Opinioni & Commenti
Taglio parlamentari, quando una riforma è senza una ragione. Il risparmio? Trascurabile
C’è un grande assente nel dibattito sulla riforma costituzionale approvata definitivamente dalla Camera dei deputati: la ragione.
Ricapitoliamo. Il Parlamento ha deliberato una modifica della Costituzione in virtù della quale i Deputati passano da 630 a 400 e i Senatori da 315 a 200. La maggioranza finale è stata schiacciante (553 voti a favore su 630); in realtà nella votazione precedente al Senato la maggioranza non era stata così «bulgara». Cosa è cambiato? La posizione del Pd: che da contrario è diventato favorevole, essendo questa riforma una delle condizioni imposte dal Movimento 5 Stelle per la formazione del nuovo Governo. Tutti dovremmo concordare che quando si mette mano ad una modifica della carta costituzionale, occorre farlo per una buona ragione (ne sa qualcosa Renzi…); e allora proviamo a fare un’analisi «costi-benefici», come direbbero gli economisti.
I costi sono chiarissimi. Prima della riforma avevamo un rappresentante ogni 60.000 cittadini, oggi il rapporto diventa uno ogni 110.000. Questo vuol dire una sola cosa: già prima era difficile avere un qualsivoglia rapporto con i propri deputati e senatori, oggi lo sarà molto di più. Se il problema, come si è ripetuto ossessivamente negli ultimi anni, è quello di riavvicinare la politica alla gente, bene, questa riforma – numeri alla mano – va esattamente nella direzione opposta.
Passiamo allora ai benefici. Qui la questione diventa ancor più sconcertante. L’argomento per cui questa riforma renderebbe più efficiente il Parlamento è ovviamente surreale – tanto che è scomparsa dal dibattito –. Non intaccando i procedimenti, ridurre i parlamentari, lascia le cose come prima. La vera ragione «forte», quella che alcuni ministri orgogliosamente «twittano» quasi ogni giorno, è che questa riforma farebbe risparmiare. Tagliando 213 Deputati e 115 Senatori si risparmieranno 82 milioni l’anno. Ora, il debito pubblico italiano ammonta a 2400 miliardi (euro più, euro meno). Dunque, questa riforma lo ridurrebbe dello 0,00003%.
Sabino Cassese ha mostrato che tutto il risparmio della revisione costituzionale ammonta ad un settimo del costo di uno solo dei 90 aerei da guerra F35 che abbiamo deciso di comprare. «Ma di cosa stiamo parlando?» verrebbe da dire a chi per decidere si affidasse alla ragione. La verità è sotto gli occhi di tutti. Oggi tra politica e ragione non c’è più alcun nesso. Il dibattito tra i partiti, soprattutto sui social, è emozione, reazione, odio, tifo calcistico. Tutto fuorché un’analisi ponderata di ragioni pro e contro. Questa riforma si fonda su un profondissimo sentimento di malessere contro la politica. È una punizione che i cittadini vogliono infliggere a chi li ha traditi. E per colpire la politica si ridimensiona il Parlamento. Un po’ come se, avendo una squadra di undici giocatori incapaci, si pensasse che la soluzione sia cambiare il regolamento e passare a giocare a cinque. Brocchi erano e brocchi rimangono. Il Movimento 5 stelle, in verità, lo ha detto da sempre, esplicitamente. «Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno», «taglieremo le poltrone».
I grillini hanno una cultura politica dichiaratamente antiparlamentare. Il loro ideale è sostituire la democrazia rappresentativa con la piattaforma Rousseau ed in questo sono coerenti (sebbene inquietanti). Ma tutti gli altri partiti? Sono davvero convinti che oggi esista un’alternativa alla democrazia fondata sul Parlamento? Il problema avvertito da tutti è la qualità della nostra classe politica. Ed allora non bisognerebbe spostare l’attenzione sulle qualità umane e tecniche di chi oggi fa politica? Su come viene creato e selezionato il gruppo dirigente dei partiti? Ancor prima, su come oggi possa rigenerarsi una «base» a partiti che non sono più quelli che hanno scritto la Costituzione? Piegarsi all’onda dei sondaggi e prestarsi ad una «vendetta» così priva di ragioni, non finirà per travolgere anche i «vendicatori»?