Cultura & Società
Sulle pagine di Toscana Oggi un inedito epistolario tra don Milani e Michelucci
«Caro Don Milani, mi scusi la familiarità con la quale inizio questa lettera, ma non saprei come cominciarla diversamente, perché la visita che ho fatto a Barbiana, ha lasciato in me un ricordo veramente caro. Dirò di più: quell’incontro mi è stato, mi è e mi sarà “utile”». «Caro Architetto, (…) spero proprio di venire un giorno coi ragazzi a vedere con lei la chiesa dell’Autostrada e se non me la sentissi di muovermi perché non sto bene, spero proprio che lei spiegherà la sua opera ai ragazzi anche se io non ci sono». «Caro Don Lorenzo, (…) penso che quel che è detto nella “lettera ad una professoressa” sia esatto, tanto più che ho saputo recentemente di un Preside che ha rimproverato duramente un insegnante di aver bocciato un ragazzo che “non capiva”. Ha detto il Preside: “la colpa è sua e non del ragazzo; è lei che non capisce!”». Sono alcuni passaggi di un carteggio inedito tra don Lorenzo Milani e Giovanni Michelucci, tre lettere rinvenute nell’epistolario del celebre architetto, la cui analisi è stata oggetto di un dottorato di ricerca svolto da Cristina Donati presso la Fondazione Michelucci.
Pubblicate su Toscana Oggi datato 3 settembre, le lettere risalgono al periodo compreso tra il novembre 1965 e la pubblicazione di «Lettera a una professoressa». La corrispondenza tra i due «maestri», entrambi evidentemente pervasi da una preoccupazione educativa ma – in particolare per Michelucci – anche etica nei confronti del proprio impegno professionale e artistico, prende spunto da una visita dell’architetto alla scuola di Barbiana e si conclude con alcune sue note su «Lettera a una professoressa», comprendenti, assieme agli apprezzamenti, anche una sincera critica per certi toni offensivi diretti sia alla stessa insegnante che ad altre persone; un passaggio in cui Michelucci dimostra un’attenzione quasi «misericordiosa» nei loro confronti: «Seguendo la logica della lettera – scrive infatti –, se bisogna dedicare ogni cura al ragazzo che ha difficoltà a capire, non mi rendo conto perché la stessa cura non si debba dedicare alle persone mature di anni che non capiscono, cercando di persuaderle, di “educarle”, sia pure con un linguaggio duro, ma non offensivo. Mi sembra inoltre che con le offese si stabiliscano nell’opera due “piani qualitativi” di linguaggio che possono coinvolgere il lettore».