Italia
Tagli e risparmi (miliardari) per la Sanità italiana
Tra le varie riforme messe in cantiere in questi mesi, quella della sanità – che in realtà riforma non è ma una serie di tagli anno su anno – forse risulterà a più alto impatto sulla popolazione. Le voci individuate dal governo, messe nel decreto sugli enti locali e per le quali martedì 28 luglio ha chiesto la «fiducia» (a favore 163 senatori, contrari 111, evitando il rischio di franchi tiratori), sono infatti molto chiare: partendo dai beni e servizi, 1 miliardo e 338 milioni di euro saranno risparmiati nel 2015 decurtando del 5% gli importi dei contratti di fornitura a ospedali e presidi sanitari vari. La cifra salirà a 1,587 miliardi nel 2016 e a 1,717 nel 2017. Si risparmierà su tutto, garze, cerotti, lastre, lenzuola, detersivi: sui «dispositivi medici» la minor spesa sarà di 550 milioni quest’anno, 792 il prossimo e 918 milioni nel 2017. Altro campo dove i tagli si faranno sentire è quelle delle visite e analisi specialistiche. Il ministero della sanità ha conteggiato in 177 milioni le prestazioni ambulatoriali svolte ogni anno: in pratica ognuno dei 60 milioni di italiani si sottopone a 3 visite specialistiche l’anno e il decreto approvato dal Senato intende tagliare almeno 22 milioni di euro, scendendo a 150 milioni circa. In sé non è una grossa cifra, poco più del 10% del totale, ma toccherà ai medici di base prescrivere di meno esami e tac o risonanze magnetiche, pena una decurtazione dei loro stipendi nella parte variabile. Insomma, una multa che si guarderanno bene dal prendere.
La stretta su farmaci e ospedali. Altro capitolo dei «tagli» riguarda la spesa per i farmaci, voce su cui lo Stato centrale intende costringere le Regioni a risparmiare complessivamente 308 milioni di euro (il primo anno). Anche in questo caso si prevede una stretta sui medici perché prescrivano meno farmaci, visto che poi per il 20-30% rimangono inutilizzati e nella migliore delle ipotesi sono riciclati dalle Caritas per usarli nei dispensari per i poveri. Ciò che spaventa di più il mercato sanitario, per questa voce, è il blocco dell’aumento dei fondi e la rimodulazione del finanziamento della spesa farmaceutica nazionale, di cui potrebbero essere vittime le imprese del farmaco, in Italia molto forti, di alto livello qualitativo, ma che hanno prosperato anche grazie a un’amministrazione centrale finora piuttosto generosa nel welfare sanitario. Infine, c’è la voce dei tagli agli ospedali di cui il decreto approvato prevede una robusta razionalizzazione, con risparmi già quest’anno (chissà come si farà in pochi mesi da qui a dicembre?) di 130 milioni, e con cifre crescenti a seguire.
Previsto aumento delle coperture «private». Una volta votato anche alla Camera, il decreto governativo sarà legge (il Governo spera entro il 7 agosto, ultimo giorno utile prima della pausa estiva). A quel punto ciascuno di noi dovrà fare i conti con una sanità nazionale di fatto davvero «riformata», anche se tale termine come abbiamo visto è inappropriato. La ministra della salute, Beatrice Lorenzin, ha sottolineato ripetutamente che l’insieme delle norme votate sono state ampiamente discusse, valutate, «limate» e infine approvate dalle Regioni nel cosiddetto «Patto della salute 2014-2016». Tale patto ha bisogno, perciò, semplicemente della messa a punto operativa che verrà dai decreti attuativi di volta in volta emanati nei prossimi mesi autunnali. Stiamo parlando di una cifra complessiva – sommando i vari interventi riassunti più sopra – di ben 2 miliardi e 352 milioni nel 2015, 2 miliardi e 301 nel 2016 e 2 miliardi e 431 milioni nel 2017. Un taglio di 7 miliardi di euro in tre anni, che non è poca cosa. E come faranno i cittadini a compensare ciò che la vecchia «mutua» non passerà più? Saranno costretti a ricorrere alle cure private, pagando di tasca propria, oppure – cosa che sta crescendo come business del prossimo futuro – iscrivendosi ad assicurazioni sanitarie collettive che «copriranno» quelle analisi e cure non più assicurate dallo Stato.
Critiche ai «tagli lineari». Di fronte a un intervento così pesante, era immaginabile che ci sarebbero state numerose voci critiche. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ad esempio, ha subito parlato dell’esigenza di assicurare lo sviluppo di «un nuovo modello basato sulla libera scelta di cura tramite l’integrazione pubblico-privato». In una parola, rivedere il sistema delle detrazioni fiscali favorendo il cosiddetto «secondo pilastro» dell’assistenza sanitaria, che somiglia molto al «secondo pilastro» pensionistico: dove non arriva più lo Stato i cittadini – dice Squinzi – devono imparare a fare da soli, tutelandosi in maniera volontaria grazie però ad un «aiutino» delle politiche fiscali. Dietro queste parole c’è il mondo delle assicurazioni sanitarie e delle cliniche e strutture private che potrebbe prosperare, se ricevesse davvero uno stimolo appropriato, sembra suggerire. Tra le opposizioni in Parlamento, oltre al movimento 5 Stelle che ha avuto parole molto dure, la Lega è stata invece particolarmente battagliera perché ha rimproverato al Governo di non aver tenuto conto dei «costi standard», imponendo di fatto «tagli lineari». Secondo la Lega, le Regioni cosiddette «più virtuose» dichiarano di aver già tagliato il tagliabile e ora sono costrette a ulteriori riduzioni di servizi, mentre quelle meno virtuose di fatto andranno incontro a piccole limature (5% più o meno), continuando a spendere in «maniera inappropriata»: questa la critica severa. Ma la risposta della ministra è che in realtà «non si tratta di tagli, ma di lotta agli sprechi e di rimodulazione della spesa a saldi costanti». Insomma, una quasi-riforma da seguire con attenzione, per vedere… l’effetto che fa.