Lettere in redazione
Sui Rom nessuna ipocrisia, ma nemmeno razzismo
Gentile direttore, scrivo questo email per esprimere il mio modesto parere su un tema che da qualche tempo è molto di attualità, ossia l’atteggiamento che si dovrebbe tenere nei confronto dei Rom. Ebbene, io ritengo di avere trovato la risposta in due testi, uno della Bibbia e uno della Costituzione italiana, testi entrambi molto spesso dimenticati. Il primo è un passo della Seconda Lettera ai Tessalonicesi di Paolo (2 Tessalonicesi 3, 10-13), dove l’Apostolo dice: «Infatti, quando eravamo presso di voi, vi demmo questra regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi ordiniamo, esortandoli nello Spirito Santo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace».
Da questo passo si deduce che, fin quando il rifiuto del lavoro farà parte della loro cultura, nessuno deve sentirsi obbligato ad aiutarli. Il secondo teso, più «laico», è il secondo comma dell’art. 4 della Costituzione, che recita: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Orbene, poiché è sotto gli occhi di tutti che i Rom non siano impegnati in un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società ne hanno mai manifestato alcun proposito di dedicarvisi, cessa ogni dovere dello Stato di preoccuparsi di loro.
L’amara verità è che molti cattolici vorrebbero instillarci il concetto secondo cui lo stile di vita dei Rom, basato sul rifiuto del lavoro e l’accattonaggio, è del tutto accettabile e che siamo noi, persone «perbene» ad essere di vedute ristrette. Io non credo che possa esservi persona che lavora duramente dalla mattina alla sera per cercare di portare un po’ di pane a casa che possa provare simpatia per i Rom. Un’ultima domanda: si è parlato tanto di tagli ai Comuni da parte del Governo, eppure i soldi per pagare le bollette di acqua e servizi ai campi Rom ci sono, o sbaglio?
Caro Francesco, ti do del tu, non so perché, mi viene così, eppure non mi sento di condividere quello che scrivi, anzi: vorrei proprio prendere le distanze dal tuo pensiero. Ho persino creduto che questa lettera non fosse vera, tanto è dura nel suo fondo (non certo nella forma). Ho pensato che fosse una provocazione anonima. Poi, verificando l’indirizzo di posta elettronica, mi sono accorto che è vera e che viene da un cattolico il quale ricorre addirittura al Nuovo Testamento per dimostrare scusa se te lo dico brutalmente una tesi razzista. E non ho nessuna voglia di fare il buonista ipocrita perché siamo a Natale difendendo a spada tratta i Rom. Voglio solo provare a ragionare con te senza nascondere i problemi che la presenza delle popolazioni Rom può comportare alle nostre città, a partire dall’avere a che fare con una cultura molto diversa dalla nostra, che non consente certo una facile integrazione. Per di più gli stessi campi Rom rischiano di essere luoghi in cui cresce l’illegalità.
Ammesso questo, dobbiamo essere convinti (e non solo come cattolici) che ogni essere umano, come ogni vita umana, merita sempre e comunque rispetto, anche chi questo rispetto sembra non meritarlo o volerlo. Può sembrare un limite, ma segna la civiltà di un popolo. Come cattolici siamo tenuti ad un passo ulteriore perché dobbiamo essere presenti dove è presente l’uomo, specie se segnato da povertà ed esclusione. E i Rom sono una minoranza che in Europa vede calpestata troppo spesso la propria dignità. Non si può colpevolizzare un’intera popolazione perché alcuni delinquono. Come normali cittadini e ancor più come cattolici siamo tenuti a superare e a far superare stereotipi e slogan che non fanno altro che diffondere pregiudizi.
«Quello dei Rom si legge in un documento della Chiesa ambrosiana non è un problema di sicurezza, ma di integrazione. Le istituzioni europee hanno stanziato molti fondi per l’integrazione sociale dei Rom. Ma alcuni Paesi, tra cui l’Italia, non li hanno mai richiesti. Tra i Rom ci sono cinque milioni di bambini: bisogna mandarli a scuola e cominciare da loro l’integrazione, senza che perdano tuttavia la propria identità di popolo. Poi occorre investire soldi nell’assistenza sanitaria e in campi più accoglienti».