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Tanzania, progetti agricoli che parlano toscano

di Sabrina Lucchi

Karibuni!. L’espressione tipica di benvenuto, accompagnato da un sorriso aperto e sincero, ha accompagnato e accolto i partecipanti al viaggio promosso dalla Cooperativa agricola di Legnaia di Firenze (il sito della Cooperativa), dal 20 al 30 settembre. Meta della «missione di conoscenza» la Tanzania, Paese sulla costa orientale dell’Africa centrale, vasto tre volte l’Italia con 40 milioni di abitanti.

Proprio nel Paese al di sotto dell’Equatore è attivo il «Progetto Tanzania», un programma di solidarietà avviato nel 2007 dalla Cooperativa in collaborazione con Università e Pangea onlus, nelle varie comunità missionarie fondate a partire dal 1966 dai Missionari del Preziosissimo Sangue (Cpps).

A guidare il gruppo, oltre al giovane agronomo fiorentino Gabriele Maneo, dipendente della cooperativa, l’ingegnere cesenate Alessandro Manzi, da otto anni in Tanzania come fratello cooperatore del Vicariato africano.

Dieci giorni in terra d’Africa, quelli vissuti dai nove partecipanti – dipendenti e soci della cooperativa, a cui si è aggregata la «scrivente» – in cui si è avuto l’opportunità di avere un «assaggio» di una cultura e tradizioni di un Paese così diverso per usi e costumi, dove la vita media, pur in aumento, si attesta attorno ai 55 anni. Un Paese dove le tre religioni presenti hanno da sempre coabitato rispettandosi. Nessun conflitto ha mai condizionato l’equilibro di un popolo che vive in tranquillità le contraddizioni e squilibri inevitabili di una povertà dei tanti (70mila scellini tanzaniani lo stipendio medio mensile, equivalente a circa 35 euro), a fronte della ricchezza di pochi. Una ancora bassa istruzione scolastica e una forte corruzione caratterizzano la vita ad «andamento lento» di questo popolo che affida la cognizione del tempo al «caso», condizionato solo dallo stretto ciclo notte-dì.

Dalla capitale Dar Es Salaam, una caotica metropoli africana con due milioni di abitanti «ufficiali», il gruppo si è presto messo in viaggio verso il centro della Tanzania a bordo di due grandi jeep Toyota. Destinazione più lontana il grande villaggio di Itigi, a 600 chilometri di distanza, dove dagli inizi degli anni Ottanta è attivo l’ospedale «San Gaspare», 350 posti letto, fondato e gestito dai Missionari Cpps e presidio ospedaliero di riferimento per una vasta area del Paese.

Usciti dal caos della grande città, il panorama cambia: dalla concentrazione di abitazioni e persone si passa ben presto a villaggi sparsi su una terra sempre più rossa in questa fine stagione secca; le case sempre più di fango coperte con frasche, i bambini scalzi, le donne con secchi e sacchi in testa, uomini in bicicletta caricate all’inverosimile. Sulla strada, una veloce (troppo!) doppia corsia realizzata dallo stato cinese in «cambio» di materie prime rinvenute sul territorio tanzaniano, gli unici mezzi sono i vecchi camion, i bus per le lunghe tratte e le jeep governative (in piena campagna elettorale) e quelle di organizzazioni umanitarie. Ad accompagnarci negli spostamenti, i grandi baobab che svettano e contrastano le grandi distese di steppa e la luce abbagliante.

