Prato

Stranieri, contro la paura una cittadinanza nuova

L’appello all’accoglienza è forte. E riguarda, in primo luogo il modo in cui i cattolici «devono guardare alla (e agire nella) dimensione sociale», ma anche le istituzioni e la città tutta, perché «Occorre ripensare la città», anzi, ci vuole «Una nuova idea della cittadinanza urbana legata strettamente a un’azione decisa contro ogni forma di segregazione e di subordinazione delle popolazioni che abitano la città. Una città plurale, ospitale, permeabile è lo spazio propedeutico a una nuova convivenza democratica locale dove la “vicinanza” è il processo di regolazione». Sono alcuni dei passaggi del documento (riprodotto integralmente qui sotto) prodotto a conclusione della giornata pratese – tenuta lo scorso 20 marzo, fortemente voluta dal Vescovo, organizzata dalla Pastorale sociale della Diocesi e dal Gruppo Crocevia – di riflessione in preparazione alla Settimana sociale dei cattolici italiani, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre prossimi. Un appuntamento di confronto per i cattolici italiani che avranno nel documento elaborato ora a Prato (il titolo completo è «Dalla paura alla speranza per una comunità solidale») uno spunto di riflessione sulla questione nodale dell’immigrazione. Già, perché Prato – lo sottolinea anche il documento – è un caso unico in Italia. Gli aspetti critici che l’onda migratoria ha portato sulla città sono evidenziati, sottolineando come non si possa dire «che non c’è problema», e che «il rispetto della legalità è la premessa indispensabile», ma anche che non è possibile parlare di questi temi «soltanto in termini di minaccia».La sfida, quindi, per la Chiesa, per i credenti e per tutta la città è quella dell’accoglienza (viene evidenziato «il valore della testimonianza», «l’importanza delle opere e della sollecitudine del mondo cattolico», e anche la «grande ricchezza di iniziative e attività che emerge nel nostro ambito locale»). Una «vicinanza» che «rappresenta il segno di un nuovo welfare “attivo” che coinvolge tutta la comunità locale, che si propone di assicurare concretamente a ciascuno (straniero e/o italiano che sia) l’esercizio dei diritti (sociali, politici, economici) di cui è astrattamente titolare». Per questo, si suggerisce di «ripensare le politiche sociali, tenendo sempre presenti le opportunità e i limiti dell’azione pubblica (reddito, casa, lavoro, salute, scuola…); promuovere una infrastrutturazione sociale più massiccia; potenziare l’ambito dei servizi sociali e dei servizi alla persona». Insomma, un «rinnovato protagonismo dell’azione pubblica e, insieme, un impegno nella costruzione di reti di vicinanza, che proviene dalla comunità, cioè da quel reticolo di organizzazioni solidaristiche che abitano il territorio muovendosi nella prospettiva del dono con lo scopo di tessere legami sociali forti».Spiega mons. Pierluigi Milesi, vicario episcopale per la Pastorale Sociale: «Abbiamo affrontato il problema dell’immigrazione a Prato, coscienti che la percentuale così alta di stranieri alcuni problemi seri li pone. Ma siamo consapevoli che una cosa è affrontare le questioni a livello politico, sociale, di ordine pubblico, altro è cavalcare in maniera strumentale le paure e fomentarle. Oggi è il mondo che si muove, Prato è solo un piccolo ingranaggio di un meccanismo globale». «Il futuro della città, forse – conclude mons. Milesi – sarà quello di essere una città eterogenea, che cerca di costruire una comunità nuova».Per l’inizio dell’anno pastorale saranno preparati una serie di approfondimenti su cui la Diocesi rifletterà nel corso del prossimo anno. «Quello che emerge è che non è vero che con l’integrazione aumenta la delinquenza, ma al contrario», sottolinea Massimo Logli, coordinatore degli incontri del Gruppo Crocevia che tanto materiale hanno fornito anche per la riflessione di questo nuovo documento. «È necessario contrastare l’illegalità, questo è il primo punto, ma poi, strategicamente creare una società di persone accolte, un processo di cittadinanza condivisa che alla fine riduce l’illegalità. Per questo vanno valorizzate le iniziative, anche della Chiesa, che operano in questa direzione». (dal numero 26 dell’11 luglio 2010)  “Dalla paura alla speranza per una