“Se guardiamo la vita di ognuno è molto facile che ci siano dei momenti difficili e oscuri. La tentazione della fuga dalla vita riguarda molte persone. La Chiesa deve riuscire ad esprimere il volto misericordioso di Dio anche in questi momenti di miseria”. A dirlo è don Giuseppe Pellizzaro, presbitero della diocesi di Vicenza, teologo e docente di teologia morale, autore della voce “suicidio” nel “Nuovo dizionario di teologia morale” edito dalla San Paolo, un testo di riferimento per studenti e professori della materia.“Il suicidio è forse l’esperienza più traumatica, soprattutto per le persone che restano: suscita interrogativi, lascia sensi di colpa. Interpretare questo gesto non è semplice. Il suicidio negli ultimi anni è stato analizzato e studiato, aiutandoci a capire in maniera più profonda le motivazioni. Talvolta i motivi del gesto appaiono banali, come un brutto voto a scuola, ma sono la punta dell’iceberg di problematiche ben più profonde.Oggi siamo più coscienti di una responsabilità che ci tocca tutti, ed è qui il vero problema: aiutarci a vivere la vita, riscoprire il valore della vita.Qui entrano in gioco realtà che vanno dalla famiglia alla scuola”.Don Giuseppe, il 10 settembre è la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Come può contribuire la Chiesa?Viviamo in una società che ci sta isolando, rendendoci indifferenti gli uni agli altri. Questo fa sentire le persone più sole ed enfatizza le problematiche.Per questo è prezioso il messaggio della Chiesa di vicinanza, solidarietà, attenzione agli altri, perché è proprio attraverso gli altri che si scopre che la vita ha senso.Nella liturgia delle ore, durante la compieta del venerdì, si legge il salmo 87, un salmo senza speranza che si conclude con un lapidario “mi sono compagne solo le tenebre”. Neppure il credente è messo al riparo da momenti oscuri, è così?I momenti di oscurità nella vita delle persone ci sono per tutti, i credenti non ne sono esentati. Il senso profondo della fede è però sentire che anche in quel momento la vita non è totalmente abbandonata. E questo lo si percepisce attraverso l’aiuto delle persone.Anni fa non venivano celebrati i funerali di chi si toglieva volontariamente la vita. Oggi qual è l’atteggiamento della Chiesa?Le cose sono cambiate in tempi recenti. Il rifiuto della sepoltura ecclesiastica, come tutte le forme di scomunica nel senso originario del termine, aveva un’intenzione “medicinale”. Le scomuniche non hanno un intento punitivo ma quello di sottolineare la gravità della mancanza o del peccato commesso e tentare di svolgere una funzione di deterrenza.Nelle intenzioni, la scomunica voleva mettere le persone nella posizione di ravvedersi e riavvicinarsi alla Chiesa.Nel caso del suicidio questo non è possibile, per cui era prevalente la funzione di deterrenza. Non dimentichiamo che il suicidio è “contagioso”, è molto facile che avvengano casi di emulazione. Questa, dicevamo, era la funzione originaria. Sicuramente, però, è stata percepita in modo punitivo nei confronti di chi si è tolto la vita.Oggi, quando si celebra il funerale di un suicida, che attenzioni bisogna avere?Le esequie di un suicida sono difficili, si corre il rischio opposto rispetto a quello di cui parlavamo prima: colpevolizzare gli altri, cercare un capro espiatorio, giudicare l’evento.L’atteggiamento corretto che occorre mantenere è quello di esprimere il volto misericordioso di Dio su questa esperienza di miseria. Occorre evitare giudizi, giustificazioni, esaltazioni.Evitare, quindi, atteggiamenti estremi.Lei ha mai avuto a che fare con persone che si sono suicidate?Ne ho fatto esperienza. Mi è capitato con una persona che aveva dichiarato la volontà di uccidersi e poi lo ha fatto, anche se si pensa che chi lo dichiara non commetterà il suicidio. Poi un ragazzo, che viveva una situazione personale difficile di ricerca della propria identità di genere. Quando tutto sembrava risolto, aveva concluso gli studi e trovato un lavoro, si è tolto la vita. Questo mi interroga molto, perché sembra che il suicidio non avvenga quando si raggiunge il punto più oscuro della propria vita ,ma quando si prende in qualche modo coscienza di un “fallimento di vita”. Ma onestamente non lo so… tentare di dare una spiegazione a questi gesti è sempre sbagliato.La cosa drammatica è che il fenomeno del suicidio tocca tanti giovani. Forse manca una spiritualità profonda, un supplemento d’anima che può aiutare a superare i momenti oscuri che tutti viviamo.Ma la domanda alla quale è più difficile rispondere è un’altra….Quale?Siamo chiamati a vivere la vita come dono, ma cosa accade quando non è più percepita come tale? È una domanda difficile alla quale dobbiamo cercare di dare una risposta.
(precedentemente pubblicato su “La voce dei Berici”)