Il primo vero contatto diretto con le persone del villaggio lo si è avuto a Itigi dove, appena fuori dal muro di cinta della struttura ospedaliera «San Gaspare»: un silenzio ovattato e surreale risalta i soli, pochi rumori di uomini in grandi spazi di terra battuta. Alcune «fotografie» in particolare riportano alla mente i racconti di situazioni di casa nostra degli anni che furono: il pallone di pezza con cui i bambini giocano, i tappi di alluminio che, tintinnanti, un bambino toglie dalle tasche e ci mostra con orgoglio, i tanti bimbi che, incuriositi quanto noi, ci seguono. E ancora, i coloratissimi bazar dove si trova di tutto un po’ (secchi, biciclette, materassi, spezie varie…). Quello che risalta nella vita del villaggio, pur nella precarietà del giorno dopo l’altro, è la serena accettazione di una vita semplice, dove la comunicazione è immediata e veloce. Qui tutto dice di un’arte di «arrangiarsi» ben praticata. Così come quella del riciclo.

Il gruppo ha via via fatto tappa al Vocation Centre di Morogoro, dove sono ospiti 35 ragazzi in cammino vocazionale; alla cantina e vigneto di Miyuji e alla Casa della Speranza, dove otto suore Orsoline accudiscono una cinquantina di bambini orfani. E dopo un viaggio tortuoso quanto divertente, con buche e avvallamenti che hanno fatto letteralmente «ballare» le jeep, la visita alla comunità di di Mkiwa, alla missione di Chibumagwa, ai piedi delle montagne. Surreale la visita al Deserto del Sale; coinvolgente e toccante la visita al Villaggio della Speranza di Dodoma: nato nel 2002 con l’ospitalità a tre bambini orfani di genitori morti di Aids, ad oggi i bambini sono 130, con una previsione di vita del tutto adeguata. A conclusione del «giro» la visita al parco naturale di Mikumi dove tra gazzelle, zebre, giraffe, elefanti, bisonti e facoceri, abbiamo avuto la buona sorte di poter vedere anche due «simba».

Le pesanti valigie del gruppo sono arrivate in Tanzania cariche di materiale utile per la cantina di Miyuji, vicino a Dodoma, da poco avviata alla produzione del vino, e di giochi per i bambini degli istituti che poi abbiamo visitato. Sono tornate in Italia con originali oggetti di artigianato locale: le kanga, caratteristiche e coloratissime tele, statue in ebano… E tra ciotole, batik e frecce con l’arco, tanti pensieri e «fotografie» di un popolo così lontano, ma in cammino. E sorridente. Come la Luna che, nell’emisfero sud del mondo, quando è a «un quarto», illumina le buie e lunghe notti africane con un grande smile.

La storia: È un giovane agronomo fiorentino a seguire i progetti agricoli nel paese africanoCosì «Gabu», con i suoi ortaggi, ha saputo conquistare i contadini

Entusiasmo, cordialità e un sorriso semplice che, accompagnato da un caratteristico e universale cappellino di paglia, lo fa tanto «contadino del mondo». Gabriele Maneo  è il giovane dipendente della Cooperativa agricola di Legnaia che ha accompagnato e guidato il gruppo dei partecipanti al viaggio in Tanzania nelle missioni della Congregazione dei missionari del preziosissimo sangue. Una collaborazione «giovane», quella dei missionari con la cooperativa fiorentina e l’Università di Firenze, ma dai frutti già buoni e ben visibili. Non solo sul piano – pur importante – della produzione e della qualità delle culture agricole e delle stalle, ma anche sul piano umano e personale nel rapporto di collaborazione con i tanzaniani che già si occupavano dei terreni e allevamenti delle missioni.

Classe 1985, Gabriele abita con la famiglia e i nonni a San Bartolo a Cintoia, a pochi chilometri da Firenze. Sono proprio i nonni, coltivatori diretti da sempre, ad appassionare il giovane Gabriele all’agricoltura. Dopo il diploma all’Istituto Agrario di Firenze, si è iscritto al corso di Scienze Agrarie per la sicurezza alimentare e ambientale nei tropici all’Università di Firenze, dove si è laureato nell’aprile del 2009. E dopo poco di un mese, ecco Gabriele imbarcarsi su un aereo diretto a Dar Es Salaam, la capitale della Tanzania. E lì ha svolto il suo lavoro per quasi un anno, rientrando solo per le ferie; da fine 2010 resterà in Tanzania per sei mesi l’anno continuando a seguire il progetto e le varie attività, mentre per i restanti sei mesi sarà impegnato a Firenze, nell’area tecnica della cooperativa per l’assistenza tecnica alle aziende socie. Gabriele, appena rientrato, ha già in tasca un biglietto per tornare in Tanzania il 25 ottobre.