comunità solidale”La diocesi di Prato, unitamente al Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali, nella giornata del 20 Marzo hanno organizzato un convegno di studio sul tema “Immigrati in Italia: Giustizia, Legalità, Solidarietà”.Con il presente documento si vuole porre all’attenzione della comunità ecclesiale locale, della comunità civile, economica e sociale il tema dell’immigrazione per costruire reti di interazione e di convivenza religiosa e civile dove la diversità, la solidarietà, la giustizia siano elementi regolatori dell’abitare la città.Tale contributo viene offerto anche ai cattolici impegnati nel sociale e nella politica perché diventi uno stimolo a porre nell’agenda politica e nell’impegno di ognuno un tema che fino ad oggi è stato solo fonte di preoccupazione, di pregiudizi, di paure. Facciamo questa proposta a partire da una realtà locale che rischia di essere soffocata da un dibattito sterile, orientato solo verso la repressione e non verso la liberazione e la generazione di relazioni proficue di convivenza. Il giustizialismo che si sta diffondendo in Italia in altri contesti politici e culturali rischia di condizionare anche il modo di affrontare il tema dell’immigrazione che non ha origini nel non rispetto della legge, ma si intreccia anche con questa. Come cercheremo di approfondire, oggi è la condizione umana che è diventata migrante, è la globalizzazione che ci porta ad approfondire un tema così delicato, drammatico, doloroso a cui non eravamo abituati. Vogliamo però, che questo tema possa essere fonte anche di gioia, di speranza, di pace; vogliamo approcciare a questo tema con umiltà, con disponibilità e responsabilità, senza cadere nell’ingenuità che per accogliere bisogna legittimare tutto. Vogliamo accogliere con l’amore del Cristo che libera e aiuta gli uomini e le donne a confrontarsi e a trovare i modi più consoni affinché l’amore possa dare i suoi frutti su questa terra, aiutati dagli strumenti e dalle conoscenze terrene che ci servono per definire la nostra convivenza.L’invito che vogliamo fare con questo documento è quello a non aver paura dell’ALTRO, ma ad aprirsi, a rendersi permeabile all’altro per costruire una comunità che spera, che lascia le cose passate per realizzare le cose nuove del Regno, scoprendosi bisognosi dell’altro, consapevoli della nostra debolezza e del nostro limite,Questi sono stati gli atteggiamenti che hanno guidato la Chiesa locale pratese e la segreteria delle Settimane Sociali- nell’organizzare il seminario di studi dove si è dedicato la prima parte ad approfondire le conoscenze, mentre la seconda si è dedicata alla narrazione dell’esperienze che fondano il vivere comunitario e che dànno indicazioni di modi per affrontare un tema così difficile.   La cosa più evidente oggi, è che l’immigrazione è un tema fondamentale per le società contemporanea e per l’Italia di oggi; – tema fondamentale non solo su un piano culturale, ma anche sul piano delle urgenze, delle cose di cui occuparsi con maggiore determinazione. In questa prospettiva, la realtà e l’esperienza pratese assumono davvero una centralità particolare. Non è quindi un caso che -nel cammino di preparazione verso la settimana sociale dei cattolici che si terrà ad ottobre nella città di Reggio Calabria-  il Vescovo di Prato abbia scelto di approfondire questo tema.  Prato diventa un luogo simbolo della riflessione sull’immigrazione per vari motivi:·         per la dimensione quantitativa che nella nostra comunità assume il fenomeno e per la rapidità con cui si è prodotto e si sta ancora sviluppando. Basti pensare che la percentuale di stranieri sul totale della popolazione residente in provincia si è portata dal 4,48% del 2001 al 11,8% del 2009: seconda provincia italiana dopo Brescia (per pochissimi decimali di punto) ma prima per incidenza di stranieri sul totale dei nuovi nati con il 29,8% (2009),·         per le caratteristiche qualitative dello stesso, oggettivamente straordinarie, soprattutto con riguardo alle modalità di presenza della comunità cinese. L’immigrazione cinese non è andata ad assumere posizioni di lavoro dipendente in aziende a titolarità italiana ma ha dato progressivamente vita ad un sistema imprenditoriale manifatturiero a connotazione etnica