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Sulla «194» uno scontro che non serve a nessuno

di Claudio Turrini«Avere volontari nei consultori è positivo, perché finora il lavoro di tutela della maternità è stato insufficiente». È bastata questa frase del card. Camillo Ruini, durante la conferenza stampa di chiusura della 55ª assemblea generale della Cei, ad Assisi, a riaccendere le polemiche. «Antiabortisti nei consultori. Ruini riapre lo scontro», titolava in prima pagina Repubblica il giorno dopo, imitata più o meno da tutti i quotidiani nazionali. E la concomitanza con altre notizie – dalle vicende della pillola abortiva, allo stesso convegno nazionale dei Cav – ha creato il solito «corto circuito» mediatico.

La proposta, sulla quale il card. Ruini aveva espresso un semplice parere, era stata avanzata dal ministro della sanità Francesco Storace, finito anche lui sommerso da un coro di critiche, provenienti anche dalle file della sua stessa maggioranza. Il ministro ha poi precisato che la presenza dei volontari del Movimento per la vita era solo un esempio di quella presenza «multiculturale» che lui auspica, «perché l’articolo 2 della legge parla chiaramente di convenzioni con le associazioni all’interno delle strutture». Del resto, questa collaborazione con il volontariato, pur essendo poco diffusa, non è una novità. Alla Clinica «Mangiagalli» di Milano, ad esempio, è attivo da più di 20 anni un Cav gestito da volontari, in piena sintonia con la struttura pubblica.

«I nostri volontari nei consultori pubblici? Il Movimento per la vita non lo ha mai chiesto. Chiede molto di più», ha spiegato Carlo Casini. «Chiediamo che lo Stato nel momento stesso in cui rinuncia a punire l’aborto non rinunci a difendere il diritto alla vita con altri mezzi di più alto profilo e di maggiore efficacia». Ed è in questo contesto che si potrebbe inserire «la presenza dei volontari all’interno della struttura consultoriale, una presenza del resto già prevista dalla legge».

Purtroppo la lunga campagna elettorale nella quale siamo immersi trasforma un argomento come questo, sul quale si potrebbe aprire un serio confronto, in uno scontro ideologico che non serve a nessuno e meno che mai alle donne che vivono il dramma dell’aborto. Anche la commissione parlamentare d’indagine proposta dal segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, che sicuramente sarebbe un buon punto di partenza per una pacata riflessione sull’attuazione della legge 194, è destinata a naufragare e ad alimentare ulteriori polemiche. Tutto viene ingigantito e amplificato, quasi fossimo al «processo» di Biscardi.

Eppure, appena un mese fa, il 23 ottobre, per l’esattezza, avevamo letto sulle pagine fiorentine di Repubblica un’intervista al presidente della giunta regionale, il diessino Claudio Martini, con dichiarazioni sul tema dell’attuazione della legge 194 pienamente condivisibili. «Anch’io penso che la 194 non sia applicata compiutamente, nemmeno in Toscana», aveva detto Martini, commentando un intervento di mons. Plotti sulla pillola Ru486. «Siamo di fronte a un grande tema culturale, che va affrontato in tutto il paese, e che riguarda l’insieme di retropensieri e riserve mentali coltivate da ciascuna delle due culture che hanno contribuito alla stessa nascita della 194, non a caso composta di due parti, quella che tutela maternità e quella che consente l’aborto. Ma finché ciascuna delle due culture continuerà a privilegiare soltanto la propria visione, anche le due parti della 194 verranno vissute come confliggenti o alternative, o da applicare l’una a scapito dell’altra, provocando una pessima gestione della legge. Plotti invita a recuperare uno sguardo di insieme, in un orizzonte di crescita culturale globale, con al centro la tutela sociale della maternità e una promozione su vasta scala di una autentica cultura della vita, su cui c’è sicuramente da colmare un grave ritardo, che ci trova assolutamente d’accordo». Ecco, mettiamo da parte le polemiche e ripartiamo da qui.

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