Vita Chiesa
Suor Manuela: «La mia vita da suora, con gioia e creatività»
Papa Francesco lo chiama «il capitale spirituale» della Chiesa in uscita. Cosa sarebbe, questa, se in Italia non ci fossero le novantamila suore ed i 19 mila monaci che operano negli ospedali, nelle carceri, nei servizi sociali, nei collegi, nei quartieri, e naturalmente nelle parrocchie a fianco o in sostituzione di sacerdoti oppure nelle missioni? La vita consacrata si sta frammentando. Se i conventi si ridimensionano, nascono però nuove comunità che attirano giovani e propongono esperienze eremitiche; ne fioriscono altre miste, aperte ai laici ed alle famiglie. Sono una realtà ormai consolidata gli Istituti secolari.
È una realtà che cambia. E su di essa si interrogherà tutta la Comunità ecclesiale nella «Giornata mondiale» che sarà celebrata il 2 febbraio. Anticipiamo questa riflessione con suor Manuela Latini, 50 anni di professione religiosa nelle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, delegata USMI dell’Arcidiocesi di Firenze, con un’esperienza pastorale sviluppata con incarichi di responsabilità in Toscana – nel capoluogo, a Siena e Prato – prima di insediarsi stabilmente a Scandicci, dopo i nove anni trascorsi in Vaticano (dal 1993 al 2002) alla direzione di Santa Marta, la «casa del Papa».
Suor Manuela, per Papa Francesco profezia, prossimità, speranza, obbedienza, sapienza sono i principali pilastri della vita consacrata. Ne aggiungerebbe altri?
«A questi “cardini” dettati da Bergoglio ne associerei un altro: la “gioia”, che è un aspetto importante della vita consacrata. Gioia come dimensione interiore, che scaturisce da un rapporto intimo e profondo con il Signore. Gioia che alimenta la creatività, propria di chi è pieno di Spirito Santo. In questo modo – dice il Papa – Dio stesso trasforma l’obbedienza in sapienza».
C’è una strada obbligata per «sognare con Dio»: ma basta seguire l’esempio di Madre Teresa di Calcutta, la Santa degli ultimi?
«Non c’è una strada obbligata per “sognare con Dio”, perché non basta seguire l’esempio di Madre Teresa: ognuna di noi, consacrate, “sogna con Dio” alla sua maniera. Ma comunque “sogna” e i sogni diventano realtà quando si traducono realmente in un servizio di amore per i più poveri.
La vostra vita di comunione è un segno di vitalità per il mondo, che invece guarda solo ad alcuni aspetti negativi, quali l’invecchiamento e la mancanza di vocazioni, gli abbandoni, le difficoltà nel vivere il radicalismo evangelico?
«Certo i problemi ci sono, ma le nostre comunità – anche quelle che si vanno ridimensionando – sono cellule vive. Uomini e donne consacrati non per allontanarsi dalla gente e avere tutte le comodità, no; ma per capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, le tante cose che si capiscono soltanto se diventiamo “prossimo”. Se col nostro esempio suscitiamo nuove “chiamate”».
A proposito di vocazioni: ha una bella storia di «chiamata» recente da segnalare?
«Riflettendo, ho pensato che ogni chiamata è “recente” perché si rinnova ogni momento ed è una bella storia da vivere e da testimoniare. Quest’anno ricorderò i miei 50 anni di vocazione: anche la mia è una “storia recente di chiamata”… Recente perché di ogni giorno, attuale perché devo viverla nella modernità. Tempi diversi, da quando nel settembre 1966, poco prima dell’alluvione di Firenze lasciai il mio impiego alla SAI Assicurazioni per iniziare il noviziato a Siena, dove sono tornata anche dopo essermi specializzata in pieno Sessantotto come assistente sociale a Roma, per dare vita in sede diocesana alla Caritas, voluta da Paolo VI ed alla scuola di monsignor Giovanni Nervo e monsignor Giuseppe Pasini».
«Le religiose di oggi sono più preparate? Immagino che molte frequentino corsi della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale …
«Direi che le suore sono più preparate, ma non solo da oggi: l’USMI e ora le Facoltà teologiche hanno visto sempre un’ampia partecipazione di religiose a seminari, convegni, sessioni, corsi di studi universitari teologici. Già diversi anni fa io dicevo a sacerdoti che noi religiose avevamo fin dall’inizio letto, studiato, approfondito con iniziative varie (a livello nazionale e diocesano) i principali documenti del Concilio e del Magistero».
Come riuscite ad integrare il servizio dei vostri specifici carismi religiosi con la pastorale di ogni singola Diocesi, ad operare in parrocchia o nel sociale?