con una propria impressionante forza endogena e con tratti di significativa irregolarità economica. Nel 2009 risulta a titolarità cinese oltre il 40% delle imprese manifatturiere della provincia (contro poco meno del 18% del 2002): un dato che non ha eguali a livello nazionale. ·         per le tensioni che su questo fronte si stanno generando in una comunità locale da sempre piuttosto coesa e integrante ma oggi resa molto più fragile e impaurita dalla crisi economica che la sta attraversando ormai da anni. Siamo coscienti che, oltre alle proprie specificità e la forte presenza della comunità cinese, la realtà dell’immigrazione a Prato e non solo, si presenta con caratteristiche omogenee ad altre realtà che si possono così sintetizzare. 1. Non è consentito declinare i temi dell’immigrazione soltanto in termini di minaccia (alla sicurezza, al diritto al welfare, alle opportunità di lavoro…) facendo leva sul sentimento della paura e, anzi, come purtroppo capita di vedere spesso, alimentandolo strumentalmente. Questo è inaccettabile sul piano dei valori ma anche irrazionale sul piano fattuale laddove le migrazioni, come ci ha ben ricordato il Prof. Massimo Livi Bacci e il dott. Riccardo Moro, non possono non essere considerate, per tante ragioni, un dato strutturale di questi anni, di quelli passati e di quelli a venire, delle nostre società. 2. Non è neppure possibile dire, di fronte al fenomeno dell’immigrazione, che “non c’è problema”. Questa posizione ha spesso una declinazione economicistica che indica nei mercati il meccanismo principe di regolazione sociale: le migrazioni rispondono a differenziali di benessere, sono regolate dalla domanda e dall’offerta di lavoro, molto del lavoro degli immigrati è quello che non vogliono fare gli italiani, il lavoro è il fattore integrante cardine sul piano sociale. In realtà i problemi ci sono e sono enormi perché non possiamo affidare il compito di sostenere la convivenza, lo stare insieme in una città, in un territorio, in un paese, soltanto al lavoro, allo scambio di mercato, al libero gioco delle convenienze individuali, ipotizzando che, dato questo, tutto il resto segua. Ce l’ha ricordato il Prof. Mauro Magatti negli incontri di Crocevia, e il Prof. Andrea Valzania: non può essere l’economia da sola – e ancor meno le convenienze economiche di breve periodo – a regolare la società, Occorre, nei confronti dell’immigrazione, un progetto più ampio che comprenda le dimensioni sociale, culturale, relazionale, comunitaria in una prospettiva non di assimilazione ma di interazione/integrazione profonda. Se non si riesce a far questo il rischio della diffidenza, dell’intolleranza, della chiusura, da entrambe le parti (e il riferimento più immediato è alle difficoltà delle periferie ) non può non crescere a dismisura, andando a colpire soprattutto le fasce deboli della popolazione ed esponendole a gravissimi richiami xenofobi se non esplicitamente razzisti. 3. Il rispetto della legalità è la premessa indispensabile dello stare insieme in una società ordinata ma anche la necessità di un chiaro patto di cittadinanza non solo giuridico ma civile nel senso più ampio. E’ solo con il rispetto della legalità che si possono chiedere cose, stabilire doveri, offrire anche una prospettiva chiara e percorribile di diritti e certezze. E qui c’è molto da fare, non solo come regolazione giuridica statale ma anche come capacità di produrre “patti civili” tra attori collettivi a livello di società locali.  In questo quadro l’agenda della città e quella sociale dei cattolici pratesi non possono non porre questo tema al centro della propria azione. Ciò nella consapevolezza che se la tensione attraversa e divide, qui come da altre parti, la città una analoga tensione attraversa anche il mondo cattolico, e che se non lo divide sui valori, certamente incide sulla diversità degli approcci culturali e politici che i cattolici fanno dei valori stessi nel rapportarsi alla complessità storica e sistemica della dimensione sociale e politica. Il fenomeno dell’immigrazione ci pone, allora, non solo un nodo di sollecitazioni e di difficoltà di ordine pratico ma anche un sacco di dubbi, interrogativi, lacerazioni, sul piano degli orientamenti. Non possiamo non partire che da queste considerazioni per poter formulare un’agenda di speranza per servire la chiesa e la comunità locale. Proprio in questa chiave, questa riflessione può servire a dire alcune cose frutto di incontri diocesani tra operatori di cultura e di solidarietà.  