Vita Chiesa
Sui «silenzi» di Pio XII solo polemiche strumentali
di Luigi Crimella
La polemica sul cosiddetto silenzio di Pio XII, imputato di insensibilità o addirittura di connivenza di fronte alla Shoah, è strumentale, come del resto indicano con chiarezza le sue origini radicate nella propaganda sovietica già durante la guerra, una propaganda poi travasata in quella comunista durante la guerra fredda e, infine, rilanciata dai suoi epigoni». Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, al convegno «Eredità e magistero di Pio XII» che si è svolto la scorsa settimana a Roma, promosso dalle Università Pontificie Gregoriana e Lateranense nel 50° anniversario della morte del Pontefice (6-8 novembre).
«Per la sua esperienza tedesca, – ha affermato Bertone – papa Pacelli conosceva benissimo il nazismo e la sua folle ideologia e più volte, tra il 1937 e il 1939, aveva messo in guardia statunitensi e britannici dal pericolo rappresentato dal Terzo Reich. Ma c’è di più: tra l’autunno del 1939 e la primavera del 1940 il Pontefice appoggiò, con una scelta senza precedenti, il tentativo, presto abortito, di alcuni circoli militari tedeschi in contatto con i britannici di rovesciare il regime hitleriano».
«Dopo l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, Pio XII rifiutò di schierarsi e di schierare la Chiesa cattolica con quella che veniva presentata come una crociata contro il comunismo e, anzi, si adoperò per superare le opposizioni di molti cattolici statunitensi all’alleanza con i sovietici, anche se il giudizio sul comunismo del Pontefice e dei suoi più stretti collaboratori restò sempre radicalmente negativo»: così ha poi proseguito il card. Bertone nel suo discorso su papa Pacelli, delineandone l’impegno a difesa delle vittime del nazismo, a partire proprio dagli ebrei. «La rappresentazione di Pio XII come indifferente di fronte alla sorte delle vittime del nazismo – i polacchi e, soprattutto, gli ebrei – e addirittura come «Papa di Hitler», prima ancora che oltraggiosa è dunque dal punto di vista storico insostenibile, così come senza fondamento storico è l’immagine di un Pontefice succube degli americani e «cappellano dell’Occidente», diffusa e sempre sostenuta dai sovietici e dai loro sostenitori nelle democrazie europee durante la guerra fredda». Bertone ha poi esortato a consultare i «tre milioni e mezzo di documenti dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, istituito per volontà di Pio XII subito dopo l’inizio del conflitto, fondo che arriva al 1947 ed è interamente aperto, ma nonostante questo quasi inutilizzato».
«Di fronte agli orrori della guerra e a quella che poi sarebbe stata definita la Shoah, papa Pacelli non restò neutrale o indifferente, e quello che venne e viene tuttora bollato come silenzio fu invece una scelta consapevole e sofferta, basata su un giudizio morale e religioso chiarissimo». Il domenicano Yves Congar, poi cardinale, riferisce ad esempio nel suo diario conciliare le confidenze di un testimone del tempo, il confratello Rosaire Gagnebet. Dopo la strage delle Fosse Ardeatine il Papa s’interrogò «con angoscia» se denunciarla: «Ma tutti i conventi, tutte le case religiose di Roma erano piene di rifugiati: comunisti, ebrei, democratici e antifascisti, ex generali, ecc. Pio XII aveva sospeso la clausura. Se Pio XII avesse protestato pubblicamente e solennemente, ci sarebbe stata una perquisizione in queste case e sarebbe stato catastrofico». «Così il Pontefice – ha concluso il cardinale segretario – scelse la protesta diplomatica».
Basti ricordare le conseguenze che ebbe la lettera pastorale dei Vescovi olandesi del 1942 che condannava l’ingiusto ed inumano trattamento contro gli ebrei, per questa denuncia infatti l’Olanda dovette contare la più alta percentuale di ebrei deportati rispetto agli altri Paesi europei, cioè circa 110.000, il 79 % della sua popolazione ebraica totale. Margherita Marchione, nei suo studi, ha poi rilevato che il New York Times durante la seconda guerra mondiale (1940-1945) dette molto spazio agli interventi di Pio XII, presentandolo come uno dei pochi leaders che in Europa si opponevano al nazismo, il medesimo giornale, invece, in tempi recenti, contraddicendosi, si è fatto portatore di bieche accuse a Papa Pacelli.
L’autrice ha voluto, altresì, rammentare le numerose e calorose espressioni di gratitudine che, dopo la morte del Pontefice, vennero formulate dai massimi esponenti dell’ebraismo mondiale come, ad esempio, Golda Meir, Ministro degli Esteri e poi Primo Ministro di Israele che disse: «Quando un tremendo martirio si abbattè sul nostro popolo, la voce del Papa si levò in nome delle vittime. La nostra vita fu illuminata dal suono di quella voce, rivelatrice di grandi verità morali, facendole germogliare dai tumulti bellici quotidiani. Piangiamo la scomparsa di un grande servo della pace»
È assai interessante indagare, come ci invita Margherita Marchione, sui motivi e sulle circostanze anche di politica internazionale che, dalla seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, hanno provocato un così repentino cambiamento di giudizio sull’operato di Pio XII. L’Olocausto, osserva ancora Margherita Marchione, è un problema tedesco, non un problema della Chiesa Cattolica e a tal scopo si deve tener presente il grosso carteggio epistolare tra Pio XII ed il Beato Clemens August Von Galen, vescovo di Münster, creato cardinale proprio da Papa Pacelli nel 1946, quale pubblico segno di stima per colui che era stato, in Germania, uno dei pochi avversari del regime hitleriano. Questo nuovo libro di Suor Margherita Marchione esce in concomitanza col 50° anniversario della morte di Pio XII e raccoglie articoli, interviste, lettere, testimonianze di giornalisti, storici, uomini di chiesa e gente comune, con un obbiettivo fondamentale: dire la verità su uno degli uomini più importanti del Novecento.