Ma com’è nata questa passione? «Tra le fine del 2007 e l’inizio del 2008 – ci racconta – mi sono recato in Tanzania per scrivere la tesi di laurea. In particolare mi sono recato nel nord del Paese, studiando piante medicinali e realizzando un vivaio di quelle più utilizzate. Il Paese dell’Africa centrale mi affascinò moltissimo e quando, a maggio 2009, mi si è presentata la possibilità di tornarci sono stato subito colto da un incredibile entusiasmo. Si trattava di restare un anno in un piccolo villaggio immerso nella savana (Itigi, ndr), nel centro della nazione, dove la sera le iene scorrazzano nei pressi del villaggio e dove ben pochi conoscono l’inglese. Mi sono “armato” di una buona scorta di libri, di tanta buona volontà e sono partito, non senza una notevole dose di ansia da prestazione propria del neolaureato che si trova da solo ad affrontare problematiche reali».

E una volta arrivato?

«All’arrivo in Tanzania ero molto nervoso. Ricordo che l’auto della missione che doveva portarmi al villaggio di Itigi tardava ad arrivare, un giorno, due… tre giorni passati ad aspettare la macchina a Dar es Salaam pensando a come mi presentavo bene, arrivando sul luogo di lavoro con quattro giorni di ritardo! In realtà, io ero l’unico che si preoccupava! Ho così capito in fretta che avrei dovuto cambiare molte cose nel mio modo di pensare, altrimenti sarebbe stato difficile il mio impegno in Africa. Ho capito che non puoi pretendere la puntualità laddove non esistono gli orologi, non puoi sperare che una persona arrivi ad un appuntamento il giorno fissato in un posto dove è quasi norma restare giorni bloccati su un treno… In questi luoghi devi cercare di comprendere la sottile leggerezza con cui viene presa la vita, altrimenti ti giochi il fegato imprecando contro il contoterzista che doveva venire ad arare i campi sperimentali una settimana fa ed ancora non si è visto né tanto meno fatto sentire… E non riuscirai mai a capire come sia possibile vedere volti luminosi e sorridenti dove tu riesci a vedere solo povertà e polvere, e vecchi sotto il sole cocente che alla domanda “Come va il lavoro signore?”  rispondono in tutta sincerità “Salama” (meravigliosamente)».

Come ti sei sentito accolto dai ragazzi tanzaniani dipendenti delle missioni che già si occupavano degli orti, delle piantagioni e delle stalle?

«Quando sono arrivato ad Itigi l’accoglienza nei campi non è stata molto calorosa. Da canto mio, immaginavo bene il pensiero degli operai e di chi gestiva già gli orti, allevamenti e frutteti… “Ecco il nuovo arrivo, giovane e fresco di scuola che vorrebbe insegnarci il mestiere che facciamo da anni!”. Cercare di creare un buon rapporto è stato il mio primo e principale obiettivo. Ho cercato di cambiare meno cose possibili, l’avrei fatto con più calma e più facilità in futuro quando si sarebbe instaurato un rapporto di fiducia… Ho così iniziato a zappare e a fare un orto e a chiedere come arare il campo, come seminare. Facevo esattamente quello che come mi dicevano i ragazzi operai, ma un po’ più in là provavo a fare qualche altro tentativo “diversificato”, spesso tra le risa degli operai che mi prendevano giro e credevano ben poco nella buona riuscita…».

