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Talebani a Kabul, la richiesta di pregare per l’Afghanistan

Continua l’avanzata talebana in Afghanistan, giunta ormai a Kabul. Ne abbiamo parlato con l'esperto Claudio Bertolotti. Ieri anche l'appello del Papa

Continua l’avanzata talebana in Afghanistan giunta ormai alla capitale Kabul. Ieri all’angelus anche l’appello di Papa Francesco.

Mancano pochi giorni alla fatidica data del 31 agosto che segnerà il ritiro completo delle Forze Usa e Nato dal Paese. In meno di una settimana oltre il 65% del Paese asiatico è caduto in mano talebana, comprese le città strategiche di Herat, Lashkargah, Kunduz e Kandahar. Le popolazioni sono in fuga. Secondo l’Unhcr “quasi 400mila persone sono stati costrette a lasciare le loro case dall’inizio dell’anno, andando ad ingrossare le fila dei circa 3 milioni di afgani già sfollati interni in tutto il Paese alla fine del 2020. Dall’inizio di quest’anno, quasi 120mila afghani sono fuggiti dalle aree rurali e dalle città di provincia verso la provincia di Kabul”. Per accoglierli sono stati aperti capannoni, scuole, moschee, locali pubblici e privati. In fuga dalla guerra ora rischiano di trovarsi proprio sul fronte. Fonti locali contattate dal Sir a Kabul confermano la gravità della situazione e invitano a “pregare per l’Afghanistan”. E intanto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, annuncia l’evacuazione dell’ambasciata italiana a Kabul.

(Foto ANSA/SIR)

Onda talebana. “L’onda talebana ha sorpreso tutti, analisti, intelligence Usa e afgana – commenta al Sir Claudio Bertolotti, uno dei massimi esperti di questioni afghane -. I talebani sono stati veloci ed efficaci grazie ad una strategia precisa basata su una grande capacità di muoversi prima nelle aree periferiche, di fatto già prive di una presenza governativa, e poi, una volta conquistate, di spostarsi nei centri urbani attaccandone le difese tenute dall’esercito regolare e dalle milizie tribali”. Il risultato è stato che “molti militari hanno ceduto le armi preferendo stringere accordi con i talebani, replicando in qualche modo quanto avvenuto in Iraq con l’avanzata dello Stato Islamico verso Mosul, con i soldati regolari in fuga dalle caserme senza combattere. Una gran parte delle forze regolari afgane ha ceduto senza combattere perché priva di motivazione, di addestramento e perché preda di un elevato grado di corruzione che ha pervaso l’organizzazione statale afgana, comprese le Forze Armate”.

Nessuna resistenza locale. Per Bertolotti, che è anche direttore di Start Insight e analista dell’Ispi, “l’avanzata talebana è stata facilitata anche dal venir meno della resistenza locale, quella delle milizie dei vari signori della guerra come Ismail Khan, ‘il leone di Herat’. Quest’ultimo è stato consegnato ai talebani dallo stesso esercito afgano di stanza ad Herat, il 207° corpo di armata afgano, che aveva già ospitato una delegazione talebana all’interno del proprio comando formalizzando la resa. Ismail Khan – afferma Bertolotti – oggi è impiegato dai talebani come ambasciatore e inviato a Kabul per trattare le dimissioni dell’attuale Esecutivo di Ashraf Gani e portare alla formazione di un governo di transizione dell’emirato islamico dei talebani”. A nulla è valsa la proposta fatta dallo stesso Gani ai talebani di “condividere il potere”.

(Foto ANSA/SIR)

Negoziato possibile? Nonostante l’avanzata militare, per l’analista “potrebbe esserci ancora un margine per un negoziato. Tra le fila talebane, infatti, è presente anche una componente politica, più pragmatica, guidata dal Mawlawi Akundzada e rappresentata dal mullah Baradar che a Doha porta avanti il negoziato con gli Usa e la comunità internazionale. Questa ala politica si contrappone a quella militare ed estremista capeggiata da Sirajuddin Haqqani, legata ad Al Qaeda, cui vanno attribuiti gli attacchi suicidi a Kabul avvenuti negli ultimi 15 anni”. Una lotta interna tutta talebana per il potere che dovrà essere affrontata. “Sono tiepidamente ottimista sulla possibilità di una soluzione negoziale – ribadisce Bertolotti -. La comunità internazionale potrebbe essere disposta ad accettare qualunque richiesta talebana. Di contro i talebani potrebbero accordare la fine o la riduzione delle ostilità e della violenza attestandosi ulteriormente come interlocutori ufficiali al tavolo negoziale di Doha dove peraltro sono già presenti”. Il che, sottolinea Bertolotti, “non implicherebbe il riconoscimento di uno Stato talebano”.

Osservatori interessati. Quanto sta avvenendo in Afghanistan, dopo il fallimento di Usa e Nato, viene seguito con attenzione dalla Cina e da attori regionali come Russia, Turchia, Iran e Pakistan. “Pechino – ricorda Bertolotti – ha forti investimenti nel settore minerario ed estrattivo in Afghanistan. Se dovesse permanere questa situazione di violenza e instabilità per la Cina sarebbe difficile portare avanti i suoi affari. Altro punto sensibile è quello della sicurezza interna cinese: in Afghanistan sono presenti gruppi autonomi degli uiguri dello Xinjiang che combattono al fianco dei talebani. Durante un recente incontro a Tianjin il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ha chiesto ai talebani di eliminare fisicamente la presenza uigura in Afghanistan. La paura cinese, infatti, è che il movimento di protesta uiguro nello Xinjiang possa estremizzarsi e passare al jihadismo”. Non meno interessata all’Afghanistan è la Russia: nei giorni scorsi Mosca, con truppe del Tagikistan e dell’Uzbekistan, ha organizzato un’esercitazione al confine tagiko con l’Afghanistan. Un segnale contro “possibili contaminazioni di gruppi jihadisti percepiti come una grave minaccia dalla Russia”. Osservatore interessato anche l’Iran che intrattiene buone relazioni con la Cina e con l’attuale Governo afgano. Il timore iraniano è un crollo dell’Afghanistan e la nascita di uno Stato talebano.