Pistoia

Suor Tosca, dalla Polizia al servizio tra i giovani

Sarà a Pistoia lunedì 23 settembre per l’incontro: “Rispetto e responsabilità nell’azione educativa”, organizzato dalla Diocesi

Suor Tosca Ferrante, 55 anni, madre Generale delle Suore Apostoline Paoline e coordinatrice del Servizio regionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, sarà a Pistoia lunedì 23 settembre per l’incontro: “Rispetto e responsabilità nell’azione educativa”, organizzato dalla Diocesi. Con alle spalle una laurea in psicologia e un passato nella Polizia di Stato, ci racconta del senso del suo servizio a fianco delle vittime di abuso, ma anche di giovani in cerca di vocazione.

Suor Tosca, quali sono gli obiettivi di questi incontri?

Io credo che sia necessario attivare una riflessione comune, insieme con catechisti, sacerdoti ed educatori sul tema della tutela dei minori e della prevenzione degli abusi, soprattutto attraverso il dialogo. Diciamo poi che il nostro intento è quello di creare tra di noi un’alleanza educativa, ovvero cercare di riflettere insieme su come possiamo rendere i nostri contesti fisici, legati ai luoghi, quindi ad esempio alla parrocchia, l’oratorio o centro sportivo, un luogo di relazione sicuro. Per fare questo è necessario che ci confrontiamo tra noi a partire dall’esperienza. Quindi, c’è soprattutto il desiderio di partire dai nostri vissuti, per trovare delle tracce comuni su cui poi poter muovere i passi per la costruzione di un dialogo e una crescita.

Nel titolo del suo intervento lei parla di “adultità responsabile”, a che cosa si riferisce?

Oggi si parte dalla consapevolezza che le nuove generazioni hanno bisogno di adulti significativi, cioè adulti capaci di assumersi la responsabilità dell’essere – mi scusi il giro di parole – adulti. Il nostro compito è, alla fine, quello di generare vita attorno a noi, non solo un discorso fisico, ovvero accompagnare le giovani generazioni alla vita, al futuro, dare speranza. Questo è il nostro compito. Per fare questo c’è bisogno di adulti affidabili e responsabili. E un adulto responsabile è colui che non possiede o si sostituisce, ma che si prende cura dell’altro per farlo fiorire. Partendo dalle relazioni, proprio quelle adulte, che infatti oggi vivono un periodo di profonda crisi.

In che senso?

La crisi che stiamo attraversando è davvero profonda e riguarda il mondo relazionale degli adulti. Per fare un esempio, il manuale dei disturbi mentali, che tratta le patologie più comuni, ha dedicato una sezione intera alla definizione del significato e delle caratteristiche dell’essere umano “adulto”. Tra queste ci sono ad esempio la capacità di prendersi cura degli altri, la capacità di uscire da sé, di comprendere l’altro: come si vede sono tutte categorie relazionali. Quindi un uomo o una donna adulta è tale solo se riesce a entrare correttamente in relazione con gli altri.

La sua vocazione è nata sul lavoro…

È vero, l’esperienza lavorativa mi ha messo a contatto con tante povertà: quando ero in polizia ho arrestato tanti giovani, tanti adolescenti quando mi trovavo a operare su strada, e la domanda che mi sono sempre fatta, e portata dentro, era: “ma questi ragazzi avrebbero potuto avere un futuro diverso se avessero incontrato qualcuno che si fosse affiancato a loro”? Ecco io sono partita da questa domanda e da cosa avrei potuto fare per questi ragazzi, oltre a quello che facevo, ma che era solo un lavoro. Qui ho sentito che in quel contatto personale c’era una chiamata significativa a vivere qualcosa di diverso. 

Come è arrivata al servizio tutela minori?

Mi è stato chiesto dai Vescovi della Toscana proprio perché erano anche a conoscenza di questa mia sensibilità e del servizio di ascolto che ho svolto come religiosa in questi anni, di accompagnamento di giovani, ma anche di vocazioni in difficoltà, soprattutto religiose.

Questo servizio, in maniera più specifica, permette di accostarmi a queste povertà, e ovviamente sono situazioni che ci sono e che vanno affrontate. Questo è un modo anche per contribuire, se vogliamo fare emergere sempre meglio quel volto luminoso che la Chiesa rappresenta, anche in queste situazioni, che ovviamente sono proprio disarmanti.

A suo avviso questi incontri, o più in generale la formazione di educatori e sacerdoti, possono aiutare a contrastare gli episodi di abuso?

Chiaramente il primo passaggio è stato ed è il riconoscimento di questa realtà, e quindi su questo non è che si fanno passi indietro. Direi anche che la formazione non è un modo per dire soltanto che “stiamo facendo qualcosa”, assolutamente no. È proprio di fronte a un dolore così grande che dobbiamo pensare a quali sono i passi possibili che vanno nella direzione di riconoscere e di intervenire dove è necessario, affrontando tutto con limpidezza.

Ma la formazione è la vera avanguardia. Prendersi cura e fare formazione nelle comunità serve a favorire la maturazione di un pensiero, una dimensione cognitiva e affettiva comune, volta ad affrontare queste situazioni secondo quello che ciascuno di noi è chiamato a fare nella vita quotidiana, ma in un modo davvero molto ampio e articolato.