Ma le soddisfazioni, sul campo del lavoro e dei rapporti personali, non hanno tardato ad arrivare…

«Già. Col tempo le cose sono iniziate a cambiare: gli operai, i responsabili dei vari orti e il personale che orbita attorno all’ospedale di Itigi e alle strutture hanno iniziato piano piano a darmi più fiducia e a collaborare. Le prime 5- 6 prode di orto che avevo realizzato “in proprio” hanno dato belle produzioni e il lavoro sugli orti è presto diventato uno dei più importanti. In pieno campo hanno dato risultati interessanti e nel periodo dei raccolti sono arrivati coltivatori del villaggio che chiedevano informazioni su varietà e tecniche utilizzate che hanno potuto vedere funzionare bene nei campi sperimentali. Contemporaneamente il giovane tanzaniano Vitus è stato assunto dall’ospedale per prendersi cura degli orti e delle attività agricole. Che dire… forse sono piccoli risultati, ma la soddisfazione è stata davvero grande!».

Come sarà impostato il lavoro futuro nei terreni delle missioni?

«Il lavoro procede puntando a due obiettivi principali: garantire all’ospedale “San Gaspare” di Itigi e alle strutture legate un buon livello di autoapprovigionamento alimentare di buona qualità. Poi proseguiremo nella ricerca di varietà, tecniche agronomiche e accorgimenti che possono essere facilmente promosse e diffuse nella comunità locale al fine di migliorare le produzioni agricole e zootecniche della zona. In tutto questo la cosa fondamentale resta la formazione e il passaggio di conoscenze, cosa che non può avvenire esclusivamente con seminari o corsi, ma ci saranno delle risposte positive solo grazie all’esperienza diretta dei coltivatori della zona e alla loro verifica dei risultati delle prove portate avanti nei campi sperimentali».

«Gabuuuu!». Eravamo a passeggio nel villaggio di Itigi quando ti sei sentito chiamare. Ed è stato bello e commovente l’incontro tra te e Pasko, responsabile dell’agrumeto dell’ospedale: l’abbraccio testa-con-testa e la veloce triplice mossa con la mano dicevano di tutto l’affetto e l’attesa di un incontro tra giovani che si rispettano. E mancavi da Itigi da «soli» tre mesi. Quasi i tuoi pensieri quando sei in Italia?

«In Italia andiamo sempre di corsa, spesso non c’è il tempo di fermarsi a godere delle piccole e semplici cose che ci capitano ogni giorno, ci scivola tutto sopra e i rapporti tra le persone sono terribilmente trascurati. È difficile far rientrare certi pensieri, che caratterizzano i miei periodi in Africa nel nostro mondo e spesso finisce che la frenesia della vita quotidiana ti riassorbe lasciandoti una sensazione di vuoto, un vuoto profondo perché più consapevole. Quando sono tornato a casa, ho rivisto la mia ragazza, i familiari, gli amici e persone e luoghi ai quali sono tremendamente affezionato ero certamente felice, ma una strana malinconia si era impossessata di me dal momento in cui, in Tanzania, ho salutato e abbracciato tutte le persone con le quali ho passato un intero, splendido, anno in un villaggio sperduto nella savana. Ormai manca poco al mio rientro in Tanzania, a fine ottobre sarò di nuovo ad imprecare contro il contoterzista del villaggio che dovrà venire ad arare i campi, ma lo farò con un sottile sorriso sul volto».

La schedaLa solidarietà in campoC’è chi la potrebbe chiamare Provvidenza. Chi, i casi della vita». Così il presidente della Cooperativa agricola di Legnaia, David Bocciolini, inizia il racconto di come è nato e come ha trovato sviluppo il «Progetto Tanzania», avviato nel 2007 su sollecitazione della onlus Pangea e Amici dei Missionari del Preziosissimo Sangue, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. In particolare, Bocciolini che per vent’anni ha abitato nella parrocchia del Preziosissimo Sangue di Firenze, aveva conosciuto direttamente l’evolversi della missione in Tanzania anche tramite padre Antonio Calabrese, prima cappellano in parrocchia e poi missionario in Tanzania. La conoscenza era diventata diretta a seguito di un viaggio, nel 2004 per trovare figlio Luca, neo laureato in ingegneria che per un anno aveva operato presso l’ospedale «San Gaspare» di Itigi. Per Bocciolini fu quindi una piacevole sorpresa quando nel 2006 l’onlus Pangea propose alla Cooperativa di Legnaia di impegnarsi a sostegno delle realtà realizzate dai missionari.

