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Spetta all’Onu chiudere il capitolo Saddam

di Romanello CantiniIl potere – scriveva Tommaso Moro – è un sole che acceca, ma spesso tramonta a Mezzogiorno nella ignominia». Così è accaduto anche per Saddam Hussein. Dalle stelle alle stalle senza troppa metafora per questo barbone raccattato alla fine in una buca da sequestrato e che ci è stato mostrato con una esibizione che ci poteva essere risparmiata mentre viene spidocchiato e frugato in bocca come un animale in fiera.

Nessuno mette in dubbio che Saddam abbia commesso crimini che meritano un tribunale. Non si può liberarlo da questa sorte. Si può magari lamentare che sia il solo, insieme a Milosevic, a condividerla. A spasso per il mondo si sono lasciati finora altri ex dittatori che avrebbero meritato un processo e che se la sono cavata in totale impunità. Da Videla (Argentina) a Menghistu (Etiopia), a Stroessner (Paraguay) a Duvalier (Haiti), da Obote (Uganda) a Khieu Sampan (Cambogia). Saddam è un tassello della costruenda giustizia internazionale e non certo la sua soddisfatta realizzazione.

Secondo le intenzioni che trapelano da chi ha in mano Saddam, il suo processo dovrebbe essere un affare degli americani e degli iracheni. Si dimentica così che i crimini di Saddam riguardano anche altri Stati (ad esempio i soldati iraniani gasificati nella penisola di Fao). Un tribunale di questo genere apparirebbe come la «giustizia dei vincitori» e porterebbe quasi certamente ad una condanna a morte.Al contrario i due tribunali internazionali attualmente in funzione (quello dell’Aja per i crimini commessi nel Kosovo e quello di Arusha per il genocidio in Ruanda) sono tribunali gestiti dall’Onu, con giudici di paesi diversi e che escludono in ogni caso la pena di morte anche se si occupano di delitti gravissimi. Se crediamo che, anche in questo caso, il tribunale più adatto a giudicare Saddam dovrebbe essere un tribunale dell’Onu, non è per un buonismo fuori luogo. Il fatto è che non si può esercitare una giustizia internazionale in nome della difesa dei diritti umani e poi usare quella pena di morte che è oggi sempre più rifiutata in nome di quegli stessi diritti. Solo con un simile tribunale la condanna di Saddam Hussein potrebbe apparire come la sanzione dell’intera comunità internazionale e non come l’ultimo proiettile sparato dalla guerra angloamericana.

Anche per i riflessi interni sul futuro dell’Iraq il modo in cui verrà chiuso il capitolo della passata dittatura non è senza conseguenze.

Per quel poco che riusciamo a sapere delle motivazioni che alimentano la guerriglia in Iraq, c’è il fanatismo dei seguaci di Al Qaeda, c’è la disperazione degli irriducibili del vecchio regime, ma c’è soprattutto l’orgoglio di un nazionalismo ombroso che si sente umiliato e offeso da una occupazione che si prolunga anche quando le si riconosce il merito di aver abbattuto il passato regime. Fare di questa occupazione e di questo governo provvisorio che ha messo in piedi anche un tribunale può ancor più confondere le conseguenze della invasione con le ragioni della giustizia.

Catturato Saddam Hussein