Opinioni & Commenti
Strasburgo, un Parlamento snobbato ma con poteri reali
di Romanello Cantini
Si sa. Intorno alle elezioni europee non c’è mai stato in nessun Paese un tifo da stadio. E con il tempo anche il poco entusiasmo iniziale è ancora diminuito. Alle prime elezioni di trent’anni fa votò il sessantatré per cento degli europei interessati. Alle ultime elezioni di cinque anni fa votò meno di un elettore su due nei dieci paesi che da tempo già facevano parte dell’Unione e solo un elettore su quattro nei quindici paesi che c’erano appena entrati.
Da noi questa volta il 6 e il 7 giugno oltre che per l’Europa si vota anche per i quattro enti locali e il rischio astensionismo è ridotto. Ma è più facile che la gente si appassioni alle elezioni di un consigliere di quartiere che alle elezioni di un parlamentare di Strasburgo. Questa disaffezione è il frutto di così tante cause da sembrare una congiura. Si comincia con i media che di tutto si occupano al di fuori delle elezioni europee. È più facile che una televisione intervisti un candidato a sindaco al comune di Montespertoli che un candidato al parlamento di Strasburgo. Non si trova un giornalista che perda il tempo a domandare ad un candidato alle europee intorno a quali problemi si impegnerà se sarà eletto e che cosa intende andare a proporre.
L’attività del parlamento di Strasburgo non solo non è raccontata da nessuno, ma anche qualora lo fosse, non sarebbe facilmente comprensibile dal cittadino comune. Nella città alsaziana arriva, insieme a ottocento interpreti di otto lingue e quattrocento dipendenti di ventisette paesi, la spremuta di un centinaio di partiti dall’Europa dell’Est e dell’Ovest che a Strasburgo con grande fatica cercano di riunirsi in meno di una decina di gruppi parlamentari. E se i due grandi gruppi di gran lunga dominanti su tutti gli altri sono il gruppo popolare e il gruppo socialdemocratico anche la competizione fra questi due grandi partiti della storia europea non suscita a Strasburgo grandi passioni visto che al parlamento europeo si finisce sempre per mettersi d’accordo con un sistema consociativo basato sulle cariche a rotazione (Barroso, l’attuale presidente della commissione europea, è un liberale eletto con il consenso di popolari e di socialisti).
Bisogna aggiungere che anche i partiti nazionali non fanno molto per tenere alto il prestigio delle elezioni europee. Nel nostro paese da un lato si mette capolista in tutte le circoscrizioni il capo del governo che non lascerà certo Roma per andare come Cesare a passare cinque anni nelle lontane Gallie. Dall’altra parte si dà non di rado l’impressione di considerare il parlamento europeo come una casa di riposo dorata per personaggi che ormai si portano dietro una bella cifra sul contachilometri e che devono lasciare in patria il posto libero ad altri senza poter essere condannati all’orto del pensionato. Dulcis in fundo i parlamentari europei hanno alcune caratteristiche che, anche per colpa di certa stampa che non parla d’altro, non sono certo le più adatte per trascinarsi dietro la simpatia della gente che ha a che fare con il lavoro di otto ore al giorno e lo stipendio del ventisette. Gli europarlamentari hanno infatti fama di non guadagnare poco e gli italiani naturalmente guadagnano più di tutti. E gli europarlamentari sono spesso accusati di essere piuttosto assenteisti (tanto per prendere un nome a caso il ministro Brunetta che è anche europarlamentare sembra che in aula a Strasburgo sia stato assente sei volte su dieci).
Con tutti questi handicap che le elezioni europee hanno alle spalle, i dirigenti politici si rassegnano a considerare queste consultazioni poco più che un sondaggio sugli umori politici del paese e anche gli elettori che vanno a votare non ci vanno tanto per eleggere un deputato a Strasburgo, ma per cogliere l’occasione per lanciare fiori o pomodori sul governo nazionale in carica. Eppure, anche dopo aver ricordato tutta la macchinosità barocca di una istituzione e tutti i suoi difetti a cui pure bisognerà cercare prima o poi di porre rimedio, bisogna tuttavia avvertire che è un gravissimo errore ignorare o sottovalutare l’importanza del parlamento europeo. Sulla base della forza di inerzia dell’idea di un parlamento che trenta anni fa nacque come parlamento consultivo, i più continuano a credere che il parlamento di Strasburgo sia solo una oziosa e impotente fabbrica di chiacchiere. Per scarsa informazione e per pigrizia mentale si ignora che nel frattempo il parlamento europeo è diventato di fatto un parlamento con i poteri tipici di un parlamento democratico che sono quelli di dare la fiducia o di sfiduciare un governo e di approvare o di bocciare le leggi.
Ormai il parlamento europeo decide sempre più sulla commissione che è di fatto il governo europeo. Già nel 1999 il parlamento provocò la caduta della commissione presieduta da Jacques Santer. Nel 2000 bocciò due commissari. Non appena sarà entrato in vigore il trattato di Lisbona il parlamento sarà chiamato ad eleggere il presidente della commissione, cioè il capo del governo europeo. E dopo i poteri che successivamente hanno dato al parlamento i trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza il parlamento ha anche di fatto un potere legislativo e nessuna decisione può essere presa a Bruxelles senza l’accordo del parlamento Europeo.
Non si tratta solo di fare una previsione su una presunta vittoria in termini di numeri fra il gruppo popolare e il gruppo socialdemocratico. Il primo, che solo per quel che riguarda le cifre vinse già anche l’ultima volta, da questo punto di vista rimane ancora di più il grande favorito visto che ora i socialdemocratici sono al potere in soli otto paesi europei ed anche in Gran Bretagna e Spagna gli ultimi sondaggi non sono per loro molto consolanti.
Ma al di là delle battaglie di bandiera, a Strasburgo si dovrà decidere se l’Europa dovrà aprire ancora o no i suoi mercati, se dovrà avere ancora o no una politica agricola comune per le sue campagne, se potrà avere una politica concordata sulla emigrazione, se deve darsi anche una politica industriale continentale e una armonizzazione sociale nei salari e nella previdenza e come deve orientare la sua economia al rispetto dell’ambiente.
Se tutto questo non bastasse per giudicare della posta in gioco, ad un cattolico bisognerebbe ricordare che gli stessi vescovi italiani hanno contato una trentina di provvedimenti del parlamento europeo di cui erano bersaglio la chiesa cattolica nella sua stessa organizzazione interna e le sue posizioni etiche sulla famiglia e sulla bioetica.