Toscana

Stranieri, il diritto all’istruzione

Il diritto all’istruzione degli stranieri è pienamente garantito: in base all’articolo 38 del decreto legislativo n. 286/1998 i minori stranieri sono soggetti all’obbligo scolastico e sono previste apposite misure per aumentare l’educazione interculturale nelle scuole e per la formazione degli insegnanti. Il comma 3 del citato articolo 38 del testo unico sull’immigrazione introduce il metodo dell’educazione interculturale. L’educazione interculturale è una risposta educativa per soddisfare le esigenze di una popolazione che conta la presenza di gruppi e culture diverse fra loro. L’educazione interculturale rappresenta lo strumento per concorrere a realizzare quel concetto di integrazione che comporta «un processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, quindi di contaminazione e di sperimentazione di nuove forme di rapporti e comportamenti, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi. Essa dovrebbe quindi prevenire situazioni di emarginazione, frammentazione e ghettizzazione, che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale e affermare principi universali come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la valorizzazione e la tutela dell’infanzia, sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome della differenza» (documento programmatico delle politiche migratorie per il periodo 1998 – 2000 approvato con il DPR 5 agosto 1998)

Il Ministero dell’Istruzione, con la circolare 2 marzo 1994, n. 73, afferma che l’educazione interculturale non si esaurisce nei problemi posti dalla presenza di alunni stranieri a scuola, ma si estende alla complessità del confronto tra culture, nella dimensione europea e mondiale dell’insegnamento, e costituisce la risposta più alta e globale al razzismo e all’antisemitismo. Essa comporta la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere, nel rispetto dell’identità di ciascuno, in un clima di dialogo e di solidarietà È in questa prospettiva, e in rapporto al tema della convivenza democratica, che si inserisce la considerazione delle minoranze linguistiche e delle varietà regionali e locali della nostra società nazionale.

L’educazione interculturale si esplica nell’attività quotidiana dei docenti, sulla base di una rinnovata professionalità e si sviluppa in un impegno progettuale e organizzativo fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione.

Ciò vuol dire non solo scambiare informazioni, ma vivere e far vivere esperienze, attivare un continuo confronto non solo tra gli operatori della scuola, ma anche tra i soggetti impegnati nei servizi di territorio o investiti di responsabilità sociali.

La collaborazione con l’extra-scuola si può utilmente indirizzare, oltre che agli enti locali, agli organismi non governativi, alle associazioni di volontariato e alle comunità straniere.

Nell’educazione interculturale gli obiettivi da conseguire sono quelli di una sensibilizzazione al valore positivo del rapporto con l’altro nei vari tipi di società multiculturale e, quindi, dell’affermazione di una cultura del rispetto, della solidarietà e della convivenza pacifica.

L’articolo 45 del DPR n. 394/1999 (regolamento di attuazione della legge sull’immigrazione) prevede le modalità di attivazione dei corsi di lingua italiana, dei corsi di formazione ed aggiornamento del personale ispettivo, direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado e dei criteri per l’adattamento dei programmi di insegnamento, i criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei paesi di provenienza ai fini dell’inserimento scolastico, i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di qualificati mediatori culturali, i criteri per l’iscrizione e l’inserimento nelle classi degli stranieri provenienti dall’estero, per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi per l’attivazione di specifiche attività di sostegno linguistico.

L’iscrizione dei minori alla scuola dell’obbligo può essere richiesta anche per minori irregolarmente soggiornanti, in qualunque periodo dell’anno scolastico. I minori privi di documentazione anagrafica o in possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva, senza pregiudizio, però, del conseguimento dei titoli finali del corso di studio delle scuole di ogni ordine e grado e che in mancanza di accertamenti negativi sull’identità dell’alunno, il titolo di studio viene rilasciato con i dati acquisiti al momento dell’iscrizione.

Al fine di evitare ogni discriminazione e marginalizzazione degli alunni stranieri sono assai significative le norme previste nei commi 2, 3 e 4 del citato articolo 45.

Dall’esame degli articoli 38 e 45 suddetti si possono ricavare gli obblighi in maniera didattica ed organizzativa:a) rilevare la condizione linguistica degli alunni stranieri neo iscritti; b) predisporre una programmazione didattica che adatti i programmi di insegnamento al livello di competenza linguistica dei singoli alunni stranieri;c) curare l’aggiornamento e la formazione dei docenti all’educazione interculturale e all’insegnamento ad alunni stranieri.

