Pisa

STRANIERI A PISA: POCHI SI METTONO IN PROPRIO

di Caterina Guidi

«Per una cultura dell’altro», questo il titolo voluto da Caritas italiana e Fondazione «Migrantes» per il 20° rapporto sull’immigrazione, presentato il 26 ottobre a Roma e in altre 29 città italiane. Il rapporto – frutto della collaborazione con organizzazioni internazionali, strutture pubbliche e associazioni – descrive, dati alla mano, la situazione degli immigrati in Italia: quanti sono, cosa fanno, quale è il loro grado di inserimento nella scuola e nel lavoro… Uno dei «nodi» del rapporto 2010 è – ancora – la crisi economica: «Il crollo della produzione e degli investimenti, l’aumento del tasso di disoccupazione, l’incremento delle migrazioni  interne anche a lungo raggio: in questo contesto – fanno sapere Caritas e Migrantes – non solo si è ridotto l’afflusso degli immigrati, considerati in qualche modo una causa di questi mali, ma molti sono stati anche licenziati e in parte costretti a lasciare il Paese o a scivolare nell’irregolarità».Ma bisogna chiedersi se gli stranieri – che secondo Unioncamere nel 2008 hanno contribuito alla produzione del nostro Pil per l’11% – siano il problema o non piuttosto un contributo per la sua soluzione. Se venissero a mancare nei settori produttivi considerati non appetibili dagli italiani (agricoltura, edilizia, industria, settore familiare…), il Paese sarebbe impossibilitato ad affrontare il futuro». Il dossier si avventura anche nei problemi più controversi come l’integrazione, i diritti, la libertà religiosa, l’irregolarità, lo sfruttamento, la paura della delinquenza: «metà dei nordamericani e degli europei vedono l’immigrazione come un problema. Ma dalla “sindrome dell’invasione” bisogna passare alla mentalità dell’incontro e del dialogo». Quanto ai numeri, i dati Istat parlano di 4milioni e 235mila residenti iscritti all’anagrafe. La maggior parte ha trovato casa in Lombardia (oltre il 23%); seguono Lazio, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana. Per quanto riguarda Pisa la situazione sembra chiara: «Alla fine del 2002 nella nostra provincia c’erano circa 12mila residenti stranieri. Adesso il numero è quasi triplicato» spiega Federico Russo, responsabile dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas diocesana. Del resto, alzando lo sguardo sulla Toscana, l’andamento è questo: in regione gli stranieri sono quasi 340mila dai 127mila di otto anni fa; oggi quasi un «toscano» ogni 10 è immigrato. La provincia con la percentuale più alta di residenti stranieri? Naturalmente Prato, con il suo 12,7%. Le meno «internazionali», Livorno e Massa Carrara. Tuttavia – aggiunge Russo – «la capacità di attrazione delle città della costa sta crescendo in maniera pronunciata». Pisa continua a ricevere immigrati, ma si colloca nella fascia cosiddetta «bassa» per quel che riguarda l’inserimento sociale e lavorativo: lo dice il Cnel – Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che cura la banca dati nazionale sull’immigrazione -. Tuttavia, sottolinea Russo, bisognerebbe chiarire il concetto di integrazione: «l’indice Cnel si basa sulle necessità strettamente materiali: casa, lavoro, permesso di soggiorno…ma per il cittadino immigrato – soprattutto quello di seconda generazione – hanno sempre più importanza le problematiche relazionali, come la solitudine, la mancanza di rispetto, il razzismo… le scelte politiche sul territorio dovrebbero tener conto di questo aspetto». A leggere bene i numeri, sembra che Pisa sia l’ultima provincia in Toscana per percentuale di lavoratori immigrati: superano di poco l’11%, a fronte di una media regionale del 16,7. Non è questa l’unica carenza evidenziata: gli stranieri a Pisa sono più restii a mettersi in proprio. Infatti, se la Toscana ha visto più che quadruplicare nel giro di sette anni il numero di aziende gestite da imprenditori immigrati (da 5191 a 21978), a Pisa – nello stesso intervallo di tempo – c’è stato «solo» un raddoppio.La Caritas ha una risposta davanti a questo ultimo dato? «La nostra città ha un tessuto economico con poca industria e molti servizi pubblici. La scarsità di imprese in proprio credo sia da ricondurre alla nostra struttura economica un po’ depressa e al fatto che una delle collettività più propense a mettersi in proprio – quella cinese – non è molto presente».