Italia

Taranto, i funerali dell’operaio dell’Ilva

A presiedere il rito funebre è stato l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo SantoroBruno Ferrante, e numerosi colleghi di Zaccaria.

La speranza riparte dall’unità. “Tutto sembra cospirare per distruggere la nostra speranza”, ha ammesso mons. Filippo Santoro all’omelia della cerimonia funebre, rilevando che “oltre l’emergenza ambientale, sanitaria e lavorativa ci ha travolto anche l’emergenza del tornado”. Eppure “intorno a Francesco siamo tutti solidali e di qui dobbiamo ripartire: dalla solidarietà che ci dà speranza”. L’arcivescovo ha riconosciuto che Taranto “è divisa, lacerata. Tra chi sostiene il lavoro e la continuità della produzione e chi sostiene la causa della salute e chi si defila nelle teorie e nell’indifferenza perché la cosa non lo tocca nella malattia o nello stipendio”. “Questi valori, il lavoro e la salute – ha sottolineato – non si possono opporre, ma dobbiamo ripartire da qualcosa che li metta insieme. E questo è la solidarietà”. “La speranza per la nostra città – ha affermato il presule – riparte dall’unità. Per questo il sacrificio di Claudio (l’altro giovane operaio morto sul lavoro, sempre all’Ilva, lo scorso 30 ottobre, ndr) e di Francesco non sono stati vani. Il mistero infinito dell’amore di Gesù e la solidarietà che da lui nascono ci fanno sperare”.

Non abbiamo il dominio della natura. Mons. Santoro ha quindi ricordato la “giovane vita” di Francesco Zaccaria, che “si preparava a mettere su una casa frutto del suo lavoro e dei suoi sacrifici”, finché “violente raffiche di vento” lo hanno spinto in mare. “Cose – ha rimarcato il vescovo – che avevo visto in Brasile dove, nella mia diocesi di Petrópolis, l’anno scorso sono morte cinquecento persone. Ma qui le abbiamo viste solo nei film”. “Come siamo fragili. In un istante – ha riflettuto – tutto può essere distrutto. Siamo rimasti tutti impotenti. Non abbiamo il dominio della natura. Qui abbiamo solo da riconoscere che non siamo i Signori della natura e del mondo e che la realtà è misteriosa. Un dolore profondo e lacerante. Un vero dramma”. Ma “il Signore – ha aggiunto l’arcivescovo – è entrato in questo dramma, si è fatto uomo come noi, soffrendo l’angoscia e l’abbandono, ed è penetrato nell’abisso della morte per essere vicino a tutti quelli che muoiono, particolarmente a quanti muoiono di morte improvvisa”. Ora “dà anche a Francesco l’abbraccio eterno del suo amore” mentre, al contempo, “è vicino ai suoi genitori, ai fratelli e sorelle, alla fidanzata, alla gente di Talsano, ai suoi compagni di lavoro e dell’impresa, e a tutta la nostra città di Taranto”.

Dalla conversione la salvezza. E proprio alla mamma, ammalata di Sla, ha fatto riferimento mons. Santoro, riportando le sue parole. Ella “ha detto: ‘Il Signore in tutte le prove della mia vita mi ha aiutato’. E, accarezzando il crocifisso che stava sulla bara, ha detto: ‘Anche Gesù è morto sulla croce. E io continuo a credere. Portatemi un libretto di preghiere perche quando prego mi sento molto meglio’”. “Quando nella scrittura sono preannunciati e descritti eventi catastrofici”, ha osservato il presule, “l’invito non è alla disperazione, ma alla conversione”. Perciò, “davanti al caro Francesco dobbiamo convertirci tutti: noi uomini di Chiesa, la politica, il sindacato e tutti coloro che hanno responsabilità morale e civile. E ciascuno di noi. Dalla conversione viene la salvezza”.