Qualunque cosa i cattolici possano dire sull’immigrazione, questo qualcosa non può che partire dalla chiarezza abbacinante del Vangelo: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35), laddove ci vengono sottolineate due cose fondamentali:·         che lo straniero è un prossimo, per così dire, paradigmatico, che sollecita doppiamente il cristiano, perché unisce le caratteristiche di essere più bisognoso, più fragile ma anche più problematico, perché diverso da noi, altro, poco comprensibile, a volte indecifrabile, oscuro. Padre Gnesotto ci ricordava , citando i “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, come sia difficile amare “da vicino”. Da questo punto di vista potremmo sottolineare come sia forse più facile per tanti di noi fare una “adozione a distanza” impegnando anche diversi soldi per un lungo periodo di tempo, che non invitare una volta a casa nostra il compagno di scuola nordafricano dei nostri figli; ·         che l’accoglienza non può essere uno stare insieme soltanto funzionale, un ospitare basato sulle convenienze, sullo scambio di utilità – magari nell’indifferenza o nella diffidenza – ma deve essere anche un movimento di apertura, disponibilità, incontro, condivisione, dono, fondato sul rispetto dell’identità dell’altro. Questo richiamo non può non esercitarsi in modo radicale sulla Chiesa, sui credenti nelle loro scelte e azioni personali e comunitarie. Nelle testimonianze di gruppi impegnati nel mondo dell’immigrazione per favorire una società di accoglienza, si nota come nelle opere della Chiesa e dell’associazionismo cattolico pratese ci sia una ricchezza che può aiutare un processo di convivenza e di accettazione reciproca. Questo richiamo deve improntare e ispirare, ovviamente, anche il modo con cui i cattolici devono guardare alla (e agire nella) dimensione sociale e politica, anche se con le necessarie mediazioni e margini di autonomia che dipendono: ·         dal fatto di doversi misurare con riferimenti ideali e valoriali diversi dai propri; ·         dalla necessità di tener conto, nel considerare la società come un insieme estremamente complesso e storicamente determinato, di tutti i valori e richiami del Vangelo, come ben ci indica il Magistero sociale della Chiesa. Mentre nelle scelte personali e comunitarie dei cristiani la “distanza” tra queste e i valori deve essere tendenzialmente nulla, per la dimensione sociale e politica non si può prescindere da un “ciclo” più complesso e mediato (analisi e valutazione, prospettazione programmatica, azione).  In che modo e fino a che punto possiamo “mediare” la chiarezza radicale di quel valore (“Ero straniero e mi avete accolto”) nella dimensione sociale e politica? La risposta a questo interrogativo apre milioni di questioni enormi e allo stesso tempo sottili che non sono possibili affrontare compiutamente in questo breve documento; riteniamo pertanto che resti per tutti come punto di riferimento imprescindibile l’agire secondo le indicazioni del Magistero sociale della Chiesa.Detto questo, nel presente documento vogliamo presentare alcune linee guida della realtà pratese partendo dalla ricchezza di esperienze con cui la nostra comunità cattolica sta cercando di dare attuazione al richiamo radicale della Parola nella nostra complessa realtà locale, sottolineando i tratti identitari che hanno caratterizzato le narrazioni dell’esperienze esposte in questa giornata . E’ il caso di farlo sottolineando:·         il valore della testimonianza, personale e comunitaria, che per noi deve essere il primo modo di convincere gli altri intorno a qualcosa e la premessa di verità e fondatezza di ogni nostra azione;·         l’importanza delle opere e della sollecitudine del mondo cattolico nel costruire tessuti comunitari, legami sociali, inclusione, riconoscimento, rispetto; nel farsi carico delle situazioni di maggiore difficoltà e marginalità, se non di disperazione, che tanto spesso caratterizzano il mondo dell’immigrazione; nel produrre quindi servizi e beni