza produttiva». Ideologia che ha estremo bisogno di individui… addormentati. Assai bene lo ricorda il Direttorio dei vescovi: la presenza dei media, che non sono semplici strumenti, modifica i modi di pensare e di vivere dei cittadini, plasma e trasforma gli stessi messaggi. Fin qui nulla di nuovo, anche se – bisogna riconoscerlo – non è che si veda consapevolezza diffusa su questi temi. Lo spunto interessante, da Bologna, arriva proprio alla fine, quando si indicano due «vie di soluzione»: da un lato l’adozione di regole e controlli con un diretto intervento della politica; dall’altro la capacità di dar vita a una democrazia dell’informazione, tramite esperienze di gestione partecipata capaci di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone.

In questi giorni gli italiani stanno pagando il canone per un servizio pubblico radiotelevisivo davanti al quale è fin troppo facile essere sconcertati. Ma pagando i quasi 100 euro, ciascuno di noi non finisce per diventare anche un po’ padrone dell’azienda Rai? Se lei ci conosce bene – come martellano gli spot – siamo noi consapevoli sull’importanza di conoscerla un po’ meglio nelle sue scelte e nei suoi sistemi? Non è che, unendo le rispettive consapevolezze, si potrebbe pretendere di essere trattati un po’ meno da sudditi, ad esempio con prodotti di maggiore qualità? E discorso analogo non potrebbe forse valere anche per le emittenti private?

E il richiamo di Bologna alla democrazia dell’informazione non meriterebbe una riflessione anche in casa cattolica, sulla proprietà dei media … di famiglia? Visto che siamo in fase elettorale, non c’è forse da chiederci quali sono (se ci sono…) le differenze fra i due poli per quanto riguarda – anche in ambito regionale – l’uso dei media, il ricorso alla politica spettacolo, l’ossequio al populismo imperante, il rispetto per il pluralismo, la libertà dei giornalisti, la distinzione fra propaganda e informazione? Dei media non bisogna né avere paura né essere schiavi: politica (quella seria) e cittadinanza attiva devono poter fare la loro parte. Utopistico pensare che, nelle prossime settimane, la Toscana dei cattolici possa riunirsi per studiare, riflettere, proporre?

44ª Settimana sociale