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Strage di Erba, la prossimità rinnegata
È questo lo sconcerto che adesso, nel torrente delle confessioni progressive rese dagli assassini, ci percuote e ci spinge a riflessioni più fonde, tuffati come siamo in quel nero orizzonte impregnato di sangue e di fuoco, increduli o disperati, forzati comunque a collocare la tragedia nei confini di una banale quotidianità. Non si sopportavano più, questo è tutto. Troppo distanti gli stili di vita delle due famiglie alloggiate nel medesimo edificio, gli uni fissati su una pulizia e su un ordine maniacale, gli altri inclini a un chiassoso disordine, così pare di capire. Incomprensioni, liti, ostilità, male parole, e anche mani addosso, fino a denunce e ricorsi al giudice di pace. Liti da ringhiera, alterchi da cortile, così solitamente si liquidano queste miserie. E invece ora apprendiamo che hanno scatenato pensieri di morte. Ci prende un brivido, vedendo nell’epilogo infame di Erba i semi della morte che covano dentro i risentimenti della «prossimità» pervasa dai rancori.
La prossimità, ecco la parola cruciale. L’essere «vicini» vuol dire appartenere a un identico insieme, è convivere dentro un contesto condiviso di appartenenza. La prossimità è la realtà che ci accade, sta nella nostra natura, è la realistica necessità della storia degli uomini, sia per chi vi trova rivelazione di fratellanza e spazio di un sogno positivo di alleanza, sia per chi la vive in negativo come limitazione del sè, come confronto e conflitto. Gli altri possono essere la nostra felicità o il nostro inferno, secondo i confini che separano l’inclusione o l’esclusione, l’amore o l’odio, l’essere amici o nemici. Nella storia del diritto, le regole di prossimità, a volte così minuziose, sono il contenuto sostanziale del bisogno di giustizia. Le liti condominiali, i conflitti per i panni stesi, la spazzatura, il parcheggio, il chiasso, le maledette «parti comuni» sono spine irritative che il rispetto e la tolleranza dovrebbero risolvere; ma i rancori che si accumulano generano un odio che segna l’altro come «nemico», vede i suoi gesti come una continua sfida, alimenta mostruose fantasie distruttive.