Notizie

1) Il Ministero della Pubblica Istruzione stima che nel 2011 gli studenti stranieri presenti nelle scuole italiane supereranno quota 1 milione. Lo rileva un rapporto reso noto a fine marzo 2008 il dicastero della Pubblica Istruzione che sottolinea come l’aumento degli alunni stranieri proceda al ritmo del 20-25 per cento all’anno. Il rapporto ministeriale evidenzia che se nel 2005-2006 gli alunni stranieri erano 425mila, nel 2006-2007 superavano le 500mila unità (501.445 unità) e nel 2007-2008 dovrebbero essere circa 570 mila, cioè il 6,4% (uno straniero ogni 16 alunni). Negli ultimi anni si è registrato un aumento costante del 20-25% rispetto a ogni anno precedente: con questi ritmi il raddoppio (e quindi il superamento del “tetto” di un milione di alunni stranieri) rispetto al 2006 dovrebbe arrivare nel 2011. La distribuzione non è uniforme sul territorio nazionale: in Emilia Romagna un alunno su 9 non è italiano; percentuali molto vicine al 10% si registrano anche in Lombardia, Veneto, Umbria e Marche, mentre in quasi tutte le regioni del sud e nelle isole si supera di poco l’uno per cento (solo in Calabria si arriva all’1,8%). Fra le città capoluogo di provincia il primato spetta a Milano (14,2%); nelle posizioni successive si collocano Alessandria (13,9%), Prato (13,7%), Reggio Emilia (13,0%) e Torino (12,6%). Per ciò che riguarda le nazionalità presenti quella albanese è la più diffusa (78mila alunni, pari al 15,6 rispetto ai 500mila stranieri); subito dopo si collocano i rumeni (68.600, pari al 13,7%), marocchini (68mila, il 13,6%), i cinesi (24.000, quasi il 5%), i montenegrini e gli ecuadoregni (16mila in entrambi i casi, il 3,2%).L’UNAR (Ufficio Nazionale Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), in collaborazione con la Conferenza dei Rettori (CRUI), ha bandito il terzo premio annuale per dottorati di ricerca. Il premio (in tutto 9mila 500 euro) è destinato alle tre migliori tesi di dottorato di ricerca dedicate alla promozione della parità di trattamento indipendentemente dalla razza o dall’origine etnica e del contrasto ad ogni forma di discriminazione razziale. Le tesi devono essere state già discusse con esito positivo in una qualsiasi università italiana, a partire dall’anno accademico 2006 ed entro il 20 maggio 2008. È invece rivolto a studenti universitari, di scuole superiori, di scuole di cinema e documentaristica il concorso Breaking Stereotypes, dedicato al tema della comunicazione interculturale nel mondo della scuola. Indetto per l’anno scolastico 2007/2008 da UNAR e Ministero della Pubblica istruzione, il concorso vuole far emergere ogni iniziativa di conoscenza reciproca che, a partire dal rifiuto degli stereotipi, favorisca la rimozione dei pregiudizi. Verranno selezionati e valutati audiovisivi che dimostrino una significativa capacità di coinvolgimento, e i migliori sei saranno premiati 2mila euro ciascuno.

Articolo 38: Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale

1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica.

2. L’effettività del diritto allo studio é garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana.

3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni.

4. Le iniziative e le attività di cui al comma 3 sono realizzate sulla base di una rilevazione dei bisogni locali e di una programmazione territoriale integrata, anche in convenzione con le associazioni degli stranieri, con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei Paesi di appartenenza e con le organizzazioni di volontariato.

