Italia

Suicidio assistito, per la Consulta resta un’eccezione

"Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia, i requisiti per l'accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza". Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n.135

L’attesa decisione della Corte Costituzionale n. 135 del 2024 in tema di suicidio assistito ribadisce quanto già affermato nel 2019 con la sentenza n. 242 e, in questo senso, per quanto la sentenza n. 242 fosse per certi aspetti discutibile, ribadisce che i più fragili vanno comunque tutelati anche rispetto ai possibili abusi e strumentalizzazioni, primo tra i quali la spinta sociale a sentirsi un peso per gli altri con la conseguenza di indurre a optare per la richiesta di morire. 

“Fondamentale dunque l’importanza delle cure palliative da assicurare a tutti senza eccezioni” – dichiara Marina Casini, Presidente del Movimento per la Vita Italiano. “Sono questi i due aspetti, protezione dei fragili e cure palliative, su cui bisogna lavorare molto a livello culturale, operativo e legislativo”. 

Al legislatore in particolare il compito di mettere mano alla materia in maniera assolutamente coerente con i quattro paletti indicati dalla Corte Costituzionale, senza allentamenti, allargamenti, smagliature, scappatoie, inganni semantici, ambiguità. 

Deve restare chiaro – aggiunge Marina Casini – che le persone colpite dalla malattia e dalla disabilità sono persone da proteggere, che l’ordinamento giuridico non si piega a logiche di morte, che l’assistenza al suicidio deve restare una eccezione circoscritta in presenza dei cinque requisiti, i quattro più il quinto che riguarda le cure palliative, rigorosamente circoscritti, interpretati e intesi. 

Bisogna evitare di ripetere quanto accaduto con la legge sull’aborto, anch’essa preceduta da una sentenza costituzionale, la n. 25 del 1975: la Legge 194 nella disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza nei primi tre mesi di gravidanza è andata ben oltre i criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale.  “Al di là dell’aspetto legislativo va assolutamente dato spazio e promozione a un’autentica cultura della vita affinché ogni persona si senta, e sappia di esserlo davvero, accolta e amata” – conclude Marina Casini.

“Per la Corte costituzionale non c’è un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza. Si tratta di un’affermazione importante. Il suicidio assistito resta un’eccezione e, dunque, non si realizza alcuna disparità di trattamento tra pazienti che dipendono da trattamenti di sostegno vitale e pazienti che non vi dipendano”, osserva Alberto Gambino, presidente Centro studi Scienza&Vita, componente Comitato nazionale per la bioetica. “Anzi la Corte ritiene – giustamente – che il requisito “oggettivo” dell’essere sottoposti ad un presidio sanitario eviti che si finisca per creare una “pressione sociale indiretta” su persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali – sono parole della Corte – “potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte”. La via italiana, secondo la Corte, è dunque legittima e corrisponde a quanto già recentemente ha ritenuto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte sembra però sposare una posizione per la quale il sostegno vitale non coincide necessariamente con una completa sostituzione di funzioni vitali ma possa esserlo anche il trattamento che si riveli in concreto necessario ‘ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo'”, conclude Gambino