«Gli specifici carismi religiosi si integrano nella pastorale della Chiesa locale in cui si trovano se c’è conoscenza e rispetto reciproci, dialogo (dialogo e la collaborazione sono già in atto ai vari livelli; ma non c’è dubbio chi debbano ulteriormente svilupparsi, perché rechino frutti più abbondanti).Non sudditanza, ma ascolto, mutuae relationes (spesso sottovalutate). Come afferma la Lumen Gentium, lo stato religioso “non è intermedio tra la condizione clericale e laicale”, ma proviene dall’una e dall’altra quasi come “dono speciale” per tutta la Chiesa missionaria. Molti sono gli Istituti religiosi e diversi l’uno dall’altro, secondo l’indole propria di ciascuno; ma ognuno apporta la sua propria vocazione qual dono suscitato dallo Spirito, mediante l’opera di “uomini e donne insigni”, e autenticamente approvato dalla sacra gerarchia».
Papa Bergoglio vi chiede soprattutto attenzione per i poveri, i carcerati e per accogliere chi fugge dalle guerre: come rispondete a questa sollecitazione?
«Le frequenti, intense e accorate sollecitazioni di Papa Francesco per i poveri, i carcerati, gli immigrati trovano un’eco profonda nel cuore delle religiose. Esortazioni oggi però vissute anche nella sofferenza di non poter rispondere sempre in maniera piena e rapida».
In Toscana sopravvivono monasteri di clausura: com’è cambiata la vita delle claustrali, rispetto ai tempi di La Pira, che chiedeva loro «preghiere speciali»?
«Li conosco poco….se non per il contatto che ho con qualche monastero di Firenze e con quello trappista di Valserena. Anche la vita dei monasteri di clausura è cambiata, ma non è “diluita”. Alcuni cenobi o eremi sono ridotti a poche unità. Comprensibilmente hanno problemi. Altri con recenti entrate giovani dimostrano vivacità, apertura, accoglienza. La vita claustrale conserva ancora, e soprattutto, un’essenzialità spirituale di cui non possiamo fare a meno: sono radici nascoste, profonda ma linfa vitale per la vita della Chiesa e della società».
Suor Manuela, immagino che la sua giornata-tipo sia una maratona di impegni. La può brevemente narrare?
«La mia giornata tipo è segnata dal servizio dei poveri secondo il nostro carisma specifico: “Tutte date a Dio, in comunità per il servizio dei poveri”, “nostri signori e padroni” secondo una notissima espressione di San Vincenzo. Opero in una struttura di accoglienza Caritas, che accoglie uomini senza fissa dimora e donne con misure alternative al carcere. La mattina, alle ore 6 sono già in parrocchia, dove abbiamo l’Adorazione Perpetua. Nel silenzio adorante porto al Signore l’umanità che si sveglia e si rimette in cammino. Segue l’Ufficio di Letture, Lodi e la Santa Messa. Mi occupo anche di formazione del Volontariato Vincenziano con incontri, visite nei gruppi della Toscana, conferenze su temi sociali o di spiritualità. Come segretaria diocesana dell’USMI ho una bella collaborazione con le sorelle del Consiglio appartenenti a diverse comunità, organizziamo incontri mensili di preghiera e di formazione».
Ha nostalgia per i nove anni trascorsi a Santa Marta, la nuova «casa del Papa»?
«Non ne ho nostalgia, ma gratitudine per un’esperienza “di Chiesa” veramente unica, ma giustamente a termine. Tanta gioiosa consapevolezza della ricchezza ricevuta dagli incontri e dalle testimonianze vissute “in diretta”. Erano gli anni finali del Pontificato di Wojtyla: quelli dei Sinodi, delle Giornate Mondiali della Gioventù, dell’Anno Santo 2000. Lì ho conosciuto segretari di Stato, Vescovi, Nunzi, Premi Nobel».
Ma avrà un ricordo anche di Benedetto XVI…
«Ratzinger veniva a Santa Marta ancor prima di essere eletto Papa. Molto riservato, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Fu molto affabile con me anche quando lo ricontrai dopo qualche anno che ero ritornata a Firenze, al monastero di Rosano, che lui amava frequentare da Cardinale. Mi piacerebbe poterlo rivedere».
Ma prima Santa Marta era quasi sconosciuta?
«Oggi tutti parlano di Santa Marta, dove abita Bergoglio. Sono contenta. E quando per la prima volta ho avuto modo di incontrare Papa Francesco, sono stata presentata a lui come chi aveva trasformato quell’immobile nuovo e vuoto in una residenza semplice, calda e familiare, tale da accogliere ora il Santo Padre nella sua quotidianità. Il suo sorriso e il suo grazie mi sono rimasti nel cuore».
Cosa le ha raccomandato Papa Francesco?
«Forse niente di particolare. Non ricordo…. Ma quel “grazie” vale più di molte raccomandazioni e raggiunge tutte le mie consorelle di allora e quelle di oggi che sono ancora lì accanto a Papa Bergoglio».
Cinquant’anni tra le Figlie della Carità
Cinquant’anni di professione religiosa nelle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, è stata anche direttrice di Casa Santa Marta, quella che oggi è la residenza di Papa Francesco. Il noviziato a Siena, dopo aver lasciato l’impiego in una compagnia di assicuazioni. Poi un’esperienza pastorale maturata con incarichi di responsabilità, oltre che a Siena, a Firenze e Prato; attualmente è a Scandicci dove segue le attività della casa «La Meridiana», il centro gestito dalla Caritas insieme alle parrocchie del vicariato.