5. Le istituzioni scolastiche, nel quadro di una programmazione territoriale degli interventi, anche sulla base di convenzioni con le Regioni e gli enti locali, promuovono: a. l’accoglienza degli stranieri adulti regolarmente soggiornanti mediante l’attivazione di corsi di alfabetizzazione nelle scuole elementari e medie; b. la realizzazione di un’offerta culturale valida per gli stranieri adulti regolarmente soggiornanti che intendano conseguire il titolo di studio della scuola dell’obbligo; c. la predisposizione di percorsi integrativi degli studi sostenuti nel Paese di provenienza al fine del conseguimento del titolo dell’obbligo o del diploma di scuola secondaria superiore; d. la realizzazione ed attuazione di corsi di lingua italiana; e. la realizzazione di corsi di formazione, anche nel quadro di accordi di collaborazione internazionale in vigore per l’Italia. 6. Le regioni, anche attraverso altri enti locali, promuovono programmi culturali per i diversi gruppi nazionali, anche mediante corsi effettuati presso le scuole superiori o istituti universitari. Analogamente a quanto disposto per i figli dei lavoratori comunitari e per i figli degli emigrati italiani che tornano in Italia, sono attuati specifici insegnamenti integrativi, nella lingue e cultura di origine. 7. Con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono dettate le disposizioni di attuazione del presente capo, con specifica indicazione: a. delle modalità di realizzazione di specifici progetti nazionali e locali, con particolare riferimento all’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana nonché dei corsi di formazione ed aggiornamento del personale ispettivo, direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado e dei criteri per l’adattamento dei programmi di insegnamento; b. dei criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei paesi di provenienza ai fini dell’inserimento scolastico, nonché dei criteri e delle modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori culturali qualificati; c. dei criteri per l’iscrizione e l’inserimento nelle classi degli stranieri provenienti dall’estero, per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi e per l’attivazione di specifiche attività di sostegno linguistico; d. dei criteri per la stipula delle convenzioni di cui ai commi 4 e 5.

Articolo 45: Iscrizione scolastica

1. I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani. Essi sono soggetti all’obbligo scolastico secondo le disposizioni vigenti in materia. L’iscrizione dei minori stranieri nelle scuote italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani. Essa può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico. I minori stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva.

2. L’iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi sull’identità dichiarata dell’alunno, il titolo viene rilasciato all’interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell’iscrizione. I minori stranieri soggetti all’obbligo scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto:a. dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno, che può determinare l’iscrizione ad una classe, immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente all’età anagrafica; b. dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno; c. del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno nel Paese di provenienza; d. del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno.

3. Il collegio dei docenti formula proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi: la ripartizione è effettuata evitando comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri.

4. Il collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri il necessario adattamento dei programmi di insegnamento; allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola. Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzata altresì mediante l’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell’ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa.

5. Il collegio dei docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e le famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati.

6. Allo scopo di realizzare l’istruzione o la formazione degli adulti stranieri il Consiglio di circolo e di istituto promuovono intese con le associazioni straniere, le rappresentanze diplomatiche consolari dei Paesi di provenienza, ovvero con le organizzazioni di volontariato iscritte nel Registro di cui all’articolo 52, allo scopo di stipulare convenzioni e accordi per attivare progetti di accoglienza; iniziative di educazione interculturale; azioni a tutela della cultura e della lingua di origine e lo studio delle lingue straniere più diffuse a livello internazionale.

7. Per le finalità di cui all’articolo 38, comma 7, del testo unico, le istituzioni scolastiche organizzano iniziative di educazione interculturale e provvedono all’istituzione, presso gli organismi deputati all’istruzione e alla formazione in età adulta, di corsi di alfabetizzazione di scuola primaria e secondaria; di corsi di lingua italiana; di percorsi di studio finalizzati al conseguimento del titolo della scuola dell’obbligo; di corsi di studio per il conseguimento del diploma di qualifica o del diploma di scuola secondaria superiore; di corsi di istruzione e formazione del personale e tutte le altre iniziative di studio previste dall’ordinamento vigente. A tal fine le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni ed accordi nei casi e con le modalità previste dalle disposizioni in vigore.

8. Il Ministro della pubblica istruzione, nell’emanazione della direttiva sulla formazione per l’aggiornamento in servizio del personale ispettivo, direttivo e docente, detta disposizioni per attivare i progetti nazionali e locali sul tema dell’educazione interculturale. Dette iniziative tengono conto delle specifiche realtà nelle quali vivono le istituzioni scolastiche e le comunità degli stranieri, al fine di favorire la loro migliore integrazione nella comunità locale. Parla il il pedagogista: Un panorama tra luci e ombreIl professor Giuseppe Milan è titolare della cattedra di Pedagogia interculturale presso l’Università di Padova e membro del Comitato scientifico dell’osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero della Pubblica istruzione. Professor Milan, come rispondere a coloro che hanno paura che l’inserimento di bambini stranieri provochi dei ritardi scolastici?«L’essere umano, l’educazione, la formazione non possono prescindere dalla realtà che si presenta globalizzata, e l’esperienza educativa è uno degli ambiti di questo incontro. Dovrebbe far paura la monocoltura, l’omogeneità culturale. In questa situazione più complessa i programmi di carattere contenutistico richiedono dei tempi maggiori ma in realtà producono un arricchimento del sapere trasversale dell’intelligenza dei bambini. Chiaramente per controbilanciare i possibili ritardi nello svolgimento dei contenuti dovremo rivedere i programmi, riadattarli come si fece al momento dell’inserimento dei bambini diversamente abili nel percorso scolastico».