oggettivamente pubblici con quel “supplemento d’anima” di attenzione alla persona che neppure lo stato più welfarista e benevolente potrebbe mai riuscire a erogare;·         la grande ricchezza di iniziative, attività, che emerge dal nostro ambito locale. Dalle esperienze che la Chiesa locale sta facendo in Prato traiamo alcuni insegnamenti che interrogano tanto la comunità ecclesiale quanto quella civile e politica. Insegnamenti che animano sentimenti di speranza che aiutano processi di regolazione sociale e stimolano quella politica. Se non si è animati dalla speranza non c’è alcuna possibilità di porre le basi per una convivenza fraterna nella città che vada oltre le appartenenze deboli, di interessi e oltre le solidarietà corte. La speranza di cui parliamo è riposta in un reticolo di relazioni che favoriscono una condizione di “vicinanza” tra le persone; cioè mettere in comunicazione persone che hanno storie, culture, lingue, fedi, posizioni sociali …. diverse riuscendo a far dialogare tutte queste differenze. Tutto ciò avviene se si è capaci di facilitare relazioni, abbattere paure e ostacoli, attraverso un’interazione di respiro comunitario agita nella operatività e libera da pregiudizi. In questo senso, la “vicinanza” rappresenta il segno di un nuovo welfare “attivo” che coinvolge tutta la comunità locale, che si propone di assicurare concretamente a ciascuno (straniero e/o italiano che sia) l’esercizio dei diritti (sociali, politici, economici) di cui è astrattamente titolare. Le condizioni per poter realizzare questa prospettiva di welfare possono essere:-         ripensare le politiche sociali, tenendo sempre presenti le opportunità e i limiti dell’azione pubblica (reddito, casa, lavoro, salute, scuola…);-         promuovere una infrastrutturazione sociale più massiccia;-         potenziare l’ambito dei servizi sociali e dei servizi alla persona. Occorre, quindi, un rinnovato protagonismo dell’azione pubblica e, insieme, un impegno nella costruzione di reti di vicinanza, che proviene dalla comunità, cioè da quel reticolo di organizzazioni solidaristiche che abitano il territorio muovendosi nella prospettiva del dono con lo scopo di tessere legami sociali forti. Lavoro di respiro comunitario e tavoli di concertazione delle politiche territoriali per gli immigrati hanno pari dignità. Questi ultimi non esauriscono la dimensione partecipativa; essi, di fatto vedono presenti assai più i portatori di interessi che i portatori di bisogni. D’altra parte risulta sempre più evidente la difficoltà di giocare un ruolo politico quando si è impegnati sul piano della gestione. La dimensione politica della responsabilità comunitaria diventa indispensabile. Essa non ha rilievo minore rispetto alle politiche sociali. Occorre ricomporre le fratture della comunità evitando di rafforzare ulteriormente solo la dimensione di individualizzazione. In questo quadro l’accoglienza appare come compito principe per una comunità ecclesiale e civile facendosi carico anche degli affanni di famiglie, quartieri. Spesso queste difficoltà oggettive diventano la ragione addotta per resistere all’apertura, all’accoglienza. Non si riesce a cogliere fino in fondo l’essenza dell’accoglienza, ma solo il peso e la responsabilità. Urge andare oltre il richiamo generico alla solidarietà, alla responsabilità. Si tratta di riscoprire la dimensione della gioia, della felicità e della bellezza dei legami che generano responsabilità. La comunità ecclesiale impegnata nel sociale e nella politica suggerisce, attraverso le relazioni di “vicinanza”, di co-generare la città. L’immigrazione pratese, date le sue caratteristiche, ci deve interrogare su come creare un movimento di co-generazione della città, un “fare insieme” con un adattamento reciproco di chi è accolto e di chi accoglie. Un processo questo che fino ad oggi si è sperimentato solo conflittuale.   Occorre ripensare la città. Una nuova idea della cittadinanza urbana legata strettamente a un’azione decisa contro ogni forma di segregazione e di subordinazione delle popolazioni che abitano la città. Una città plurale, ospitale, permeabile è lo spazio propedeutico a una nuova convivenza democratica locale dove la “vicinanza” è il processo di regolazione. A cura della Diocesi di Prato