Vita Chiesa
Staminali adulte: le testimonianze dei pazienti alla Conferenza in Vaticano
A lanciarlo medici e ricercatori, attraverso una panoramica delle terapie a base di cellule staminali adulte in corso di studio e sviluppo, ma anche pazienti trattati che hanno portato nell’Aula del Sinodo la propria testimonianza.
«Avevo 14 anni quando nella primavera 2007 mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla». Inizia così quella, particolarmente toccante, della giovanissima Roxane Julia Beygi, fino a quel momento brillante studentessa, atleta, nuotatrice, giocatrice di tennis, che decide comunque, nonostante i limiti fisici ed emotivi imposti dalla malattia, di completare gli studi superiori e intanto inizia un calvario di terapie convenzionali «pesanti e dolorose» nei più rinomati ospedali Usa, mentre la malattia continua inesorabilmente a peggiorare. Finalmente, «nel 2010 il trapianto di cellule staminali autologhe». «Dopo tre mesi sono entrata al college. Ora – conclude tra le lacrime – ho un futuro».
Nel 2009 Jim Danhakl, allora cinquantunenne, si sveglia con uno strano formicolio ai piedi. Sano e sportivo non attribuisce particolare importanza al sintomo. Tuttavia, dopo qualche settimana, comincia ad avvertirlo anche nelle mani. La diagnosi, spiega, è di Cidp, acronimo che indica una rara e maligna forma di neuropatia infiammatoria autoimmune che colpisce il sistema nervoso periferico. Nonostante le terapie convenzionali, la situazione precipita: «Dopo cinque mesi non potevo nemmeno più camminare senza l’aiuto di qualcuno, avevo perduto il senso del gusto e vedevo doppio».
A «salvarlo» il trapianto di cellule staminali adulte ematopoietiche (del sangue). Il recupero inizia dopo poche settimane. Oggi Danhakl può condurre di nuovo una vita normale. Come Don Robinson, colpito nel 2007 a 58 anni da un grave attacco cardiaco e sottoposto a trapianto di cellule adulte prelevate dal suo midollo osseo, purificate e reinserite nell’arteria danneggiata. Sono passati sei anni, «ma, a parte gli effetti dell’avanzare dell’età», assicura, il suo stile di vita «non è diverso da quello precedente all’attacco di cuore».