Come valuta la situazione italiana della scuola italiana?

«Il panorama è caratterizzato da luci ed ombre. In molti contesti sono state fatte esperienze importanti ed è stata data una reale attenzione alla tematica dell’educazione interculturale, così come allo stesso modo assistiamo a— due diverse impostazioni: l’assimilazione o emarginazione. In ambedue i casi non c’è partecipazione ma solo un semplice inserimento nella scuola. Chiaramente la scuola può far molto ma non tutto e soprattutto diventa rilevante il rapporto con il territorio, l’integrazione, la connessione tra scuola e territorio nella prospettiva della comunità. In questo caso la relazione che si instaura dovrebbe avere carattere orizzontale, una continuità orizzontale. Io uso spesso l’immagine di ponti e scale, ponti per mettere in relazione le persone e le diverse realtà e scale da percorrere insieme per trovare valori comuni e costruire qualcosa di nuovo. L’educazione interculturale riguarda tutti e in particolare richiede una rivisitazione dei canoni della nostra convivenza. Si pensa che l’educazione interculturale sia necessaria solo in presenza di alunni stranieri e la si confonde con l’educazione linguistica ma la prospettiva interculturale è globale si estende agli atteggiamenti alla comunicazione».

Quali sono gli assi portanti del documento ministeriale, «La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri»?

«Il documento individua alcuni principi l’universalismo, la scuola comune, la centralità della persona in relazione con l’altro, l’intercultura. Per quanto riguarda l’universalismo ci rifacciamo alle convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia che si traducono nell’esigenza di dover tutelare il diritto allo studio indipendentemente dalla condizione dei genitori e garantendo le pari opportunità in materia di acceso, di riuscita scolastica e orientamento. Da qui ne deriva l’esigenza di inserire i bambini nell’ambito delle classi normali evitando di costruire percorsi ad hoc e bensì l’esigenza di costruire progetti educativi basari sull’unicità biografica e relazionale dello studente. Ed infine l’intercultura che coinvolgono diversi livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni e vita della classe».

Cosa pensa dei libri di testo oggi in uso nella scuola?

«Questa è una delle ombre, assistiamo a un vero e proprio conservatorismo: si cambiano le copertine, la numerazione e niente più. In questo campo, per adottare dei cambiamenti dovremo avere degli editori illuminati che sappiano interpretare le diverse discipline in chiave interculturale e proporre dei testi nuovi. Purtroppo in Italia abbiamo esperienze innovative ma non sono ancora molto diffuse».

Per quanto riguarda la situazione europea, che ruolo ha l’Italia?

«L’Italia ha un esperienza più recente rispetto ad altre realtà quali la Francia, la Germania ma abbiamo la grossa opportunità di imparare dagli errori degli altri, dalla loro esperienza. La Francia ha adottato un modello di assimilazione e ha uniformato tutti i comportamenti ciò ha provocato frustrazioni per l’identità negata. In Italia con il documento recentemente approvato dal Ministero abbiamo inteso dare delle linee, frutto anche dell’esperienza, in cui si coniughi la coesione sociale e culturale con il riconoscimento del diritto di essere portatori di una propria cultura e lingua».

Come cambia la scuolaL’assessore all’istruzione del Comune di Firenze, Daniela Lastri, ha richiamato l’attenzione sui dati dell’ultima rilevazione della presenza degli alunni stranieri iscritti nelle scuole fiorentine: 3.295; di cui 2.035 nella scuola primaria con una percentuale del 13,6 % sul totale e 1.260 nella scuola secondaria di primo grado, una percentuale del 14,6 % sul totale. Ovviamente in questo conteggio degli alunni stranieri sono compresi anche i nati in Italia, che rappresentano il 39% degli stranieri nella scuola primaria e il 21% nella scuola secondaria di primo grado. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia c’è stato un forte incremento della presenza di bambini stranieri e nella fascia del settore educativo dello 0-3 siamo oltre il 10% e al 17% nella scuola dell’infanzia, una presenza in crescita esponenziale in questi anni.