I progetti in terra africana della Cooperativa agricola di Legnaia – 17 punti vendita a Firenze, Prato Pistoia e Arezzo, con assistenza tecnica e commercializzazione di prodotti per l’agricoltura e il giardinaggio, produzione di piante, vendita al dettaglio di frutta e verdura e di attrezzatura professionale – riguardano in particolare l’ospedale di Itigi, il Villaggio della Speranza di Dodoma e, più recentemente, la cantina di Miyuji. Ai progetti viene destinato l’uno per mille del fatturato, oltre ad altre iniziative di sostegno di soci e clienti per un totale di oltre 50mila euro annui. «Per rendere partecipi e attivi tutti i soci della cooperativa alle finalità del Progetto – precisa Bocciolini – abbiamo avviato un sistema che dà la possibilità ai soci e “Amici di Legnaia” non solo di destinarvi quanto spetterebbe loro con la raccolta di punti fedeltà e sconti ottenuti facendo acquisti nei negozi della cooperativa», ma anche di andare a vedere di persona quello che viene fatto.

Il progetto è forte anche del protocollo d’intesa con la Facoltà di Agraria di Firenze che prevede, tra l’altro, la possibilità per gli studenti dei corsi di studio «Tropicali» di svolgere la propria tesi o il tirocinio pratico-applicativo in Tanzania, nell’ambito del progetto.A Itigi il lavoro è stato avviato nell’autunno 2008 per rendere il più possibile autosufficiente l’ospedale di San Gaspare e per sperimentare colture e pratiche che possano essere diffuse fra gli agricoltori della zona. Nell’orto di 2mila metri quadrati viene utilizzata l’acqua (salina) recuperata con una pompa eolica. La coltivazione riguarda la produzione di piselli, pomodori, zucchine, melanzane, la particolare «verdura» locale m’cicia (amaranto), zucchine, cavoli (e che cavoli!), asparagi, oltre al tipico mais, patate, cipolla e tanto altro… L’agrumeto è composto da 130 piante, mentre le stalle contano 35 mucche incrociate con la razza Frisone che ad oggi producono 8 litri di latte al giorno a capo (nel villaggio, 3-4 litri). L’obiettivo è quello di migliorare la razza (e per questo è stato introdotto un torello «italiano») e aumentare la produzione di latte. I campi vengono coltivati in parte con attrezzature meccaniche proveniente dall’Italia, in parte con le tecniche e i mezzi utilizzati dagli agricoltori del villaggio (l’aratro è trainato dalle vacche).  Alcune zone dell’orto sono destinate a campi sperimentali: solo così si può prima di tutto capire e poi dimostrare ai coltivatori locali, con uno «scambio» dimostrativo, quali possono essere le tecniche e le soluzioni migliori.

