È nata nel 1927 in Veneto in una famiglia con 10 figli (dei quali quattro sorelle diverranno suore). Dopo alcuni anni a Roma, alla fine della Seconda guerra mondiale il suo ordine le propone di partire per andare in missione in una terra sconosciuta, il Pakistan. Ricorda con lucidità il viaggio in nave di dieci giorni, lo sbarco a Karachi e ancora i tre giorni per arrivare al convento, dove i padri Domenicani avevano già aperto una casa. Lo scopo della missione era, ed è tutt’oggi, la dedizione alla popolazione più povera e soprattutto all’educazione dei bambini.La missione domenicana in Pakistan è iniziata nel 1931 quando i domenicani italiani, guidati da padre Francesco Benedetto Scialeo, giunsero per operare nella diocesi di Lahore che allora era ancora India, prima della spartizione che porterà alla nascita del Pakistan nel 1947. Nel 1966 il primo gruppo di giovani pakistani si unì all’ordine che portò ad aprire una casa di noviziato a Bahawalpur e una casa di studi a Karachi. Il primo sacerdote domenicano pakistano è stato ordinato nel 1973. Oggi i Domenicani in Pakistan prestano servizio pastorale in quattro diocesi: le arcidiocesi di Karachi e Lahore e le diocesi di Multan e Faisalabad, con una comunità che conta circa 30 sacerdoti domenicani, tutti pakistani. La comunità ha anche 15 gruppi di laici molto attivi.Le suore domenicane in Pakistan hanno completato a Lahore la costruzione di un nuovo edificio scolastico che comprende 12 classi, un’aula professori e una sala giochi per tutti i bambini. La scuola è operativa da oltre 50 anni, tuttavia mancavano ancora fondi per il completamento. Con questo nuovo edificio le suore possono accogliere i bambini in modo più dignitoso, non più seduti per terra ma in banchi da scuola . Un ulteriore progetto prevede un sistema di refrigerazione per l’acqua potabile dei serbatoi che nei mesi caldi diventa imbevibile.A Karachi la clausura degli Angeli, aperta negli anni cinquanta dal padre Scialeo (divenuto poi vescovo di Faisalabat) attualmente ospita 9 suore contemplative di cui 7 pakistane, un’americana e una srilankese. È il solo monastero di clausura in Pakistan.Nell’adorazione eucaristica perpetua, pregano per le intenzioni dei cristiani e per quelle loro affidate da fratelli musulmani che rispettano e ammirano molto queste suore e sostengono il convento con offerte e prodotti della terra. Ricevono richieste per la preghiera anche tramite mail e sostengono con la loro vicinanza spirituale.Suor Letizia ricorda gli anni passati, quando nella scuola in lingua Urdu, all’inizio, c’erano classi anche di 50 alunni: poi pian piano si è sviluppata in qualità fino a essere la prima scuola inglese del Pakistan. Erano solo dodici suore ma oltre la scuola, potevano offrire anche assistenza medica.La storia del Pakistan del dopo indipendenza è stata caratterizzata da periodi di governo militare, da instabilità politica e da conflitti con la vicina India. La popolazione Urdu fuggita dall’India non parlava inglese, divenuta lingua nazionale, quindi la scuola teneva necessariamente lezioni in entrambe le lingue. Le celebrazioni liturgiche fino al 1963 (anno in cui il Concilio Vaticano II ha aperto alle lingue nazionali) erano in latino, poi in lingua urdu o inglese. Suor Letizia dice che le famiglie più ricche erano musulmane e si potevano permettere di pagare la scuola in inglese, mentre la minoranza cristiana aveva condizioni economiche più svantaggiate. La scuola, come sempre, colma le differenze e molte ragazze hanno raggiunto, con molta passione per lo studio, anche livelli alti. Con orgoglio ci dice più volte che una loro studentessa fu premiata dal presidente in carica con una medaglia d’oro come la migliore della nazione.Suor Letizia racconta come la scuola attualmente ospiti più di mille scolari, dall’asilo alla classe ottava, con alunni e professori sia musulmani che cristiani. È interessante sentire che ci sono suore pakistane che si sono offerte per venire missionarie in Italia.Oltre la scuola era importante il contatto con le famiglie. Per raggiungere i villaggi più lontani si usava inizialmente il cammello, poi arrivarono le biciclette che permettevano alle suore maggiori possibilità di muoversi nella città e nelle campagne. Il clima in Pakistan è molto caldo fino a più di 40 gradi, in parte mitigato dalla stagione delle piogge. Suor Letizia ricorda come le famiglie accoglievano con festa l’arrivo delle religiose offrendo semplicemente un tè, caffè, qualche frutto o del chapati (pane tipico dell’India), consumando il tutto sedute per terra, come da tradizione. Il cibo, insaporito e reso piccante dal peperoncino e dal curry, non faceva rimpiangere la cucina italiana.«Tutti ricordi belli» sottolinea suor Letizia: il suo desiderio più grande sarebbe poter tornare in Pakistan.Fabrizia BigazziGigliola Pugliesi