Questa situazione ha richiesto un cambiamento nell’approccio didattico dove il diritto allo studio voleva dire anche garantire il diritto all’accoglienza non solo nella scuola ma anche nella realtà sociale.

«Credo che la scuola – afferma l’assessore Lastri – abbia risentito del cambiamento sociale e culturale poiché siamo passati dalla monoculturalità alla multiculturalità e oggi interculturalità. Allora cercammo di mettere insieme soggetti con competenze diverse. Il primo obiettivo è stato il coordinamento tra l’amministrazione comunale, l’ufficio scolastico provinciale, direzione regionale scolastica e le diverse istituzioni scolastiche autonome e l’associazionismo, perché il nostro territorio, a differenza di altre città italiane, vede una presenza significativa del volontariato che vanta anche una competenza professionale di alto profilo sia in campo sociale, che educativo, interculturale e assistenziale. Abbiamo siglato un patto territoriale, un protocollo che è tutt’oggi in vigore seppure con le modifiche che nel tempo sono state necessarie dal passaggio da una situazione di emergenza ad un vero e proprio piano formativo ed educativo, in cui hanno avuto un ruolo centrale i Centri di Alfabetizzazione. Quest’anno abbiamo 899 iscritti ai laboratori di italiano come seconda lingua di 54 diverse nazionalità, mentre per quanto riguarda l’attività pre scolastica a settembre abbiamo avuto 110 alunni. L’esperienza che abbiamo fatto è estremamente importante sia a livello regionale che nazionale».

«Vorrei ricordare – dice ancora Daniela Lastri – il vademecum dell’accoglienza, Firenze Accoglie, che è stato curato da Graziella Favaro, collegato con quanto realizzato nell’accoglienza per le famiglie “Benvenuto a Firenze”, tradotto in 7 lingue diverse, che forniscono strumenti di indirizzo ed orientamento sia per il percorso formativo che per l’intero territorio. Per quanto riguarda il mantenimento della lingua madre, abbiamo inaugurata nella scuola Vittorio Veneto, i corsi di lingua araba aperti anche ai bambini italiani, costituisce un occasione di accoglienza e di conoscenza culturale. La stessa cosa sulla lingua cinese, altra lingua particolarmente significativa sul nostro territorio, per la quale abbiamo in questi anni, attraverso il centro di alfabetizzazione Ghandi, l’istituto comprensivo Ghandi, attivato corsi di lingua cinese e anche in questo caso il mantenimento delle radici culturali rappresenta un miglioramento nell’apprendimento della lingua italiana».

«Per quanto riguarda il futuro – conclude l’assessore fiorentino all’istruzione – ci siamo posti degli obiettivi importanti: fare in modo che i centri facciano parte dell’offerta formativa degli istituti, con una programmazione concordata con gli insegnanti, che prevedano percorsi di facilitazione, di apprendimento dell’italiano come seconda lingua, con percorsi interculturali con l’intera classe, laboratori linguistici in periodi anche extrascolastici, servizi di mediazione linguistica per le famiglie, gli studenti, le scuole, quindi l’interazione tra scuola e territorio soggetti istituzionali, pubbliche e private. ciò determina una sinergia e incrementa le occasioni formative».

L’utilità della lingua maternaOrmai da 7 anni esiste a Firenze la scuola di lingua araba classica, esperienza che sempre più va consolidandosi e che ha visto come sua prima sede il Centro Studenti La Pira. Ne parliamo con una delle insegnanti responsabili, Haifa Alsakkaf.

Com’è nata l’idea di una scuola di arabo per bambini?

«Questa scuola nasce dall’esigenza espressa, in particolare dalle mamme, durante un incontro con la comunità islamica di Firenze svoltosi nella moschea a seguito dei fatti dell’11 settembre del 2001. Era, per l’intera comunità islamica, un momento molto difficile. A questo incontro erano presenti i rappresentanti della comunità, le famiglie, il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, ed anche presidente del Centro internazionale studenti “Giorgio La Pira”, Maurizio Certini. Le mamme hanno fatto presente la necessità di avere un posto in cui poter insegnare la lingua araba, la madre lingua ai bambini che sono nati in Italia e che non avrebbero la possibilità di impararla da nessuna altra parte. Il Centro “La Pira” ha messo a disposizione i suoi locali per poter svolgere le lezioni».

