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Statuto regionale, confusione sulla famiglia

di Alberto MigoneIl nuovo Statuto regionale è ormai alla fase finale. La bozza elaborata in Commissione passa infatti dal 3 maggio al Consiglio per l’approvazione, che dovrebbe avvenire in tempi brevi. Al di là dell’enfasi che ha spesso accompagnato il momento statutario, uno Statuto regionale diventa pur sempre un punto di riferimento, spesso obbligante, per l’azione politica, soprattutto quando tocca da vicino la vita delle persone. E questo ne segna l’importanza. Certo il suo compito primo resta quello di assicurare il buon funzionamento dell’Istituzione e sotto questo aspetto le decisioni della Commissione delineano una sufficiente armonizzazione tra elezione diretta del Presidente, rafforzamento del ruolo del Consiglio e tutela delle minoranze.

Nella bozza di Statuto si è anche recepita la volontà – per la verità non da tutti condivisa – di indicare alcune finalità principali che orientino e impegnino la politica della Regione. E proprio su alcune di queste, che più di altre hanno un risvolto valoriale, il dibattito è stato acceso e, in parte almeno, ancora aperto. La famiglia è tra questi: infatti qui emergono e si scontrano visioni diverse e spesso contrastanti. Eppure essa resta un valore – umano prima ancora che cristiano – da promuovere e difendere. In quest’ottica si sono espressi ufficialmente e collegialmente i vescovi della Toscana, affermando che la famiglia, per il ruolo che riveste nel cammino della nostra società, deve godere del «favore della legge» e non può mai essere equiparata ad altre forme di convivenza.

La formulazione che la bozza propone e che dovrà affrontare il voto del Consiglio regionale, recepisce questa distinzione e questo è positivo. Si parla infatti di «tutela e valorizzazione della famiglia fondata sul matrimonio» e successivamente e separatamente si sancisce «il riconoscimento delle altre forme di convivenza». Pur non negando al legislatore la possibilità di tener conto di situazioni nuove, anche rispetto ad un recente passato, la formula adottata non soddisfa perché è ambigua: congloba infatti tipologie molto varie, che invece richiedono opportune distinzioni. «Altro, ad esempio, è l’unione tra un uomo e una donna, tanto più se hanno figli, altro è l’unione di persone omosessuali».

In questi giorni, in Commissione, si sta anche discutendo sulla nuova legge elettorale che prevede tra l’altro l’abolizione del voto di preferenza. Ogni sistema elettorale, purché garantisca libertà di voto, effettiva partecipazione e rappresentatività è legittimo e la presenza o meno della preferenza non lede di per sé questi principi. Eppure la sua abolizione sta suscitando in settori anche molto diversi e in buona parte del mondo cattolico perplessità che ci sentiamo di condividere, perché viene meno la possibilità di scegliere la persona, scelta che oggi è per molti prioritaria, anche rispetto alla scelta dello schieramento. Tutto viene così demandato agli organi di partito, anche perché non si vede profilarsi la possibile alternativa di elezioni primarie, fissate e regolate per legge. L’abolizione della preferenza sembra comunque ormai decisa perché legata, in un accordo tra i partiti, all’aumento del numero dei consiglieri. E questo è oggettivamente grave.

I lavori in Regione meritano quindi, anche da parte dell’associazionismo cattolico, un’attenzione intelligente che sa farsi voce capace di incidere. In fondo si tratta di fatti nostri.