Opinioni & Commenti
Sulle riforme costituzionali non sono ammessi giochi politici
Uscendo dalla metafora, da ormai molti anni nel nostro Paese l’attenzione per la Costituzione sembra essere incentrata più sulle riforme (per lo più prospettate o minacciate, assai più raramente anche realizzate) che sulla sua essenza e perciò sul suo valore: i potatori sono sempre all’opera, ed anzi sembrano gli unici che si preoccupano della Costituzione, ma delle radici e della linfa quasi nessuno sembra darsi pensiero. Ciò rischia di produrre conseguenze assai negative (come già anche Dossetti aveva denunciato, dando vita ai «Comitati per la Costituzione»), ingenerando nell’opinione pubblica l’idea che la Costituzione sia poco più che un ferro vecchio ed arrugginito, e che il gran daffare intorno alla sua modifica ne abbia già decretato, nei fatti, la sua obsolescenza se non addirittura la sua morte: se non formale almeno sostanziale. In più sembra invalsa l’idea che ogni maggioranza politica debba farsi la «sua» riforma della Costituzione, quasi che i programma di governo non debbano tendere tanto a far funzionare meglio il Paese, a garantire servizi più adeguati, a realizzare forme più avanzate di giustizia sociale, quanto piuttosto a cambiare l’assetto costituzionale e la distribuzione dei poteri dello Stato. Con l’ulteriore conseguenza di contribuire all’idea di una Costituzione pret à porter, da cambiare come si cambiano gli abiti quando muta la stagione: ma con il rischio reale di fare sì che quell’abito non svolga più la sua funzione.