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Statuto Cei, riforma dovuta e voluta per una Chiesa in uscita
Il cammino di riforma della Conferenza episcopale italiana è giunto al traguardo. Un percorso avviato su sollecitazione di Papa Francesco per rendere la Chiesa italiana, in tutte le sue componenti, una «Chiesa in uscita». Una riforma che necessitava di una rivisitazione statutaria sulle modalità di elezione del Presidente e che ha visto prevalere la «considerazione dei particolari vincoli dell’Episcopato d’Italia con il Papa». E quindi la decisione che «la nomina del Presidente della Conferenza è riservata al Sommo Pontefice, su proposta dell’Assemblea Generale che elegge, a maggioranza assoluta, una terna di Vescovi diocesani». Il cammino è tracciato, così come – è stato lo stesso cardinale Angelo Bagnasco a comunicarlo ai suoi confratelli nel corso della prolusione al Consiglio episcopale permanente – «le modifiche apportate andranno in vigore – per espressa volontà del Sommo Pontefice – alla scadenza dell’attuale mandato del Presidente». Dunque, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, guiderà la Conferenza episcopale italiana sino a marzo del 2017, termine naturale del suo mandato. Per «la confermata fiducia del Vescovo di Roma» il cardinale ha espresso il suo ringraziamento e ha voluto «rinnovare la gratitudine a tutti i Confratelli per l’impegno generoso, responsabile e fraterno, che insieme abbiamo vissuto durante l’Assemblea Generale». Un impegno che in futuro potrà ulteriormente manifestarsi e portare frutto, attraverso l’azione coordinata delle Conferenze episcopali regionali, così come previsto nelle modifiche regolamentari. Si apre quindi, con questa riunione del Consiglio permanente della Cei, una fase nuova che vedrà sempre più la presenza della comunità cristiana caratterizzarsi secondo il modello indicato da Papa Francesco di una «Chiesa in uscita» scolpita nell’Esortazione apostolica «Evangelii gaudium». «Vero dono alla Chiesa» l’ha definita il cardinale Bagnasco, annunciando che «appena possibile, sarà bello e doveroso chiederci a che punto siamo nella sua ricezione e applicazione».
Una prospettiva di lavoro che già s’intravede nel testo della prolusione, nel quale emerge una Chiesa italiana sempre a fianco di Francesco, nella preghiera per il Sinodo come nella denuncia della guerra come «follia», nella sollecitudine nei confronti dei migranti per i quali si invoca l’azione responsabile dell’Europa, nella cura dei seminaristi e dei sacerdoti a cui non deve mancare la «vicinanza» del Vescovo, nella resistenza al »totalitarismo culturale» del nostro tempo, nella prossimità con i poveri, nel dialogo sempre rispettoso con il Paese sul destino dell’uomo concreto, nel «tornare a pensare e a pensare insieme», nella speranza di pronunciare una parola che abbia «il coraggio di andare contro corrente» nel nome del Vangelo.
Una Chiesa e una comunità cristiana così fatte, possono piacere o non piacere. E possono persino dare fastidio a qualcuno. Ma nessuno potrà tacciarle di non essere a fianco dell’uomo che soffre. Là fuori, nelle periferie dove la spingono il Vangelo e Papa Francesco. Una «Chiesa in uscita» che, come indica la «Evangelii gaudium», sa «prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare». Una comunità evangelizzatrice che «si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo».
Di questa «carne sofferente» si è avuta larga eco nelle parole del presidente Bagnasco e dei vescovi italiani: «Come pastori dobbiamo testimoniare che serpeggia una depressione spirituale che non solo fa soffrire chi ha perso il lavoro o i giovani che non l’hanno ancora trovato, ma che debilita le forze interiori e oscura il futuro». Aiutare l’Italia e i suoi uomini, le sue donne e i suoi giovani a contrastare e superare la «depressione spirituale», vuol dire abitare con coraggio le più dolorose periferie esistenziali. Là dove i cristiani non possono mancare.