Ci può dire quali sono le caratteristiche di questa scuola?

«In questa scuola si insegna la lingua araba. Gli studenti sono bambini prevalentemente della scuola primaria. La lingua araba è comune a tutti i 22 paesi arabi. Generalmente in ciascun paese si parla un dialetto diverso, ma la lingua scritta rimane quella classica. Imparare la lingua araba classica permette a tutti quanti di comunicare tra di loro, tranquillamente, pur venendo da paesi differenti. Un’esperienza significativa è rappresentata dal fatto che, mentre i bambini fanno lezione di arabo le mamme hanno avuto lezione di italiano con alcune insegnanti del Centro “La Pira”. Anche questo è stato un altro momento di socializzazione, di conoscenza, utile per queste famiglie, molte delle quali da poco arrivate in Italia».

Quanti sono i bambini che frequentano la scuola?

«Il numero dei bambini è cresciuto nel tempo. Abbiamo iniziato con 16/18 bambini, divisi in tre gruppi: a seconda dell’età e del livello si deve avere un approccio diverso. Adesso ci sono oltre i 70 bambini, divisi ancora per età e per livello in sei gruppi. Di solito i primi livelli sono i più numerosi, sono i bambini di 5/6 anni, si comincia dall’alfabeto; gli altri livelli cominciano a fare un po’ di grammatica, dei piccoli testi, delle letture e così via».

Cosa significa avere la possibilità di insegnare ai vostri figli la lingua di origine?

«È una possibilità molto importante: da una parte è un arricchimento, si tratta della terza lingua più parlata al mondo e nel Mediterraneo la più parlata. Inoltre è importante, per mantenere il rapporto con i famigliari nei paesi d’origine: i nonni, gli zii con cui passano brevi periodi di vacanza e di conoscere meglio le loro origini, le loro tradizioni, la loro lingua, rafforzando la loro identità; li aiuta moltissimo a sviluppare la loro personalità, ed essere persone attive nella società, persone complete che hanno coscienza della propria provenienza, e di conseguenza possono dare anche alla società un contributo specifico, e come cittadini italiani possono arricchirla. Questa esperienza è uno stimolo per la scuola italiana: è capitato che anche bambini non arabi frequentassero la scuola per seguire il loro compagno di lingua araba, la scuola diventa un’occasione di integrazione reciproca. In questi anni, poi, è stato importante anche il ruolo del Centro “La Pira”, la sua posizione centrale rispetto alla città, e le persone che lì ci davano una mano, i volontari, tra cui molti italiani, anche questo è stato un importante momento di integrazione».

Le insegnanti della scuola italiana come hanno recepito il fatto che i loro studenti, i bambini imparassero contemporaneamente l’italiano e l’arabo?

«Per quelli un po’ più grandi non ci sono stati problemi, ne hanno parlato in classe, gli è stato chiesto di scrivere i nomi dei propri compagni in arabo, è stata un’occasione di integrazione. Per quelli più piccoli, che fanno la prima elementare, c’è stato, invece, all’inizio un attimo di perplessità: le maestre temevano che magari imparare a scrivere contemporaneamente due lingue potesse avere un effetto negativo; poi con il tempo ci siamo accorti che questi bambini sviluppavano la capacità di apprendere anche altre lingue. Apprendere due lingue contemporaneamente rende la mente allenata, elastica, ad apprendere più vocaboli, ad imparare meglio».

E adesso?

«Adesso è la città che ospita la scuola di arabo e speriamo di poter offrire questo servizio anche in altri posti perché alcuni dei bambini che frequentano la scuola non provengono soltanto dal comune di Firenze, ma anche da comuni limitrofi, come Scandicci, Sesto o Campi, ma anche dei comuni della provincia di Prato, Poggio a Caiano, Calenzano».

Il facilitatore linguisticoAll’incontro pubblico organizzato dal Centro internazionale studenti «Giorgio La Pira» su «La via Italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri», Edoardo Masciello coordinatore didattico del Cis ha proposto una tesi interessante: «Il Facilitatore linguistico come Facilitatore di rapporti umani». Proponiamo alcuni stralci del suo intervento.

