Cultura & Società
Sterco di capra e pelle di velluto. La cosmesi nell’antichità
Nell’immaginazione popolare Cleopatra appare perennemente di profilo e con il fascinoso occhio bistrato; Poppea Sabina è immersa in un bagno di latte d’asina; Messalina e Agrippina sono intente a trafficare con vasetti di unguenti e profumi costosissimi, tutti di provenienza orientale. L’Oriente era infatti patria di tutte le più «sciagurate» novità, soprattutto di quanto portava alla corruzione dei costumi: gioielli, aromi, maquillage compresi. Secondo i benpensanti antichi, il sobrio vivere di chi era saggio e onesto non poteva contemplare mollezze e men che meno adulterazioni del proprio aspetto. Ce lo hanno lasciato scritto i greci, ce lo hanno insegnato a chiare note i romani.
Tuttavia le donne hanno sempre cercato di migliorare la loro figura o addirittura hanno chiesto a misture più o meno «magiche» quella bellezza che madre natura non aveva loro dato; c’è sempre stato chi ha tuonato contro questo costume.
Scrive Ovidio rivolto alle dame di Roma: «Vi stavo quasi ammonendo che il puzzo acre di capro non si insinui sotto le ascelle e che le gambe non siano ispide di densi peli…. Dovrei forse insegnarvi che per incuria non anneriscano i denti, o di lavare al mattino il viso con l’acqua? Sapete anche procurarvi una carnagione candida con impacchi di argilla; quella che non ha dal suo sangue un colorito roseo del volto lo ottiene con l’arte. Con l’arte colmate i confini nudi delle sopracciglia e un piccolo neo veli la tinta naturale delle gote. Non c’è da vergognarsi a tracciare il contorno degli occhi con un tocco di carbone o col croco».
Plinio nella Naturalis Historia suggerisce: «Si ritiene che il latte d’asina elimini le rughe dalla pelle del viso e la renda morbida e bianca e si sa che certe donne vi si curano le gote sette volte ogni giorno, facendo attenzione a questo numero…. Gli sfoghi d’acne si eliminano spalmandovi burro, meglio ancora se vi si mescola biacca; con semplice burro, invece, se vi si applica farina d’orzo, quelle afflizioni che si propagano; le ulcerazioni del viso si curano con placenta di mucca ancora umida…. L’astragalo di un giovenco bianco, fatto bollire per quaranta giorni e quaranta notti, fino a che si sia ridotto in gelatina e poi spalmato con un panno, assicura candore alla pelle, eliminandone le rughe. Lo sterco di toro si dice che colori di rosso le guance, tanto che non si ottiene un effetto migliore se vi si spalma sopra quello di coccodrillo; si prescrive di lavarsi energicamente con acqua fresca prima e dopo. Le chiazze di rosso sulla pelle e tutto ciò che ne altera il colore si curano con sterco di vitello da impastare a mano con olio e gomma; le ulcerazioni della bocca e le screpolature delle labbra con sego di vitello o di bue insieme a grasso d’oca e succo di basilico…. Con sego d’asino si ridà colore alle cicatrici, soprattutto a quelle causate da fungosi o dermatosi scagliose. Il fiele di capro elimina le lentiggini se vi si mescola formaggio di capra con zolfo, vino e cenere di spugna, fino ad ottenere la densità del miele». E così via. C’è da ringraziare il cielo ad essere nate adesso, anche se spesso, a leggere il contenuto dei prodotti di bellezza, la presenza di elementi chimici rischia di trasformare una donna in una sorta di bomba alla nitroglicerina.
Comunque sia, una regola deve esserci: il giusto mezzo è sempre da praticare. Un aspetto curato, pulito, una sobria eleganza sono un dovere: una maschera è tutt’altro.