Mondo

Striscia di Gaza: Oxfam, “A Rafah e Gaza Nord il conflitto ha ridotto disponibilità idrica del 93%”

Nelle aree di Gaza Nord e Rafah le persone devono sopravvivere con appena 5,7 litri di acqua a testa, ossia quanto noi ne consumiamo in meno di un minuto facendo la doccia o tirando una sola volta lo scarico del bagno

Striscia di Gaza, Rafah (Foto Unicef)

La situazione umanitaria nel governatorato di Gaza Nord e a Rafah resta disperata, nonostante in altre zone della Striscia la ripresa dell’ingresso degli aiuti stia migliorando gradualmente l’accesso all’acqua pulita per una parte della popolazione. È l’allarme lanciato oggi da Oxfam. Il bilancio della distruzione causata da 15 mesi di conflitto alle infrastrutture essenziali è drammatico. Oxfam parla di 1.675 chilometri di reti idriche e igienico-sanitarie resi inservibili. A Gaza Nord e Rafah, ormai quasi completamente rase al suolo, la diponibilità di acqua per la popolazione si è ridotta del 93%, rispetto a prima del 7 ottobre 2023. Secondo Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, “qualsiasi nuova escalation del conflitto potrebbe generare una catastrofe sanitaria su vasta scala. Nelle aree di Gaza Nord e Rafah le persone devono sopravvivere con appena 5,7 litri di acqua a testa, ossia quanto noi ne consumiamo in meno di un minuto facendo la doccia o tirando una sola volta lo scarico del bagno. In tale condizione il rischio di epidemie è altissimo”.

L’elenco di Oxfam è lungo: “A Gaza Nord interi quartieri sono stati spazzati via, in 700 mila sono senz’acqua, dall’inizio del conflitto, quasi tutti i pozzi d’acqua sono stati distrutti dall’esercito israeliano. Anche a Rafah, nel sud della Striscia, oltre il 90% dei pozzi e dei serbatoi d’acqua installati sui tetti delle abitazioni sono distrutti e la disponibilità idrica si è ridotta del 95%, rispetto a prima del conflitto”. Qui, denuncia Oxfam, al momento “sono in funzione appena 2 pozzi sui 35 che servivano l’area. Nonostante gli sforzi per riparare al più presto le reti idriche, al momento la distruzione delle condutture in tutta Gaza causa la dispersione nel terreno del 60% dell’acqua disponibile per la popolazione. Oltre l’80% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie sono state distrutte inclusi i 6 principali impianti di trattamento delle acque reflue; stesso discorso per le stazioni di pompaggio delle acque reflue (distrutte 73 su 84), per i piccoli impianti di desalinizzazione dell’acqua (distrutti 85 su 103). Il 67% dei 368 pozzi comunali è stato distrutto. La mancanza di acqua pulita sommata alle acque reflue non trattate che traboccano per le strade sta aumentando il rischio di una catastrofe sanitaria in tutta Gaza. Concreto il rischio di una nuova epidemia di poliomelite”.

Aumentano malattie infettive, come la diarrea acuta e le infezioni respiratorie, la varicella, la scabbia e l’impetigine. Una situazione sanitaria aggravata anche dalla presenza di enormi quantità di rifiuti per le strade, dato che da 15 mesi la raccolta e il trasporto è impossibile: “oltre 2.000 tonnellate di spazzatura si stanno accumulando ogni giorno per le vie di Gaza”. Oltre a tutto questo, continua Pezzati, “Israele continua a impedire l’ingresso dei materiali necessari ad avviare la ricostruzione, a partire dalle tubature e dai generatori che consentirebbero di garantire l’accesso all’acqua pulita alla popolazione”. Oxfam lancia un appello affinché “il cessate il fuoco sia mantenuto in vigore e sia resa possibile al più presto la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, consentendo l’ingresso degli aiuti necessari ad accompagnare la popolazione di Gaza verso un po’ di normalità. Verso una pace duratura e giusta sia per i palestinesi che per gli israeliani”.