Quando mi si chiede di presentare l’esperienza del Centro, sono solito partire da tre parole chiave: incontrare, accogliere e dialogo. Il dizionario al verbo incontrare definisce: trovare davanti a sé, per caso o deliberatamente, avere di fronte qualcuno, ad un certo momento e nostro malgrado, fare conoscenza, incontrarsi: essere d’accordo con qualcuno riguardo a idee, gusti, e simili, unirsi; e per accogliere: ricevere con varia disposizione d’animo, approvare, accettare, contenere, ospitare.

Nell’incontro, nell’accoglienza c’è anche il dialogo (che il dizionario definisce discorso alternativo tra due o più persone). Il dialogo è lo strumento indispensabile per far sì che l’incontro diventi reciproca accoglienza. Non mi sento accolto se qualcuno non mi permette di parlare di me, non si interessa a me, non mi ascolta.

La classe è un microcosmo privilegiato per cominciare a dialogare, a conoscersi, per cominciare a sperimentare, l’educazione interculturale. In una classe di giovani adulti, come quelle del nostro Centro, dover imparare una lingua seconda (L2) rappresenterà un progetto comune al gruppo classe e ci darà la possibilità di sperimentare il dialogo, dialogare saper ascoltare e saper spiegare. Condividere le piccole cose: una caramella, una risata, una storia da raccontare o da ripetere fa nascere un rapporto d’amicizia, questa condizione ci porterà anche a cambiare il nostro “io”, la rappresentazione e la percezione che ognuno ha di sé e del vicino. Imparare una nuova lingua, essere studenti, trovarsi, gomito a gomito nella stessa condizione. Avere a portata di mano spicchi di mondo che riuniti, ricomposti, daranno un frutto: siamo tutti persone, essere umani con gli stessi bisogni, gli stessi sentimenti, le stesse paure, le stesse aspirazioni. Tutti alla ricerca della pace e del poter vivere sentendo che gli altri ci rispettano, ci amano.

Questo rapporto d’amicizia, nato dalla condivisione, renderà possibile anche un confronto su argomenti più “alti”: il senso della vita, il concetto di bene e male, di giusto e sbagliato, e più in generale sulla cultura del proprio popolo, della propria etnia, della propria nazione. L’educazione interculturale sarà conseguenza naturale dello stare in classe. Non sarà un progetto pianificato a tavolino e proposto come obiettivo dei nostri corsi d’italiano. Ed è qui che si capisce il titolo del mio intervento: facilitatore linguistico come facilitatore di rapporti umani.

La Letteratura ci ha presentato il Facilitare linguistico come colui che nella sua azione didattica, privilegia e promuove l’autonomia dell’apprendente, facendo leva sulle sue potenzialità e possibilità, il Facilitatore linguistico cerca di trasmettere entusiasmo, piacere, per le attività proposte, sicurezza, essendo, infatti, proprio lui, l’apprendente, il protagonista del suo processo di scoperta della nuova lingua.

Questo atteggiamento didattico, come sappiamo, ormai da anni è presente nelle nostre aule, laboratori di L2; e, se da un lato ci suggerisce di privilegiare il ruolo centrale dell’apprendente e di rispettarne la sua autonomia, dall’altro ci stimola ad incoraggiarne la relazione con i compagni.

Quindi le occasioni didattiche proposte sono funzionali a promuovere l’interazione in classe e per aiutare gli apprendenti, a considerare i compagni non come antagonisti, non un intralcio perché magari sanno meno italiano, non come avversari perché “rubano” del tempo né tanto meno come entità assenti, ma collaboratori, colleghi, complici in quella caccia al tesoro – approccio induttivo – che noi, Facilitatori linguistici, avremo avuto l’occasione di proporre al gruppo classe.

Non è un caso che si parli, nei corsi di glottodidattica, e negli incontri tra colleghi, della necessità di creare il gruppo classe.

Questo obiettivo, a cui punta, per motivi sociolinguistici, il Facilitatore al fine di aiutare i propri apprendenti ad acquisire la nuova lingua, sarà anche l’occasione per incoraggiare un dialogo che porti il gruppo classe a scoprire quanto di comune ci possa essere tra persone provenienti da mondi tanto diversi, pur con le molte distanze e le differenze.