A Dodoma l’impegno della cooperativa è rivolto soprattutto al sostegno economico del Villaggio della Speranza, un orfanotrofio gestito come una grande casa-famiglia che accoglie bambini orfani di genitori morti per Aids. È lì attivo e produttivo un ampio orto avviato nel 2007 oggi curato e portato avanti dagli operai tanzaniani in autonomia; il terreno era estremamente salino e di difficile coltivazione, ma le forze impiegate stanno dando buoni frutti. A Miyuji, in ultimo, il sostegno è rivolto alla cura della vigna (impiantata 15 anni fa da un missionario), alla costruzione della cantina e alla produzione e commercializzazione del vino. Grazie al clima tropicale, la vigna è sempre in produzione e garantisce due vendemmie all’anno (a marzo e agosto). In un territorio dove non c’è la cultura del vino, quello della vigna e della cantina vogliono essere un esempio per i coltivatori per differenziare le coltivazioni dei propri terreni e, con fiducia, piantare vigna. L’uva sarà acquistata dalla cantina (in fase di completamento, con una capacità di 100mila litri) che ne curerà l’imbottigliamento (tappi, etichette e copritappi provengono dalla cooperativa) e la relativa distribuzione. Sono inoltre in «viaggio» via container le lastre in acciaio inox alimentare che, opportunamente assemblate dal fiorentino Raffaele Di Mauro che ha già operato  all’ospedale di Itigi  e si recherà a Miyuji prossimamente, andranno a formare dei grandi tini.

Le missioniIl viaggio «missione di conoscenza» promosso dalla Cooperativa agricola di Legnaia, dal 20 al 30 settembre in Tanzania, ha fatto riferimento alle missioni fondate e gestite dai Missionari del Preziosissimo Sangue. La congregazione è stata fondata nel 1815 da San Gaspare del Bufalo a San Felice di Giano, in Umbria. I suoi membri si chiamano «missionari» perché la predicazione delle missioni al popolo è il loro ministero specifico. I missionari vivono e diffondono la devozione del Preziosissimo Sangue che ha portato alla santità uomini e donne come San Gaspare del Bufalo, la beata Maria De Mattias e il venerabile don Giovanni Merlini. È proprio il sangue di Cristo, come dice l’Apocalisse, che fa di tutti i popoli della terra, divisi da tribù, lingue, popoli e nazioni, una sola Famiglia: la Famiglia che ha Dio come unico Padre. Questa è l’idea forza della predicazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue: il desiderio di portare questo annuncio a tutti gli uomini li spinge a raggiungere le terre più lontane del globo. Sono presenti, oltre che in Italia e in Tanzania, in Germania, Austria, Liechtenstein, Polonia, Spagna, Portogallo, Usa, Canada, Messico, Guatemala, Brasile, Cile, Perù e India.La diffusione del ministero e la raccolta di fondi a favore delle missioni da parte dei benefattori sono affidate alla distribuzione dei periodici «Primavera missionaria» e «Verso l’Altare». Il paeseIl territorio della Tanzania ha una superficie di 945mila chilometri quadrati; la forza lavoro è occupata per l’85 per cento nell’agricoltura. La popolazione è divisa pressoché in modo equivalente tra cristiani e musulmani, in percentuale tra il 30 e il 40 per cento ciascuno (ma il governo dal 1967 ha escluso questo tema dai censimenti ufficiali); altri tanzaniani si dichiarano atei o professano religioni indigene tradizionali. Il gruppo, sbarcato nella capitale ‘economica’ Dar Es Salaam, sulla costa, la sera di martedì 21 settembre, ha visitato le comunità dei Missionari del Preziosissimo Sangue a Morogoro, Dodoma, Manyoni (prima missione fondata nel 1966) e Itigi, che si trova su un altipiano a 1300 metri slm. La lingua ufficiale è lo swahili; nelle scuole insegnano già dalle primarie l’inglese.

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Foto di gruppo, con suor Rita Fiorillo, dei partecipanti al viaggio in Tanzania, organizzato dalla Cooperativa di Legnaia nelle comunità gestite dai missionari del Preziosissimo Sangue. Da sinistra: Domenico Catrambone, Sabrina Lucchi, Eleonora Bardi, Daniele Bocciolini, Lorenzo Tei, Ario Meli, Alessandro Manzi, Gino Lotti, Gabriele Maneo e Matteo Burbi. Siamo a Mwika, a un’ora e mezza di jeep da Itigi, dove è attivo un presidio medico di ostetricia. Superiora è suor Rita Fiorillo, delle suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù agonizzante, originaria di Napoli, 82 anni e in Tanzania da 20.